mercoledì 1 agosto 2018

Uno è tutto e tutto è uno




Quando, oltre una trentina di anni fa mi diedi anima e corpo allo studio delle parole, conoscevo molto meno di oggi i fenomeni e i problemi della fisica quantistica, anche se è vero che nemmeno oggi li conosco bene, se non al livello a cui può conoscerli un profano come me.  In tutti questi anni ho osservato le parole nei loro significanti, cioè l’involucro sonoro esteriore, ma soprattutto nei loro significati i quali mi hanno rivelato sempre la stessa tendenza: quella di allargarsi notevolmente, quanto al contenuto semantico, retrocedendo nel tempo o diffondendosi nello spazio. Questo fenomeno della mutabilità del significato a seconda dei contesti, a dire il vero, era già conosciuto prima di me, ma quello che ha suscitato il mio interesse, e insieme la mia meraviglia, è stata la misura di questa mutevolezza: enorme! Abbiamo infatti visto recentemente che una parola può passare dal significato di ‘pettine’ a quello di ‘mano’ o ‘dita’ o di ‘pube’, dal significato di ‘fila, filare’ a quello di ‘universo’, perché esiste un significato, sotto ogni termine, via via più generico che, come una forza invisibile, tiene uniti tutti i significati particolari.  

   Ora, la logica conseguenza di ciò è che, se tutte le parole si comportano allo stesso modo quanto al significato, esse non potranno che derivarli, i loro moltissimi ed espliciti significati di superficie, da un medesimo significato di fondo, uguale per tutte, genericissimo (in quanto esso deve comprendere tutti i moltissimi altri significati specifici), e più o meno implicito e invisibile, se non agli occhi di chi si è abituato a grattare le molte incrostazioni che  nel corso di molti millenni si sono accumulate intorno al nucleo delle parole, vuoi per questa naturale specializzazione del significato implicito (senza di essa non ci sarebbe infatti la lingua articolata e varia che conosciamo), vuoi  per i numerosi incroci con altre parole simili, ma di significato diverso, perché nel frattempo specializzatosi in un modo o in un altro.

    Il significato implicito di fondo è talmente generico che in un certo senso sfugge ad ogni tentativo di “acchiapparlo” quasi come una particella sfuggente del mondo quantistico. Perciò sono vari i concetti con cui ho tentato di esprimerlo: “spinta, forza, anima, vita, ecc.”, concetti appropriati per una visione animistica della realtà che caratterizzò la fase più remota dell’essere umano.

   Concludendo posso fare questa osservazione.  In questo studio pluriennale delle parole, io, modesto letterato, ho potuto individuare in esse, attraverso una continua osservazione, analisi e comparazione dei significati, lo stesso comportamento mobile e sfuggente delle particelle subatomiche, come sono descritte nella teoria fisica dei quanti.  In verità mi ero accorto della genericità dei significati di fondo già qualche mese dopo l’inizio della ricerca, sicchè tutto il resto del tempo l’ho impiegato nella verifica di quella ipotesi originaria che è risultata, a mio parere, giusta e proficua.

   Naturalmente non sono partito dal presupposto di studiare la lingua secondo i principi della teoria quantistica: mi sono accorto solo successivamente che i risultati che ottenevo erano simili a quelli descritti da quella teoria.  E, secondo gli studi odierni (come si può constatare dall’articolo Tutto è uno, ogni cosa è Tutto citato alcuni giorni fa nel mio profilo[1]), il cervello che ha creato la lingua si comporta proprio secondo quei principi.   
  
  
   

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