Le isole Ciclopi o dei Ciclopi formano un piccolo arcipelago nel mare
siciliano di fronte a Catania, esattamente davanti ad Aci Trezza. Esso consiste
di un isolotto, tre faraglioni e quattro scogli disposti ad arco. La tradizione mitica vuole che essi siano le
rocce e i cocuzzoli di montagna scagliati da Polifemo contro la nave di Ulisse
che fuggiva, o anche il masso lanciato sempre dallo stesso Polifemo contro il
pastorello Aci che amava, ricambiato, la ninfa Galatea di cui anche il Ciclope
era perdutamente innamorato. Una volta mentre Aci la baciava in riva al mare fu
visto da Polifemo che, accecato dalla gelosia, lo colpì con un grosso masso
uccidendolo. Il pastorello fu trasformato nel fiume, in gran parte sotterraneo,
che prese il suo nome e il masso rotolò nel mare antistante.
Ora, la stragrande maggioranza degli esegeti del mito dei Ciclopi e
anche della gente più o meno acculturata credo pensi che esso, come molti
altri, noto già ad Omero, padre della civiltà occidentale che ne parla nell’Odissea,
si sia sviluppato autonomamente per motivi diversi connessi con la difficoltà e
pericolosità della navigazione di quei tempi lontani e con i racconti dei
naviganti tramandati di generazione in generazione, già da millenni prima del
presunto ritorno di Ulisse alla sua Itaca.
E questo sarà una parte della verità, ma in fondo la meno
interessante. Perché non si è ancora
capito che questi racconti, benchè possano aver avuto un nucleo originario e
autonomo di verità, sono stati poi alimentati, accresciuti e moltissimo
diversificati soprattutto grazie ai molti nomi di luogo (toponimi) con cui sono
venuti a contatto, nel corso di millenni, passando di bocca in bocca e di
parlata in parlata, e rispondenti a concetti comuni, fatti e nomi personali via
via accumulatisi in quei racconti.
Il mito dei Ciclopi, insomma, potrebbe aver avuto origini molto lontane
già rispetto alla narrazione di Omero (IX - VIII sec. a.C.) e non essere nato
in Sicilia, alle falde dell’Etna, come molti pensano, ma altrove nel
Mediterraneo; io sono però convinto che nella zona antistante Catania esso si
incontrò col toponimo preesistente di Ciclope
o Ciclopi che probabilmente aveva però già perso il
significato originario di ‘faraglione, isolotto, scoglio’ in una lingua ivi
parlata in tempi precedenti, e fu naturale così collegare quei faraglioni al
nome mitico dei Ciclopi proveniente da quel racconto favoloso. Che il nome di Ciclope
avesse avuto quel significato di ‘pietra, scoglio, faraglione’, almeno per un
certo periodo di tempo, accanto ad altri significati supponibili nella lunga
teoria di anni e lingue attraversate, è a mio parere chiaramente mostrato
nell’articolo del mio blog intitolato I
Ciclopi e il concetto di rotondità del 28/6/2009, articolo collegato con
l’altro della stessa data e intitolato Le
categorie aristoteliche ostacolano la comprensione […].
Purtroppo, gentile lettore, è necessario armarsi di pazienza e leggerli
questi articoli se si vuole eliminare almeno una gran parte dei dubbi relativi
a queste mie asserzioni.
Che
il termine ciclope, nel suo probabile
significato di ‘rupe, roccia’, non
fosse limitato a zone a contatto col mare è secondo me dimostrato dal toponimo Scoglio dei Ciclopi nel monte Cimo in
Val d’Adige: una parete fortemente a strapiombo. L’altro toponimo Vajo del Ciclope nel Veneto si riferisce
ad un canalone (vajo) fortemente
incassato del monte Campo d’Avanti. Il
concetto di “canalone” rientra in quello di “rotondità” ben analizzato negli
articoli ricordati.
Nella
descrizione del ciclope Polifemo da parte di Omero (Od. IX, vv. 187-192) ricorre due volte
l’agg. pelṓri-os il cui
significato in greco ruotava intorno al concetto di ‘enorme, gigantesco,
spropositato, orrendo, mostruoso’, tutte qualità che la tradizione, quasi
sicuramente anche prima di Omero, aveva addossato a questo mitico personaggio e
ai suoi simili, che erano pastori e vivevano isolati, come cocuzzoli di monti
selvosi separati gli uni dagli altri: è questa l’espressione, da me messa al
plurale, usata da Omero. Allora come non
pensare ai faraglioni di Aci Trezza o di qualche altra località raggruppati
insieme, ma allo stesso tempo svettanti isolatamente l’uno dall’altro? E per
l’aggettivo pelṓri-os come non pensare al Capo Peloro (gr. Pelōrís), la punta estrema
nord-orientale della Sicilia che era un promontorio pericoloso per la presenza
di forti correnti marine provocate dall’incontro delle acque del Tirreno con
quelle dello Ionio? Allo stesso tempo il nome includeva appunto il concetto di
“punta” somigliantissimo a quello di “cocuzzolo, vetta, cima” adatto ad
indicare giganti. Ecco, dunque, come a mano a mano si plasmò la figura dei
Ciclopi: l’apporto dei toponimi risulta fondamentale nella definizione della
loro figura e della loro natura. Toponimi, ma che all’origine erano stati nomi
comuni con chiari significati. In fondo
è la lingua stessa, attraverso molti millenni, che alimenta questi racconti
favolosi, qualunque sia stato il motivo originario che diede loro l’avvio. L’unico occhio rotondo sulla fronte di questi
mostruosi giganti è infatti la traduzione in caratteri fisionomici dell’ingannevole
significato letterale del termine stesso che li indica, kýkl-ōps, il cui primo membro vale
‘cerchio, giro’ mentre il secondo vale ‘occhio, viso’. Ma c’è da sottolineare che in greco il
termine, a parte la sua designazione di questi giganti mitologici, valeva anche
semplicemente ‘rotondo, circolare’ senza alcun riferimento all’occhio. E questo la dice lunga sulla tendenza
dell’uomo a interpretare a suo modo le parole che usa. L’etimologia d’altronde
è un bisogno connaturato all’uomo, giacchè il linguaggio che egli inventò
all’origine era formato da parole che avevano tutte un significato, sia pure
generico, e pertanto, quando egli si trova dinanzi a parole oscure,
istintivamente va alla ricerca di quella loro chiarezza originaria.
Il
concetto di “rotondità” dietro cui poteva nascondersi quello di “ altura,
monte, cocuzzolo, ecc.” mi ha fatto fare un’altra riflessione che prima non mi
era balenata nella mente. Come quasi
tutti sappiamo dalla geografia, in Grecia esistono gli arcipelaghi delle isole Sporadi
e quello delle Cicladi, le
quali ultime avrebbero avuto questo nome perché disposte in circolo rispetto
all’isola di Delo, che in realtà non si trova più o meno in mezzo ad esse ma
molto decentrata, vicino a Micono (dove sono stato!), quasi sul bordo nord-orientale
di questo affollatissimo gruppo di circa 220 isole. Essendo così numerose esse
formano un ammasso, per forza di cose,
più o meno rotondeggiante. Ma quello che
più di ogni altra considerazione (oltre a quella relativa alle isole dei
Ciclopi) mi impedisce di credere alla bontà del significato apparente di gr. Kýkl-ades, termine che indica le suddette
isole ma che è anche aggettivo
significante precisamente ‘che sta disposto in circolo, circolare’, è
l’esistenza nel mar Ionio di due isolette con qualche scoglio note già
nell’antichità col nome di Stróph-ades (perché qui sarebbe sbarcato Enea in cerca della nuova patria dopo la distruzione di Troia,
secondo l’Eneide, e qui abitavano le famose arpie[1],
uccelli mostruosi e sozzi), termine che, con altra radice, esprime lo stesso
significato apparente di Kýkl-ades, cioè ‘disposte in circolo, circolari’. Solo che qui il significato risulta
inappropriato, trattandosi di due isolette che non potevano formare un circolo.
Date le osservazioni precedenti, questi nomi dovevano avere originariamente,
a mio parere, il significato di ‘isola’ o ‘isole’ nel senso di
‘arcipelago’. Però c’è un’altra
difficoltà da superare. A nord-ovest e a sud-ovest delle Cicladi ci sono le Spor-ad-es (Sporadi) settentrionali e le Spor-ad-es
meridionali il cui nome, sempre secondo la lingua greca, significa
‘sparse’, inteso come isole sparse rispetto a quelle disposte in circolo. Ma in realtà queste isole sparse non sono tra loro più distanti di
quelle delle Cicladi, pur non formando figure circolari perché molto inferiori
di numero. Ora, siccome le Cicladi si
trovano in mezzo, tra le Sporadi settentrionali e le meridionali, è possibile
pensare, ad esempio, che agli inizi remotissimi tutte le isole dell’Egeo venissero
indicate con un unico nome, quello di Sporadi, ma nel significato di
‘isole’ prima che prendesse piede nella lingua il termine nḗsos per
‘isola’. Nel frattempo forse arrivò
altro termine per ‘isole’ che suonava kýkl-ad-es il quale naturalmente premeva, col
passare del tempo, per una sua giustificazione basata sul significato che esso
aveva nel frattempo assunto nel greco storico. Così, una volta circoscritte le
isole Cicladi, restavano sono gli scampoli a nord e a sud delle isole
che continuarono a chiamarsi Sporadi, ma non più col significato
di ‘isole’ ma di ‘(isole) sparse’.
Infatti è possibile sostenere che la radice di speír-ein ‘spargere, seminare, spruzzare’
possa essere legata a quella di ingl,
spur ‘sperone’, ted. Sporn
‘sperone’ e riferirsi a qualcosa che sporge, aggetta, come in fondo avviene per
l’isola che, a mio modo di vedere, sporge,
si eleva dal mare.
Da ultimo vale anche la pena notare che tutti questi nomi di isole, Cicl-adi,
Spor-adi,
Strof-adi terminano col
suffisso –adi come nelle isole Eg-adi di cui ho parlato nel
precedente articolo, in cui ho visto il turco ada ‘isola’ nella componente
finale -adi.
Alcuni giorni dopo aver scritto il precedente articolo per caso ho
aperto il dizionario greco-italiano e italiano-greco pubblicato dalla Casa
editrice Polaris nel 1992. Si tratta di un dizionario che mette insieme il Dizionario manuale italiano-greco di F.
Brunetti, pubblicato a Torino nel 1881, e il Vocabolario greco-italiano di K. Schenkl pubblicato a Torino nel
1877. Ebbene, andando a leggere sotto il
lemma Isola dizionario italiano-greco
ho trovato il bell’esempio di nḗsōn kýklos ‘gruppo d’isole’.
Ecco la dimostrazione che il greco kýklos poteva
significare anche un ammasso o gruppo, non meglio definito e non necessariamente circolare, di isole in questo
caso, come avevo supposto sopra. La
realtà della lingua è questa: la parola in questione sicuramente non uscì dalla
bocca dell’uomo preistorico col significato di ‘cerchio’, il quale ci inganna pertanto
senza pietà producendo un’autocertificazione basata sul greco o altre lingue
recenti, fosse pure l’indoeuropeo ricostruito, e non dicendoci quasi nulla sulla
sua mobilità estrema, di argento vivo, circa il suo significato visto in
diacronia e diatopia. Allora è assai probabile che la stessa cosa sia avvenuta per
le isole Stroph-ad-es che
contengono nel fondo lo stesso significato di ‘circolo, giro’ (come del resto
nel sostantivo corradicale sy-stroph-ḗ ‘contorcimento’ ma anche ‘raduno, schiera, gruppo,
massa, folla’) e per le isole Spor-adi che richiamano
probabilissimamente anche gr. speĩra ’spira, ogni
cosa che si avvolge su sé stessa’ ma anche ‘manipolo, schiera, coorte’
significati adatti ad esprimere la nozione di ‘gruppo di isole, arcipelago’. Ora in effetti mi rendo conto che la nozione
di ‘sparse’ per le isole è alquanto banale, essendo esse naturalmente sempre più
o meno separate tra loro. In verità in
questo dizionario della Polaris compare, sebbene riferito solo dai grammatici, uno speír-ein ‘ripiegare, contorcere’ diverso da
quello che significa ‘spargere, seminare, spruzzare’ più sopra citato, e molto
simile, per il significato, al gr. kýkl-os ‘circolo, gruppo’ o alla radice di
Strof-adi. In verità noi non ci rendiamo ben
conto, collocando istintivamente le parole di una lingua tutte grosso modo su
uno stesso piano sincronico, della
grande profondità in cui esse andrebbero invece sistemate a livelli diacronici
diversi, perché esse sono resti di stadi linguistici del passato non
esattamente combacianti con quello in cui esse alla fine appaiono. Per cui, soprattutto nei toponimi,
il loro significato è diverso, di poco o di molto, da quello che esprimono in
superficie secondo il sistema linguistico, diciamo così, ultimo arrivato.
A questo punto comincio a sospettare che anche il termine letterario stroph-ḗ ‘strofe’
che generalmente viene spiegato facendo riferimento ai canti del Coro della
tragedia che girava cantando,
appunto, intorno all’altare di Dioniso nell’orchestra, cambiando direzione alla
fine di ogni strofe, non doveva significare altro, all’origine, che gruppo di versi. Anche in altre forme di
poesia, non meno antica probabilmente di quella drammatica, come la variegata
poesia lirica, ricorrevano gruppi di versi con quel nome, come il ben noto distico elegiaco. Un gruppo di due versi è già una strofe, la strofe
dell’elegia, appunto. Poi il termine dové
passare ad indicare la danza stessa circolare e il gruppo di versi cantati dal
Coro, come voleva del resto il significato evidente
della parola.
[1] Il nome
di una delle due isole è proprio Arpia, nome che si sarà incrociato con quello
degli uccelli, alimentando il mito. Nel mio dialetto di Aielli la voce
arpéa era riferita ad una sorta di aquilotto.
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