Tutti i vocabolari che ho, compresi quelli etimologici, sentenziano in
coro, senza tentennamenti, che il termine it. goccia è un derivato del
verbo gocciare risalente secondo loro ad una forma latina volgare *gutti-are ‘gocciare’, dal lat. gutt-a(m) ‘goccia’, attraverso la mediazione
settentrionale di gozzare ’gocciare’,
gozza ‘goccia’, corretta poi nel toscano gocciare e goccia. E così una pesantissima ed inamovibile pietra
tombale viene posta su quella che, secondo me, è la vera etimologia,
suggeritami proprio dalla voce abr. cόcchia
‘piccolissima quantità di un liquido’[1]. Sembra
quasi che lo stesso Bielli, dandone la definizione, abbia evitato di usare la
parola goccia sapendo che la voce
abruzzese più diffusa per ‘goccia’ è gottë, stizzë (incrocio tra gr. stílē ‘goccia’ e gr. stáz-ein ‘gocciolare’?), o la
forma aiellese vùtt-ëla, la cui
prima componente corrisponde al lat. gutt-a(m). Abbiamo visto altrove che la velare sonora iniziale nel
nostro dialetto tende a scomparire o a trasformarsi in fricativa sonora –v-.
La seconda componente –ëla è
il diminutivo latino femm. -ul-a (m)
presente anche in lat. gutt-ul-a(m) ‘gocciolina’. Ora
si dà il caso che il nesso consonantico –tl- dà in italiano lo stesso esito
del nesso -cl- come in it. vecchio < vetl-u-(m) < lat. vet(u)l-u(m) ‘vecchietto, vecchio’, in it.
secchio < sitl-u(m) <
lat. sit(u)l-u(m)’secchio’. Quanto al significato di probabilmente però
il Bielli voleva indicare quello che in italiano viene espresso dal termine
familiare goccio ‘piccola quantità di
un liquido’, come nell’espressione: Vorrei
un goccio di caffè. Ma il significato etimologico della voce abruzzese non
cambia.
Ora,
il lat. gutt-ul-a(m)
‘gocciola’, seguendo lo stesso iter, non poteva che dare, nel parlato, prima un
*guttël-a(m), poi un *guttl-a (m) (non importa se con la –t-
geminata) e infine un gucchia o gocchia diventato cόcchia nella voce
abruzzese per assimilazione della sonora –g-
alla sorda successiva –c- o
per semplice influsso della del termine omofono abruzzese cocchia
‘coppia’. Io ricordo benissimo, del resto, che la pronuncia dell’it. goccia, presso le persone poco
acculturate di Aielli-Aq, il mio paese, era cόccia.
Ma la storia non è finita. La voce cόcchia
‘goccia’ ci autorizza a credere che anche l’it. goccia abbia dietro di sé una storia simile, potendo la forma *gocchia < lat. gutt(u)l-a(m) assumere una pronuncia palatale goccia per lo stesso motivo per cui, ad
esempio, l’abr. coccia ‘testa’ deriva dal lat. cochle-a(m) ’chiocciola’. Vi sono talora delle incertezze
nell’abruzzese tra una pronuncia velare ed una palatale, come in aiellese cëcëlà
(arcaico chëchëlà) ‘cinguettare’, come abr. cìcëlë ‘bisbiglio,
ciottolo, endice (aiellese énëcë)[2]
cui fa riscontro, per il significato di ‘ciottolo’, il lancianese chichil-όnë ‘grossa pietra, grandine’.
Date
le precedenti considerazioni a me pare molto più probabile la derivazione
dell’it. goccia (col relativo verbo gocci-are) dal diminutivo lat. gutt-ul-a(m). Saranno stati i dialetti settentrionali a trasformare il
toscano goccia in gozza, e
non viceversa, dato che il supposto volgare lat. *guttiare (da lat. gutt-a(m) ‘goccia’) potrebbe essere, fino a
prova contraria, una vera e propria zeppa che mal sorregge l’impalcatura
interpretativa di tutti i linguisti, nonostante la forma spagn. gotear
‘gocciare’ che sembra provenire da un lat. *gutteare, *guttiare. Al limite, i settentrionali gozza,
gozz-are potrebbero essere prodotti autonomi
senza nessun rapporto con il toscano goccia. La cosa che non può essere ignorata è l’abr. cόcchia ‘goccia’, che pesa come un
macigno su queste supposizioni.
L’ho
sempre detto che la conoscenza capillare e completa di ogni dialetto, anche
solo di una zona non eccessivamente vasta (come ad esempio la Marsica),
risolverebbe non pochi problemi linguistici. Ed è un vero peccato che i politici in genere,
prodighi nel sostenere questa o quella sagra, questo o quell'intrattenimento,
non spendano nemmeno un baiocco per cercare di tenere in vita e soprattutto di
incentivare, con adeguate sovvenzioni a chi se la sentisse di farla, la
registrazione più accurata e completa dei dialetti locali compresi i toponimi,
che sono (cela va sans dire!) i beni culturali più preziosi di una comunità,
soprattutto di quelle più piccole.
A
noi! Viva Gabriele D’Annunzio!
Tutti i vocabolari che ho, compresi quelli etimologici, sentenziano in coro, senza tentennamenti, che il termine it. goccia è un derivato del verbo gocciare risalente secondo loro ad una forma latina volgare *gutti-are ‘gocciare’, dal lat. gutt-a(m) ‘goccia’, attraverso la mediazione settentrionale di gozzare ’gocciare’, gozza ‘goccia’, corretta poi nel toscano gocciare e goccia. E così una pesantissima ed inamovibile pietra tombale viene posta su quella che, secondo me, è la vera etimologia, suggeritami proprio dalla voce abr. cocchia ‘piccolissima quantità di un liquido’[1]. Sembra quasi che lo stesso Bielli, dandone la definizione, abbia evitato di usare la parola goccia sapendo che la voce abruzzese più diffusa per ‘goccia’ è gottë, stizzë (incrocio tra gr. stílē ‘goccia’ e gr. stáz-ein ‘gocciolare’?), o la forma aiellese vùtt-ëla, la cui prima componente corrisponde al lat. gutt-a(m). Abbiamo visto altrove che la velare sonora iniziale nel nostro dialetto tende a scomparire o a trasformarsi in fricativa sonora –v-. La seconda componente –ëla è il diminutivo latino femm. -ul-a (m) presente anche in lat. gutt-ul-a(m) ‘gocciolina’. Ora si dà il caso che il nesso consonantico –tl- dà in italiano lo stesso esito del nesso -cl- come in it. vecchio < vetl-u-(m) < lat. vet(u)l-u(m) ‘vecchietto, vecchio’, in it. secchio < sitl-u(m) < lat. sit(u)l-u(m)’secchio’. Quanto al significato di probabilmente però il Bielli voleva indicare quello che in italiano viene espresso dal termine familiare goccio ‘piccola quantità di un liquido’, come nell’espressione: Vorrei un goccio di caffè. Ma il significato etimologico della voce abruzzese non cambia.
Ora,
il lat. gutt-ul-a(m)
‘gocciola’, seguendo lo stesso iter, non poteva che dare, nel parlato, prima un
*guttël-a(m), poi un *guttl-a (m) (non importa se con la –t-
geminata) e infine un gucchia o gocchia diventato cocchia nella voce abruzzese
per assimilazione della sonora –g-
alla sorda successiva –c- o
per semplice influsso della del termine omofono abruzzese cocchia
‘coppia’. Io ricordo benissimo, del resto, che la pronuncia del termine it. goccia, presso le persone poco acculturate di Aielli-Aq, il mio paese, era solitamente coccia. Ma la storia non è finita.
La voce cocchia ‘goccia’ ci autorizza a credere che anche l’it. goccia abbia dietro di sé una storia
simile, potendo la forma *gocchia
< lat. gutt(u)l-a(m) assumere una pronuncia palatale goccia per lo stesso motivo per cui, ad esempio, l’abr. coccia
‘testa’ deriva dal lat. cochle-a(m) ’chiocciola’. Vi sono
talora delle incertezze nell’abruzzese tra una pronuncia velare ed una
palatale, come in aiellese cëcëlà (arcaico chëchëlà) ‘cinguettare’,
come abr. cìcëlë ‘bisbiglio, ciottolo, endice (aiellese énëcë)[2]
cui fa riscontro, per il significato di ‘ciottolo’, il lancianese chichil-όnë ‘grossa pietra, grandine’.
Date
le precedenti considerazioni a me pare molto più probabile la derivazione
dell’it. goccia (col relativo verbo gocci-are) dal diminutivo lat. gutt-ul-a(m). Saranno stati i dialetti settentrionali a trasformare il
toscano goccia in gozza, e
non viceversa, dato che il supposto volgare lat. *guttiare (da lat. gutt-a(m) ‘goccia’) potrebbe essere, fino a
prova contraria, una vera e propria zeppa che mal sorregge l’impalcatura
interpretativa di tutti i linguisti, nonostante la forma spagn. gotear
‘gocciare’ che sembra provenire da un lat. *gutteare, *guttiare. Al limite, i settentrionali gozza,
gozz-are potrebbero essere prodotti autonomi
senza nessun rapporto con il toscano goccia. La cosa che non può essere ignorata è l’abr. cocchia ‘goccia’, che pesa come un
macigno su queste supposizioni.
L’ho
sempre detto che la conoscenza capillare e completa di ogni dialetto, anche
solo di una zona non eccessivamente vasta (come ad esempio la Marsica),
risolverebbe non pochi problemi linguistici. Ed è un vero peccato che i politici in genere,
prodighi nel sostenere questa o quella sagra, questo o quell'intrattenimento,
non spendano nemmeno un baiocco per cercare di tenere in vita e soprattutto di
incentivare, con adeguate sovvenzioni a chi se la sentisse di farla, la
registrazione più accurata e completa dei dialetti locali compresi i toponimi,
che sono (cela va sans dire!) i beni culturali più preziosi di una comunità,
soprattutto di quelle più piccole.
A
noi! Viva Gabriele D’Annunzio!
[1] Cfr. D.
Bielli, Vocabolario abruzzese, A.
Polla Editore, Cerchio-Aq,2004.
[2] Cfr. D.
Bielli, cit.
muito Bom
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