venerdì 11 ottobre 2019

La radice polimorfica del verbo abruzzese-meridionale ‘n-zëngà.




    Il verbo citato nel titolo significa generalmente ‘indicare, mostrare, insegnare, istruire’ ed è un derivato del lat. sign-are ‘segnare, contrassegnare, indicare, esprimere’, dal lat. sign-u(m) ‘segno, impronta, marchio, insegna, statua, ecc.’, con il prefisso in-. Il significato originario di sign-u(m) era propriamente ‘intaglio’ da una forma antica *sec-ĕre, class. sec-are ‘tagliare, segare, intagliare, scolpire’. Da notare anche l’abr. sénghë[1] ‘segno, incisione’ che, come vediamo, ha mantenuto chiaramente anche il significato di ‘intaglio’.  Il passaggio del nesso –ns- ad nz-  nell’originario *in-sign-are diventato *in-zign-are e poi ‘nzëngà non si è verificato l’altro ieri essendo dovuto nientemeno che all’influsso delle lingue del sostrato osco-umbro (che avevano già questa caratteristica), influsso esercitatosi quindi non appena il latino arrivò dalle nostre parti (circa il III - II sec. a.C.).  Per lo stesso motivo, ad esempio, l’it. pensare diventa, nel nostro dialetto, nz-à. Anche la forma abr. sénghë ’segno, incisione’  ha un antecedente  già nel seinq (col probabile valore di ‘statua’ o ‘ex voto’ dedicato alla dea Vittoria) di una iscrizione latina proveniente da Trasacco-Aq, della fine del III sec. a.C.[2]

   Da notare, passando dalla base latina al dialetto, l’esito gn > ng, cioè una vera e propria metatesi delle due consonanti. Un altro esito di lat. sign-are è il dial. sënà (presente in molti dialetti abruzzesi) ‘incrinare, lesionare’: a Luco dei Marsi, accanto a sënà ‘segnare, incrinare’, ricorre l’interessante  variante sinà  che assume, oltre al significato di ‘lesionare’, anche  quello di ‘curare (con pratiche e formule rituali, come particolari segni magici fatti sulla parte malata)’[3].  Sicuramente qui si è realizzato l’incrocio tra questo sën-à e l’it. san-are, come sospetta anche il Proia, autore del libro citato nel n. 3.  Ma il bello è che ad Aielli-Aq e altrove la forma sanà significava anche ‘incrinare, lesionare’, accanto alla forma più diffusa sënà ‘incrinare’. Tanto è vero che nel nostro paese ricorreva anche la voce san-ìcë ‘cicatrice’, la quale sembra tenere contemporaneamente dei due significati contrastanti, cioè del taglio e della sua guarigione. Infatti a Trasacco-Aq il verbo sanà  vale sia ‘sanare, guarire, accomodare’ sia ‘castrare (gli animali)’.

    Ad Aielli-Aq viveva ancora, nell’espressione cristallizzata mmàlë signe! (cattivo segno!), la forma arcaica di ségnë, la quale, buon’ultima, ci viene direttamente dall’italiano ségno. 

 Ma la forma sanà ‘incrinare, lesionare, castrare’  è proprio certo che sia dovuta alla confusione suddetta? No, perché potrebbe derivare, anche se solo in via ipotetica, da una antichissima radice *sac-, *sagn-, variante di lat. sec-are ‘tagliare, segare’, e ricavabile lat. sac-en-a(m) ’ascia’, variante a sua volta di lat. sc-en-a(m) ‘ascia’, in cui si è avuta la sincope della vocale –a- nel nesso  s(a)c-.  Quindi essa potrebbe anche essere un derivato di un probabile precedente lat. *sa(g)n-are ’tagliare’, non attestato perché magari caduto dall’uso.  Occhio alla penna! Effettivamente molti potrebbero essere gli incroci avvenuti nell’arco amplissimo della vita di un termine, il problema è talora decidere quale sia quello giusto.  

    Un altro derivato della radice in questione è la forma sinë ‘segno, linea’[4] (Luco dei Marsi-Aq. e altrove) con la caduta della velare –g- di lat. sign-u(m) ’segno’ ; a Cerchio-Aq la voce ha assunto il significato di ‘sporcizia (intorno ai polsi di camicie ed altri indumenti)’[5], cioè quello di macchia , concetto ben evidente nella espressione latina (Ovidio) cruor signaverat herbam ‘il sangue aveva macchiato l’erba’.  A Trasacco-Aq. esistono due forme, una maschile sinë ‘linea , traccia, incrinatura’ e l’altra femminile séna ‘linea, confine, traccia’[6]. Anche queste forme hanno antecedenti nella lontana antichità, come mostra un’epigrafe in una tavoletta bronzea trovata nel lago di Fucino, dove appare un seino= lat. sign-um ‘statua, ex voto’[7]. Si può quindi affermare, senza tema di essere smentiti, che per quanto riguarda queste parole i giochi di differenziazione semantica e di variazione formale erano stati fatti già intorno al III-II sec. a.C.

    Da quanto detto sopra si può concludere, allora, che molte sono le correnti linguistiche che hanno attraversato la storia di un vocabolo e di un dialetto, anche di una piccola comunità, e che pertanto è vano credere che la propria parlata sia qualcosa di unico nel contesto di tante altre. L’unicità, è vero, può essere anche giustificata dai particolari valori assunti da alcuni termini e dalla peculiare  pronuncia e calata, diversa da dialetto a dialetto, ma, come per il concetto di “razza”, ormai definitivamente tramontato, non si può assolutamente pensare che la propria parlata sia un prodotto limpido e incontaminato dei lontani antenati, pervenutoci senza ombra di impurità.  E’ questa un’idea falsa e irreale.  Viva i dialetti!

     



[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A.Polla editore, Cerchio-Aq, 2004..

[2] Cfr. C. Letta- S. D’Amato, Epigrafia della regione dei Marsi, Edit. Cisalpino-Goliardica, Milano, 1975, pp.193 e s..

[3] Cfr. G. Proia, La parlata di Luco dei Marsi, Grafiche Cellini, Avezzano-Aq, 2006.

[4] Cfr. G. Proia, cit.

[5] Cfr. F. Amiconi, Quaderni del museo civico di Cerchio-AQ,  Sito internet  www. Comunedicerchio. It

[6] Cfr. Q.Lucarelli, Biabbà, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq, 2003.

[7] Cfr. C. Letta-S. D’Amato, cit. pag. 321e s.

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