Dopo il disvelamento della vera e
nascosta natura del lat. terrae-motu(m) ‘terre-moto’, anche il lat. aquae-duct-u(m) ‘acque-dotto’ comincia a tremare, perché, come tutte le
espressioni, anch’essa ama l’ombra, il silenzio e la pace, condizioni
irrinunciabili dell’eternità, e fonte del vero.
In effetti anche qui la superficie sembra chiara e cristallina, in
quanto il significato di ‘conduttura (duct-um)
dell’acqua (aquae-)’ pare non concedere appigli per altre interpretazioni.
Noi però abbiamo scoperto da molto tempo il segreto amore delle parole a
nascondere l’identità originaria, e non riposiamo, al contrario di esse, se non
riusciamo a toglier loro la veste di dosso per poterle ammirare nel loro nudo
splendore. Lungi da noi il desiderio di violentarle, anzi vogliamo solo cantarne
e magnificarne la bellezza. Possono tranquillamente starsene quiete se questo è
il loro timore.
In latino si incontra la voce usata da Plinio ag-ōg-ae ‘condotti’, prestito dal gr. ag-ōg-όs ‘che conduce, guida, scorta, condotto, canale’, termine
costituito da una radice raddoppiata, quella del verbo gr. ág-ein ‘spingere, condurre, guidare,
ecc.’ che corrisponde al lat. ag-ĕre ‘spingere, condurre, fare, recitare, ecc.’. Ma la sua qualità di conduttura mi pare si possa individuare anche nel lat. aqu-agi-u(m)
‘condotta d’acqua’ che apparentemente sembra un ampliamento non meglio definibile
di lat. aqu-a(m)’acqua’, ma
basta riflettervi un po’ per scorgere in –agi- , di primo impulso, la stessa
radice di ag-ĕre ‘spingere, condurre’, sicchè il tutto
avrebbe potuto significare, all’origine, condotta
d’acqua: ma non ci siamo, perché il termine pure qui nasconde, come
amano fare in diversi modi anche gli altri termini, il raddoppiamento della
radice ag- e doveva quindi
all’inizio avere la forma di *ag-agi-u(m) ’condotto’ simile al gr. ag-ōg-όs ‘guida, condotto’: avvenne poi la reinterpretazione della
prima ag- intesa come aqu-a(m), secondo l’ormai a noi ben noto processo che mira alla
specializzazione dei significati generici.
Di conseguenza bisogna pensare che anche il lat. aqu-ale ‘brocca’ non sia altro che una reinterpretazione di un
originario *ac-ale che poco aveva
a che fare con il prezioso liquido, ma aveva qualcosa da spartire, semmai, col
lat. ac-us, -eris ‘pula, loppa’ il quale presentava anche la
forma ac-us, -us della 4° declinazione; una cavità, dunque, come un condotto, un recipiente, una brocca. Ugualmente il lat. aqu-ari-u(m) ‘fontanile, abbeveratoio, acquario’ indicava il recipiente, non l’acqua che conteneva. La
parola abbeveratoio, ora che ci
penso, faceva a meno, proprio strutturalmente, dell’idea di “abbeverare (gli
animali)” e, semmai, era parente stretto di it. pevera ‘grosso imbuto di legno’, svolgendo la funzione, mentre
permetteva agli animali di abbeverarsi, di accogliere da un lato l’acqua proveniente
da qualche sorgente o condotto, di cui si riempiva, e di far defluire dall’altro
l’esubero per evitare che essa diventasse stagnante. Abbeveratoi alla buona o
improvvisati erano costituiti da un semplice canale di tavole o tronchi. Naturalmente l’incrocio col verbo abbeverare era fatale.
Anche il ted. Trӓnke-trog ‘abbeveratoio’, letter. ‘trogolo (-trog) per l’abbeverata (Trӓnke-)’
sembrerebbe pacifico, sennonchè già nel fatto che Trӓnke significa,
da solo, anche ‘abbeveratoio’, sento alcunchè di bruciaticcio che mi spinge ad
indagare meglio, anche se grammaticalmente tutto è normale: il Trӓnke, nell’uno
o nell’altro senso, è un termine regolare a suffisso zero della stessa radice
dei verbi trink-en (ingl. drink) ‘bere’, trӓnk-en ‘abbeverare’. Esiste nell’ingl. dialettale[1] il
termine drong (var. drang) che vale ‘stretto passaggio,
corridoio, vicolo’, radice che poteva prestarsi benissimo ad indicare un canale,
ed anche un vaso o recipiente. Sicchè il ted. Trӓnk aveva le
carte in regola per designare, da solo, la vasca dell’abbeveratoio,
o anche una fossa scavata per terra,
se vogliamo dar retta all’ingl. drink-ing hole ‘abbeveratoio’, letter. ‘
buca, scavo (hole) per l’abbeverata (drink-ing)’.
E in effetti l’ingl. trunk vale anche ‘condotto, cassone, baule, vasca
di seprazione, A me sembra, inoltre, che i due verbi ted. drink-en ‘bere’ e dring-en ‘penetrare a forza’ da cui il ted. Drang ’impulso, istinto’
siano varianti di una stessa idea di fondo, quella di “spingere” appunto, se
diamo a drink-en ‘bere’ il
significato di ‘mandare giù, spingere giù, ingoiare’. Non è un caso, secondo
me, se colloquialmente l’ingl. drink
vale anche ‘mare’, il quale certamente non può essere inteso come ‘acqua che si
beve’ o come ‘bevuta’, ma semmai come ‘acqua raccolta (spinta) in una
cavità’. Del resto anche il ted. Trog
avrebbe potuto indicare, da solo, l’abbeveratoio,
se il suo sosia ingl. trough vale proprio ‘abbeveratoio,
doccia’, oltre a ‘mangiatoia, canale, avvallamento, saccatura (in meteorologia)’. Persino l’italiano trogolo presenta anche il valore di ‘vasca rettangolare
all’aperto, per il lavaggio di panni e ortaggi, nelle campagne’. Mamma mia, non
si salva quasi nessun vocabolo da questa connaturata e spiccata tendenza da
trasformista! Tutto questo conferma che
il ted. Trӓnke-trog
‘abbeveratoio’ non nacque come composto
formato da un determinante (Trӓnke-) e da un
determinato (-trog) ma come composto
tautologico formato da termini paritetici con significato generico uguale,
pronto ad assumerne un specifico, non appena subentrò il meccanismo
grammaticale determinante-determinato. E così sarà anche per la massima parte dei
numerosissimi altri composti di questo tipo nelle lingue germaniche: essi non
sono di certo nati a tavolino!.
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