Il termine solstizio
astronomicamente indica i due momenti dell’anno in cui il Sole raggiunge la
massima declinazione dall’equatore celeste, determinando il giorno più lungo in
un emisfero e contemporaneamente la notte più lunga nell’altro. Ci sono due solstizi, uno estivo (pressappoco 21 giugno) e l’altro invernale (pressappoco
22 dicembre). In latino la parola era sol-stiti-u(m)
composta da sol- (lat. sol-em ‘sole’) + stit-iu(m) ‘fermata’ < lat. st-are ‘fermare, fermarsi’.
In italiano il termine solstizio,
con l’aggett. solstiziale, si
riferisce quindi ad un momento particolare dell’apparente orbita del sole
intorno alla terra, e indica un solo momento, lo ribadisco, quello del passaggio da una stagione ad un’altra, fra la
primavera e l’estate e fra l’autunno e l’inverno. Però si dà il caso che in latino la parola sol-stiti-u(m) indicava sia il solstizio
astronomico, sia l’estate, la calura
estiva. Come mai? Per estensione del
suo significato astronomico —si dirà—, che però indicava solo l’arrivo
dell’estate. Ancora più sorprendente è
il significato dell’aggettivo lat. sol-stiti-al-e(m) che, oltre al significato, diciamo così, astronomico aveva
normalmente il senso di ‘solare, estivo’ e addirittura ‘di piena estate’.
Ora, questi fatti non si spiegano secondo me con il ricorso all’estensione dei significati ma con
fenomeni linguistici più diretti. Il termine dovrebbe essere composto
di due membri tautologici, e cioè sol-
+ -stiti-u(m)
, che qui sarebbe variante di stat-, presente in it. stagione < lat. stat-ion-e(m) che in molti dialetti
significa ‘estate’ e simili, come abbiamo visto negli articoli La stagione e La stagione (seguito) di qualche giorno fa, presenti nel mio blog
(aprile 2020).
Esistono in italiano e nei dialetti forme come stizzo e stizzone,
ricondotte dai linguisti all’it. tizzone <
lat. titi-on-e(m) ma che invece erano a mio
avviso autonome, derivanti dalla suddetta radice.
Il lat. sol-stiti-u(m) , inizialmente ‘sole, estate’ o
qualcosa di simile, si incontrò con una forma del verbo st-are ‘fermarsi’ e si specializzò ad indicare appunto il momento
astronomico del solstizio, ma, insieme all’aggettivo sol-stiti-al-e(m), non potè cancellare, anche i
precedenti significati di ‘calore, calura estiva’, benchè nella coscienza del
parlante dovesse essere ben chiaro l’apparente etimo legato al verbo st-are ‘fermarsi’.
E'
vano credere che la lingua sia un meccanismo creato in vista dei concetti
da esprimere: lo spirito si insinua in una materia data e la vivifica. La
maggior parte dei filosofi della lingua ignorano questa concezione, e tuttavia
nulla è più importante dal punto di vista filosofico[1].
[1] Cfr. F.
de Saussure, Corso di linguistica
generale Editori Laterza1976. (traduzione e commento di
T. De Mauro):
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