Quando, oltre una trentina di anni
fa mi diedi anima e corpo allo studio delle parole, conoscevo molto meno di
oggi i fenomeni e i problemi della fisica quantistica, anche se è vero che nemmeno oggi li
conosco bene, se non al livello a cui può conoscerli un profano come me. In tutti questi anni ho osservato le parole
nei loro significanti, cioè l’involucro sonoro esteriore, ma soprattutto nei
loro significati i quali mi hanno rivelato sempre la stessa tendenza: quella di
allargarsi notevolmente, quanto al contenuto semantico, retrocedendo nel tempo
o diffondendosi nello spazio. Questo fenomeno della mutabilità del significato a seconda dei contesti,
a dire il vero, era già conosciuto prima di me, ma quello che ha suscitato il
mio interesse, e insieme la mia meraviglia, è stata la misura di questa
mutevolezza: enorme! Abbiamo infatti visto recentemente che una parola può
passare dal significato di ‘pettine’ a quello di ‘mano’ o ‘dita’ o di ‘pube’,
dal significato di ‘fila, filare’ a quello di ‘universo’, perché esiste un
significato, sotto ogni termine, via via più generico che, come una forza
invisibile, tiene uniti tutti i significati particolari.
Ora, la logica conseguenza di ciò è che, se tutte le parole si
comportano allo stesso modo quanto al significato, esse non potranno che
derivarli, i loro moltissimi ed espliciti significati di superficie, da un
medesimo significato di fondo, uguale per tutte, genericissimo (in quanto esso
deve comprendere tutti i moltissimi altri significati specifici), e più o meno
implicito e invisibile, se non agli occhi di chi si è abituato a grattare le
molte incrostazioni che nel corso di
molti millenni si sono accumulate intorno al nucleo delle parole, vuoi per
questa naturale specializzazione del significato implicito (senza di essa non
ci sarebbe infatti la lingua articolata e varia che conosciamo), vuoi per i numerosi incroci con altre parole
simili, ma di significato diverso, perché nel frattempo specializzatosi in un
modo o in un altro.
Il significato implicito di fondo è talmente generico che in un certo
senso sfugge ad ogni tentativo di “acchiapparlo” quasi come una particella
sfuggente del mondo quantistico. Perciò sono vari i concetti con cui ho tentato
di esprimerlo: “spinta, forza, anima, vita, ecc.”, concetti appropriati per una
visione animistica della realtà che
caratterizzò la fase più remota dell’essere umano.
Concludendo posso fare questa osservazione. In questo studio pluriennale delle parole,
io, modesto letterato, ho potuto individuare in esse, attraverso una continua
osservazione, analisi e comparazione dei significati, lo stesso comportamento
mobile e sfuggente delle particelle subatomiche, come sono descritte nella
teoria fisica dei quanti. In verità mi
ero accorto della genericità dei significati di fondo già qualche mese dopo
l’inizio della ricerca, sicchè tutto il resto del tempo l’ho impiegato nella
verifica di quella ipotesi originaria che è risultata, a mio parere, giusta e
proficua.
Naturalmente non sono partito dal presupposto di studiare la lingua
secondo i principi della teoria quantistica: mi sono accorto solo
successivamente che i risultati che ottenevo erano simili a quelli descritti da
quella teoria. E, secondo gli studi
odierni (come si può constatare dall’articolo Tutto è uno, ogni cosa è Tutto citato alcuni giorni fa nel mio
profilo[1]), il
cervello che ha creato la lingua si comporta proprio secondo quei principi.
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