L’espressione del titolo significa in abruzzese ‘emettere un suono
fesso’, detto di recipiente di terracotta incrinato. La forma n-gόccë
ha l’apparenza di una locuzione avverbiale che modifica il significato
di sunà ’sonare’, ma in alcuni
dialetti assume addirittura il valore di sostantivo col significato di ‘suono
fesso’. Il sostantivo viene accostato
mentalmente alla parola it. coccio o
ai suoi sosia dialettali, come se fosse formato dal nesso ‘in coccio’, ma
l’accostamento ha, a mio parere, un che di artificioso ed innaturale.
Senza andare troppo per le lunghe io penso che qui ci stia dietro una
semplice forma aggettivale *in-cuc(c)io, *in-coc(c)io dal significato di ‘incrinato, rotto’, forma che
rimanda alla radice di it. cocca, cioè la tacca della freccia, la quale non è altro che un intaglio in effetti. Me ne dà la conferma, a mio parere, il verbo abr. s-cuccà ‘scapitozzare’, significato che
letteralmente vale ‘tagliare la cima (di un albero)’; secondo me, però, in
questo caso la radice di s-cuccà, che in precedenza doveva
avere il significato tout court di
‘tagliare, potare, rompere’, si è incrociata con un’altra ben nota radice cuc(c)- per ‘cima, punta’. Gli incroci sono sempre dietro l’angolo! Quindi anche l’italiano regionale s-cocci-are
‘rompere (un oggetto fragile), e fig. seccare, infastidire’ non è a mio parere un
derivato di it. obsoleto coccia ‘guscio di crostaceo’ (da
lat. cochle-am ’chiocciola’), ma di una forma
simile al precedente *in-coccio
con la s- intensiva iniziale
e proveniente dalla radice di it. cocca (tacca), di cui sopra. L’abr. scuccià[1] significa
anche ‘tagliare i capelli fin quasi alla cotenna’, e con questo, se non ci
siamo liberati ancora della presenza fastidiosa della coccia ‘testa’ (che qui
però non viene rotta, ma indicherebbe solo il punto dove terminerebbe l’azione del tagliare o rasare),
abbiamo perlomeno scoperto il significato iniziale di ‘tagliare’ da attribuire
al verbo e agli aggettivi del tipo *in-coccio di cui sopra.
L’it. coccio considerato di
etimo incerto, oppure accostato all’italiano e regionale coccia di cui abbiamo parlato, è
invece da riportare proprio a questa radice per ‘tagliare, rompere’, in quanto
esso indica solitamente un pezzo
frantumato di recipiente di terracotta. Quando, invece, esso indica
l’intero oggetto di terracotta, è allora molto chiaro, almeno a me, che esso
avrà subito l’influsso di coccia da lat. cochle-a(m) ‘chiocciola’. La cosa
viene in qualche modo confermata dalla presenza di un abr.[2]
s-còcch-iëlë
‘coccio, pezzo di vaso rotto’ che
appare come ampliamento della radice s-cocc-, già incontrata col valore di ‘rompere,
spezzare’ e riaffermata negli abr. ac-cuccà (da *ad-cuccà)
e cuccà[3] ‘scapitozzare, tagliare a una pianta
i rami grossi e lasciare il tronco con pochi rampolli’. Del resto in abruzzese si ha anche cocchië
‘coccio’[4].
Ma
la storia dei significati continua perché le parole, come ho ricordato più
volte nei miei articoli, non sono nate l’altro ieri, ma migliaia di anni fa, e
spesso qualche decina di migliaia di anni fa.
Gli è che nel trapanese, ad esempio, il verbo italianizzato in-cocci-are
indica l’aggregarsi e amalgamarsi della semola, attraverso da
un lato il versamento di un certo quantitativo d’acqua nel recipiente, dove
essa era stata già posta, e dall’altro il girarla in continuazione con le dita della
mano[5]. Allora
è molto probabile che anche l’abr. e camp. cocchië ’coppia’ non siano da
derivare dal lat. copul-a(m) ‘legame,
catena, arpione’ come tutti pensano, ma attingano ad una radice simile a quella
di ingl. hook ‘gancio’, ted. Hack-en ‘gancio’ in un senso originario di ‘tenere
stretto, connettere’, non importa se con un gancio o in qualsiasi altro modo. L’ingl.
hook
assume anche il significato di ‘ curva, piega, ecc.’ (che dà vita a quello di ‘rotondità’ di it. cocco,
coccola ecc.),
come si può riscontrare (penso) nel trasaccano cocca ‘piega dei capelli’[6]. Ultraevidente mi pare così l’origine del termine marinaresco in-cocci-are ‘impigliarsi (della rete o della lenza in un ostacolo)’ e ancora ‘impegnare mediante un gancio ed eventualmente un anello’ e ancora ‘abboccare all’amo del pesce’ (significato che non scaturisce certamente dall’influsso del dialettale coccia ‘testa’, che pure c’è, dato che l’aggancio avviene nella bocca, parte della testa. E qui casca a fagiolo l’it. letterario in-cocc-are, in-cocc-arsi detto delle parole che stentano ad uscire dalla bocca e si arrestano, come se si incagliassero. Ma la maledetta testa riappare ancora, seppur meno evidente, nel verbo marinaresco di significato opposto s-cocci-are ‘sfuggire all’amo a cui aveva abboccato’, che si configura appunto come uno sganciarsi , e che non si può confondere col significato di ‘rompere, schiacciare’ né con quello di ‘seccare, disturbare’ che lo stesso significante, di volta in volta, assume.
come si può riscontrare (penso) nel trasaccano cocca ‘piega dei capelli’[6]. Ultraevidente mi pare così l’origine del termine marinaresco in-cocci-are ‘impigliarsi (della rete o della lenza in un ostacolo)’ e ancora ‘impegnare mediante un gancio ed eventualmente un anello’ e ancora ‘abboccare all’amo del pesce’ (significato che non scaturisce certamente dall’influsso del dialettale coccia ‘testa’, che pure c’è, dato che l’aggancio avviene nella bocca, parte della testa. E qui casca a fagiolo l’it. letterario in-cocc-are, in-cocc-arsi detto delle parole che stentano ad uscire dalla bocca e si arrestano, come se si incagliassero. Ma la maledetta testa riappare ancora, seppur meno evidente, nel verbo marinaresco di significato opposto s-cocci-are ‘sfuggire all’amo a cui aveva abboccato’, che si configura appunto come uno sganciarsi , e che non si può confondere col significato di ‘rompere, schiacciare’ né con quello di ‘seccare, disturbare’ che lo stesso significante, di volta in volta, assume.
C’è
una voce lucana (a Gallicchio-Pt) molto interessante che ci fa capire quanto
generici siano i significati di fondo delle parole. Essa è cucchië ‘una certa quantità’[7],
come ad esempio un gruppo di
persone. Allora bisogna desumere che
dietro questo termine ci sia un
significato più generico di ‘legame, connessione, aggregato’ come dietro l’abr.
e camp. cocchië ’coppia’ di
cui sopra, in cui l’aggregato è però
solo di due cose o persone. Un’altra osservazione importante mi pare
quella di pensare che l’it. obsoleto coccia ‘guscio di crostaceo, guscio’
nonchè l’it. dialettale coccia ’testa’ con gli archetipi
latino-greci da cui derivano, dietro un significato di ‘avvolgimento, rotondità,
guscio’ ad essi pur connesso, ne avessero un altro di ‘coagulo, aggregato,
indurimento, durezza’. Pertanto i verbi
dialettali in-cocci-are, in-cocci-arsi nel senso di ‘ostinarsi, intestardirsi’ non sono da mettere in
esclusivo collegamento con dialettale coccia
’testa’, ma col suo significato profondo di ‘compattezza, rigidezza,
durezza’. Naturalmente lo stesso
ragionamento va fatto per it. in-test-arsi
, in-test-ard-irsi dalla base di
lat. test-a(m)
‘tegola, pignatta, anfora, coccio, ecc.’. Il lat. test-e(m) ’teste, testimone’ non deriva dalla sua presunta funzione di
essere un terzo tra due contendenti, come si racconta, ma dalla sua semplice
funzione di ‘confermare (qualcosa)’, proprio nel significato etimologico di
‘rendere fermo, solido, consolidare’. La
radice è quella di lat. torr-ēre ‘disseccare, arrostire’, p.pass. tost-u(m) ‘arrostito’ da cui l’it. tosto ‘duro, sodo’. Il greco aveva
il verbo ters-ain-ein
‘disseccare, asciugare’ la cui radice si ritrova anche nell'ingl. thirst 'sete' e nel ted. Durst 'sete'.
Se l’it. test-ardo risulta attestato piuttosto tardi (sec.XVII) non bisogna
credere, per ciò stesso, che esso sia
nato in quel torno di tempo, ma avrebbe potuto, invece, sonnecchiare per lunga
pezza in qualche dialetto. No mi sembra,
d’altronde, che esso abbia l’aria di una formazione recente come vorrebbe farci
credere all’apparenza , ma che si avvicini piuttosto, per struttura, allo
spagnolo testa-rudo ‘testardo’
che deve essere abbastanza antico, in quanto composto da testa-, termine attualmente di natura letteraria,
diverso dall’usuale cabeza ‘testa’: perché mai, nel creare un nuovo termine del
linguaggio comune, si sarebbe sentito il bisogno di andare a scovare una parola
letteraria? La seconda componente -rudo vale ‘rozzo, duro, difficile’
e quindi, secondo i canoni della mia linguistica, essa rafforza
tautologicamente il concetto racchiuso in testa-. Anche il suffisso –ardo, di origine franco-germanica, conterrebbe inizialmente ,
guarda caso, il significato di germanico –hard
‘duro’. Del resto diversi sono in spagnolo i termini
familiari per testardo scaturiti dalla parola cabeza ‘testa’, come cabez-όn,
cabez-ota, cabez-udo.
Uno dei diversi aggettivi inglesi per ‘testardo’ è pig-headed, letter. ‘con la testa di porco, maiale (pig-)’. Ma questo animale è particolarmente testardo? A me non pare, pur essendo stato in passato a contatto con alcuni di essi, essendo figlio di contadini che ogni anno allevavano per la famiglia il loro bravo maiale. L’espressione suddetta non può riferirsi alla forma della testa dell’animale, perché non avrebbe senso. La strada da seguire, a mio parere, per individuarne il giusto etimo, è indicata dall’ingl. pig (principalmente scozzese)‘pentola, vaso, coccio’. In questo caso bisognerebbe rivedere anche la tradizionale etimologia dell’it. pign-atta, il quale non va riportato al lat. pine-a(m) ‘pigna’, a cui la pignatta assomiglierebbe, ma alla stessa radice del suddetto ingl. pig ‘pentola’ nonché a quella di gr. pykn-όs ‘denso, fitto, compatto, duro’, dell’avverbio gr. pýka ‘in modo compatto’ e del lat. pugn-u(m) 'pugno'. Il significato fondamentale della radice indicherebbe, quindi, la durezza e la compattezza di una terracotta e del suo guscio, come abbiamo visto per it. testa. Quindi dietro il termine pignatta va posta una forma *pign-ata e non *pine-ata. G. B. Pellegrini, distaccandosi dalla tradizione, propone una derivazione da un lat. parlato *pinguia(m) (ollam) da pinguis ‘grasso’[1]: un recipiente, insomma, per conservare il grasso. La nota stonata di simili etimologie, come ho detto altre volte, è che esse sono “scentrate”, nel senso che falliscono di colpire nel segno, in quanto propongono come etimi parole che non si riferiscono direttamente alla cosa da spiegare, ma ad altro, simile in qualche modo nella forma. Mi vado invece convincendo sempre di più che la Lingua solitamente non opera in questo modo indiretto, nonostante le apparenze. Anche l’aggettivo it. pign-olo (di etimo tormentato e incerto) trova a mio avviso la sua pace nella radice suddetta: l’avverbio gr. pýka sopra citato significa anche ‘accuratamente, con precisione’: che vogliamo di più?
Uno dei diversi aggettivi inglesi per ‘testardo’ è pig-headed, letter. ‘con la testa di porco, maiale (pig-)’. Ma questo animale è particolarmente testardo? A me non pare, pur essendo stato in passato a contatto con alcuni di essi, essendo figlio di contadini che ogni anno allevavano per la famiglia il loro bravo maiale. L’espressione suddetta non può riferirsi alla forma della testa dell’animale, perché non avrebbe senso. La strada da seguire, a mio parere, per individuarne il giusto etimo, è indicata dall’ingl. pig (principalmente scozzese)‘pentola, vaso, coccio’. In questo caso bisognerebbe rivedere anche la tradizionale etimologia dell’it. pign-atta, il quale non va riportato al lat. pine-a(m) ‘pigna’, a cui la pignatta assomiglierebbe, ma alla stessa radice del suddetto ingl. pig ‘pentola’ nonché a quella di gr. pykn-όs ‘denso, fitto, compatto, duro’, dell’avverbio gr. pýka ‘in modo compatto’ e del lat. pugn-u(m) 'pugno'. Il significato fondamentale della radice indicherebbe, quindi, la durezza e la compattezza di una terracotta e del suo guscio, come abbiamo visto per it. testa. Quindi dietro il termine pignatta va posta una forma *pign-ata e non *pine-ata. G. B. Pellegrini, distaccandosi dalla tradizione, propone una derivazione da un lat. parlato *pinguia(m) (ollam) da pinguis ‘grasso’[1]: un recipiente, insomma, per conservare il grasso. La nota stonata di simili etimologie, come ho detto altre volte, è che esse sono “scentrate”, nel senso che falliscono di colpire nel segno, in quanto propongono come etimi parole che non si riferiscono direttamente alla cosa da spiegare, ma ad altro, simile in qualche modo nella forma. Mi vado invece convincendo sempre di più che la Lingua solitamente non opera in questo modo indiretto, nonostante le apparenze. Anche l’aggettivo it. pign-olo (di etimo tormentato e incerto) trova a mio avviso la sua pace nella radice suddetta: l’avverbio gr. pýka sopra citato significa anche ‘accuratamente, con precisione’: che vogliamo di più?
[1] Cfr.
Cortelazzo-Zolli, DELI Dizionario
Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna, 2004.
L’it. in-cocc-are, cioè applicare la cocca
della freccia sulla corda dell’arco per poterla lanciare, richiama la cocca
(tacca) solo di straforo,
perché se la trova lì davanti, ma all’inizio il verbo aveva il significato
quasi uguale a quello di siciliano in-cocci-are ‘legare, aggregare,
amalgamare’, sopra incontrato, ed indicava direttamente l’azione del
‘connettere, unire’ la cocca alla
corda. Pure l’it. in-cocc-iare, nel senso di ‘incontrare,
urtare’ è appunto un venire a contatto, anche se più o meno violentemente, con
qualcuno o qualcosa. Allora, l’opposta azione dello s-cocc-are
la freccia si configura, a mio parere, come un ‘disincagliare, staccare,
lanciare’ simile a quello già incontrato di s-cocci-are, detto del pesce che riesce
a sfilarsi dall’amo cui aveva abboccato.
Lo s-cocc-are delle ore può
spiegarsi come un “lancio” o una “emissione” di suono, allo stesso modo in cui si
scoccano parole ostili e
occhiatacce verso qualcuno che non ci garba.
C’è anche da supporre un incrocio con la voce cuc(c)ù del canto del
cuculo, ritenuta erroneamente
onomatopeica. Si incontra anche un
regionale (centrale) in-cocci-are ’stordire, frastornare
(di rumore)’, proveniente secondo me non dal dial. coccia ‘testa’, ma dalla suddetta voce
falsamente onomatopeica, presentando una struttura simile a quella, ad esempio,
di it. in-tron-are, da it. trono
‘tuono’.
L’abr.
cocchië
‘crosta (del pane), rosicchio (se vi si vedono i segni d’essere stato
rosicchiato o comechessia mangiato), corteccia (del cacio), guscio (noce,
mandorla, uovo, ecc.), coccio, coppia’ riassume diversi valori della radice che
abbiamo analizzato.
Tutte
le considerazioni precedenti ci avvertono di come siano straordinariamente cangianti
e versicolori i significati dei termini, i quali nella loro lunghissima vita,
si sono incrociati e hanno fatto
conoscenza con molti altri sosia, spesso apparenti. Per questo la ricerca di un
etimo incontra molti scogli e pericoli contro cui incocciano spesso anche
persone ben addestrate, soprattutto se esse non si siano ben convinte di questa
natura estremamente sfuggente delle parole.
[1] Cfr. D.
Bielli, Vocabolario abruzzese, A.Polla
editore,Cerchio-Aq 2004.
[2] Cfr.
Bielli, cit.
[3] Cfr.
tutte e due le voci sub v. accuccà,
nel Bielli, cit.
[4] Cfr.
Bielli, cit.
[5] Cfr il
seguente sito internet in cui è dato
anche il significato del verbo incocciare: https://www.ilgiornaledelcibo.it/come-incocciare-il-couscous/
[6] Cfr.Q.
Lucarelli, Biabbà , Grafiche Di
Censo, Avezzano –Aq, 2003 .
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