lunedì 8 aprile 2019

A nessuno, per favore, venga in mente...



Divenuto ormai esperto dei supercamuffamenti attuati dalle parole, specialmente da alcune di esse, nei confronti di chi si ferma ad osservarle, anche se non è propriamente un ingenuo, mi permetto di raccomandare che a nessuno venga in mente, ad esempio, che l’it. bracci-ale, col diminutivo bracci-al-etto, sia un evidente derivato dell’it. braccio.  La sua sicurezza viene presto smontata dalla voce abr. vracc-àlë [1]‘collare di ferro, con punte aguzze, che si mette ai cani da pastore (per difesa dai lupi)’. La voce, che  presenta delle varianti come vrëcc-àlë  (a Trasacco-Aq.[2]), vurc-àlë  (ad Aielli-Aq ed altrove), demolisce sul nascere qualsiasi tentativo di riportare la radice vrak-vark-vurk  alla parola braccio, che in dialetto suona v(ë)raccë,  o anche a un eventuale collo. La radice semmai richiama quella dell’it. barca, in quanto cavità o rotondità che si presta anche ad indicare  un cumulo, un monte.

    A nessuno venga in mente, pertanto, di considerare l’it. brocca (radice per me variante della precedente brak-, bark-) emanazione, sia pur disturbata dall’agg. lat. brocc-u(m) ‘di denti sporgenti’ per via dell’eventuale beccuccio della brocca, del gr. prόkhũ-s ‘brocca’, dal verbo pro-khé-ein ‘versare, spargere’.  Il gr. prokhũ-s ‘brocca’ ha tutta l’aria di essere inoltre una reinterpretazione della radice di gr. brokh-ís ‘calamaio’, in quanto cavità e non derivabile da gr. brékh-ein ‘umettare, aspergere, (far) piovere’.  Ma c’è anche l’ant. ingl. brōc ‘copertura della gamba’ a  rafforzare l’idea di “avvolgimento”, contigua a quella di “cavità”.

   A nessuno pertanto venga in mente che l’it. gamb-ale è tale perché avvolge la gamba: è tale solo perché avvolge, semmai!  La gamba ha fatto uno sgambetto e si è impadronita furbescamente e indebitamente del gambale.  La radice è sì quella di gr. kampḗ ‘curva, piegatura’ che abbiamo già incontrata, in altro articolo, in Campo Cavallo, località di Aielli-Aq. ma essa, a mio avviso, riguarda stranamente solo il termine gamb-ale e non quello di gamba, la quale è vero che si piega nell’articolazione del ginocchio, ma nel suo complesso  sarebbe meglio indicata da una radice che esprimesse  il concetto di “protuberanza, sporgenza, prominenza, ecc.’, in quanto esse, pur flessibili, si presentano a colpo d’occhio in questo modo rispetto al corpo, e poi ci sono anche le gambe dei tavolini e di strumenti vari che in genere nè si piegano né si muovono. Ma qui l’esegesi tradizionale ha buon gioco, ricorrendo ai significati metaforici che spesso sono una scappatoia per gli etimi.  Io penso, piuttosto, al gr. gόmph-os (sscr. jambhas ‘dente’) ‘caviglia di legno o metallo, grosso  chiodo’, significato che dà l’idea di qualcosa di sporgente nonostante la parola abbia anche il valore di  ‘articolazione, giuntura’ e quindi potrebbe rimettere in ballo, in questo senso, il gr. kampḗ ‘piegatura’.   Io credo, in questo caso, che  si tratti del solito incrocio.

     A nessuno pertanto venga in mente di accostare l’it. schin-iere al franco skina ‘, stinco, tibia’, per lo stesso motivo per cui il gambale non è un derivato di gamba. Se mai, la radice ha a che fare con quella di ingl. skin ‘pelle’, in quanto rivestimento, come il lat. pell-e(m) ’pelle’ o lat. pale-a(m) ‘paglia’, facenti capo ad una idea di “copertura, avvolgimento”, copertura come nel gr. skēnḗ ‘tenda, copertura’, a. norreno scān ‘crosta’, e probabilmente anche l’ingl. shingle ‘assicella di legno usata come tegola’.
   A nessuno pertanto venga in mente, in ultimo, che l’it. coll-ana (parola che abbiamo già incontrata in altro articolo) abbia qualcosa in comune con l’it. collo, visto anche che il termine collana in latino non esisteva.  Essa, come il lat. torqu-e(m) ‘collana’, che deriva dal verbo torqu-ēre ‘torcere, volger, girare’, vuole avere rapporti solo con lat. col-ĕre ‘coltivare’, una radice attestatissima nell’area indoeuropea col significato di fondo di ‘movimento circolare’, non solo in senso proprio ma anche figurato di interesse, coltivazione, ecc. 

   A nessuno pertanto vengano in mente tutte le altre idee che si pascano comodamente della pelle versicolore delle parole, senza avere la voglia di scendere alle loro profondità remote, che sono purtroppo al buio.

   Mi scuso per quest’ultimo avvertimento, ma, avendo impiegato testè l’agg. versi-colore di provenienza latina, ripeto, con grande commozione, l’invito a non prendere alla lettera l’aggettivo suddetto, composto dall’elemento  versi- (da lat. vert-ĕre ‘girare, cambiare’) e da –col-or-e(m) ‘colore’, che etimologicamente vale copertura, nascondimento (cfr. verbo lat. cel-are ‘nascondere’); ma sappiamo già come questa idea scivoli facilmente verso quella di “avvolgere”, confondendosi quindi col significato profondo del verbo lat. col-ĕre ‘coltivare’, sopra analizzato, il quale nasconde l’idea del “girare, volgere”.  Sicchè versi-color-e(m) è un composto tautologico con identico significato nei due membri, quello di ‘cangiante’, appunto, nel senso etimologico di ‘cambiante’.

    Mi piace citare un passo della tragedia Francesca da Rimini del D’Annunzio:  la vampa violenta e versicolore crepita in cima della picca. Ah, Gabriele, tu sì che mi avresti capito al volo, considerando la parola dotata di forza divina,  capace di eliminare le distinzioni della logica e compenetrarsi  panicamente nella natura del mondo!  

    Così l’agg. it. versi-pelle ‘che cambia la pelle, nel senso che è un simulatore e dissimulatore incallito, un ingannatore scaltro’ non chiama in ballo, nel secondo membro, la pelle, bensì la sua radice che valeva ‘coprire, avvolgere’, come la precedente versi-  di cui abbiamo parlato prima.



[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.

[2] Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà  Q-Z, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq. 2003.

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