L’ultimo articolo lo finivo invitando
a trovare l’etimo del termine italiano mangiatoia
e diffidando, scherzosamente, dal pensare all’immediato verbo mangiare
che sembrava essere lì, chiaro e pronto, a darne una naturale ed evidente spiegazione.
Purtroppo la vita dei linguisti è molto complicata perché debbono debbono
vedersela con soggetti che solitamente sono linguisticamente dei matusalemme,
sopravvissuti grazie al sangue nuovo in loro immesso via via da altri soggetti
che nel frattempo si impadronivano, per così dire, della loro sagoma apparente,
esterna, mentre quelli vecchi se ne stavano nascosti e tranquilli perché, data
l’età, non amavano molto il chiasso della superficie.
Il verbo it. mangiare ci è pervenuto
dal fr. mang-er il quale,
però, aveva seguito una trafila a partire dal lat. mand-uc-are ‘masticare, mangiare’,
ampliamento del semplice mand-ĕre ‘mordere, masticare, mangiare’, da cui il lat. mandi-bul-a(m) ‘mandibola’. Il francese si sarà sviluppato
da una forma intermedia *mand-ic-are, variante di lat. mand-uc-are, che in italiano arcaico del resto aveva dato manic-are ‘mangiare’. Ma dietro l’angolo ci può essere sempre un
imprevisto, che, nel caso di mangia-toia, assume le forme quasi simili alla radice di mang-er, cioè il fr. manche proveniente, come l’it. manica,
dal lat. man-ic-a(m) ‘manica’.
Il fr. manche, ha anche il
significato di ‘stretto (di mare), tubo (di seta o metallo)’, significato che,
come spiegherò, non è dovuto ad un uso metaforico di manche ‘manica’, la quale
assomiglia a un tubo, ma io direi meglio che è un tubo. E’ superfluo ricordare
il Canale della Manica (fr. Manche),
tra la Francia e la Gran Bretagna.
Gli inglesi chiamano lo stretto
in questione semplicemente the Channel
‘il Canale’, o anche the English Channel
‘ll Canale Inglese’, presi da sciovinismo: ma i francesi che lo sono molto di
più non lo hanno chiamato Canale Francese’.
Abbiamo detto che la realtà linguistica è spesso molto complessa ed
ingannevole, einfatti io vedrei dietro
quell’English un antico termine per
‘stretto, canale’, se penso all’aggett. ted. eng ‘sretto’ e al sostantivo
ted. Enge ‘luogo stretto’, come in Land-enge ‘istmo’ e in Meer-enge ‘stretto di
mare’. Anche il lat. ang-ul-u(m) ‘angolo, luogo chiuso, golfo’
credo sia della partita.
Ritornando al termine lat. e it. man-ica, che sembra un diretto derivato del lat. man-u(m) ‘mano’ in quanto ‘oggetto che concerne la mano’, bisogna fare alcune osservazioni. Intanto una manica, se è vero che arriva fino a
lambire, e talvolta coprire, la mano,
è più vero che essa è una copertura
del braccio, e quindi la definizione testé data mi pare un po’ scentrata. In italiano, poi, esiste un altro vocabolo
simile, ma per la verità con qualche significato poco noto, e cioè mano-pola il cui valore più diffuso è a
tutti noto: aggeggio che serve a regolare qualche meccanismo, mediante
rotazione dello stesso. Potrebbe però
richiamare, anche in questa funzione, la mano, anche se io ci credo poco. Ma la voce mostra anche il significato di ‘risvolto
di tessuto che orna le maniche di un vestito’, moda in uso soprattutto nel Seicento; anche qui la mano mi sembra introdotta a forza per
la spiegazione del termine. Il quale, invece, nel suo elemento –pola potrebbe richiamare il gr. pόl-os ‘rotazione, rivolgimento’ e
nell’elemento mano- ripeterebbe
un’idea di “cavità, rotondità” ricavabile da una radice abbastanza diffusa
nelle lingue come gr. mán-os, mόnn-os ‘collana’, lat. mon-il-e), col valore di ‘collana’, una
parola che, in altro articolo, mi sembrava indicare la serie di elementi
(perle) che la compongono. Questo fatto non costituisce un limite del mio
metodo, anzi lo avvalora sempre più, data la spiccata polivalenza delle radici
all’origine. Anche il lat. man-ic-a(m) aveva il significato, oltre che di ‘manica’, anche di
‘guanto, manopola (a difesa delle braccia dei soldati)’.
L’ingl. man-hole ‘botola,
boccaporto, passaggio d’ispezione’ non può essere nato dall’idea di “passaggio
attraverso il quale passa solo un uomo” ma dalla sola idea di passaggio in ambo
i membri, specializzatosi poi, per influenza di man ‘uomo’, nel modo che vediamo. Ma c’è di più. In gr. man-όs significa ‘scarso, raro, soffice, floscio, poroso’. Plinio
ci consegna il termine lat. man-on o man-os ‘specie di spugna’ (di chiara origine greca) la quale ha molti pori. Questa idea del “poco, scarso,
manchevole, ecc.” deve essersi sviluppata da quella di “cavità”, nella sua accezione
di “vuoto” e quindi di “assenza”, totale o parziale non importa; in italiano il
verbo mancare si presta ad indicare
le due cose. Esso proviene da it. manco<
lat. manc-u(m) ‘monco, manchevole, difettoso’
(cfr. ant. indiano man-ák ’un poco’), una radice probabilmente uguale a quella di man(i)c-a(m) ‘manica’ in quanto ‘tubo, passaggio,
vuoto, avvolgimento’ non in quanto legata a lat. man-u(m) ‘mano’. In greco mán-ēs
vale ‘coppa, vaso’. L’dea di “manchevole” è tale in quanto si riferisce a
qualcosa di assente parzialmente, ma avrebbe potuto avere anche quello di
assente totalmente , di qualcosa ,insomma, che combacia col vuoto o il nulla oppure
col poco, scarso , cedevole, soffice.
Allora la radice di lat. man-ic-a(m) ‘manica’, in questo significato di ‘cavità, buco, tubo’, è
secondo me presente anche nell’it. mangia-toia, in quanto recipiente o
cavità dove viene messo il cibo per
le bestie. Esso naturalmente si è nascosto
sotto il quasi sosia, formalmente, lat. mand-uca-tor-e(m) ‘mangiatore’ > *mand-icator-e(m)> man-ic-ator-e(m)> dial. ailellese magna-tόra. In francese si è avuto il verbo mang-er ‘mangiare’ e il sostantivo mange-oire ‘mangiatoia’ il cui primo membro qui nascondeva, però, il
primitivo manche ‘manica, nel senso che ho spiegato, e non mang-er ‘mangiare’.
L’elemento –tora più che indicare un nomen agentis, era un elemento tautologico rispetto all’altro,
accostabile a quello di lat. i-ter ‘via, cammino, passaggio’ e a tanti
altri.
Anche il verbo it. maneggi-are, considerato denominativo da mano, mi appare sospetto,
nonostante quella che sembrerebbe la sua prepotente evidenza. Basta leggere alcune definizioni datene dai
vocabolari, magari relative a strumenti di uso arcaico, per convincersi che la
radice man- doveva indicare anche un movimento rotatorio, un
rivolgimento, non importa se attuato con le mani (che ne sono diventate
illegalmente padrone assolute) o in altro modo. Trascrivo dal De Mauro, sotto
il lemma maneggio: “macchina costituita da un albero verticale,
mosso dalla forza traente di un quadrupede, comunicante il movimento ad altri
meccanismi”. Ancora dal De Mauro: ”in aeronautica, meccanismo rotante impiegato per determinare le
azioni aerodinamiche esercitate su un modello in movimento lungo una
traiettoria circolare (i corsivi sono
miei)”. Il maneggio in senso ippico, deve essersi incrociato anche con una
radice come quella del lat. mann-u(m) ‘cavallino’ sicchè esso dovè significare, in tempi
lontani, qualcosa come equitazione, ippica, provenendo da un significato generico di
‘rivolgimento, evoluzione’.
Il mang-ano è una
specie di grosso torchio adoperato per la manganatura di certi tessuti, cioè per
renderli più compatti e lisci. Ora il torchio
etimologicamente richiama il lat. torc-ul-u(m) ‘frantoio’, dal verbo torqu-ēre ‘torcere’, perché esso funziona facendo avvitare un piano
superiore su uno fisso sottostante, attraverso un perno a vite, e com primendo
così le olive o le vinacce interposte. Ricordo che il lat. troqu-e(m), della stessa radice, significa ‘collana’, in quanto avvolgimento. Lo stesso termine mang-anë a Trasacco-Aq
indicava l’arcolaio[1]
, strumento a ruota abbastanza diffuso
un tempo nei nostri paesi, quando le donne filavano, costituito essenzialmente
da una ruota girevole e da un cannula intorno a cui si avvolgeva il filo. Il termine esiste anche in greco in cui máng-an-on significa ‘asse di carrucola o
puleggia’. E’ insomma tutto un girare!
Il verbo it. man-tenere non credo
sia un derivato, come tutti pensano, della locuzione latina manu tenere
‘tenere con la mano’, ma penso contenga
la radice di lat. man-ēre ‘rimanere, attendere’, gr. mén-ein ‘restare, sostenere’.
Un’attenzione particolare merita il lat. manu-mitt-ĕre che si riferisce all’atto di liberare uno schiavo portandolo
per mano dinanzi al pretore e, dopo aver recitato alcune formule di rito come vade quo vis ‘vai dove vuoi’, mandandolo
via libero dalla sua mano (almeno così Ottorino Pianigiani dice sotto la voce manomettere nel suo dizionario
etimologico online): la mano simboleggiava la potestà del padrone sullo schiavo, e l’espressione forse era comunemente
intesa come ‘mandare via uno schiavo con un cenno della mano (manu)’. Ma io suppongo che anche qui i
romani erano vittima di un incrocio della parola man-u(m) ‘mano’ con un ormai scomparso aggettivo *man-u(m) ‘libero’, concetto inerente a quello di “vuoto” e quindi di “libero
da ingombri o incombenze”, che più sopra abbiamo attribuito alla radice di gr. man-όs ‘rado, scarso’. Il manu-mittere, dunque, non era altro,
all’origine, che il semplice lasciare andare
libero uno schiavo.
Per quanto riguarda l’inglese man-handle ‘manovrare a mano,
malmenare, maltrattare’, non ci crederei nemmeno se fosse vero alla convinzione
dei linguisti che l’elemento man-
vale ‘uomo’ e quindi il verbo significherebbe letteralmente ‘manovrare, spingere
mediante forza umana’. Io penso che si
tratta del solito composto tautologico, che ripeteva lo stesso significato nei due membri, e
pertanto man- corrispondeva al
lat. man-u(m) ‘mano’, come l’elemento –handle deriva da ingl. hand ‘mano’: il primo significato attestato
per man-handle [2] è
infatti quello di ‘brandire, impugnare un arnese’: qui l’idea di “uomo” non
c’entra affatto. In antico inglese esisteva anche il sostantivo mund
‘mano’ che conferma la possibilità della
presenza nell’antico inglese, o anche prima, di una radice man- per ‘mano’, secondo me.
‘Mannaggia
la puttana, quante e quali evoluzioni mi tocca fare, alla mia età!
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