L’aiellese-abruzzese-meridionale sëllùzzë.
Credo che ancora oggi più o meno
tutti i miei compaesani, compresi quelli più giovani, capiscano il significato
della parola aiellese-abruzzese sëllùzzë che equivale all’it. singhiozzo < lat. singult-u(m), ma che si usa (forse mi
illudo che si usi ancora) solo per indicare quel fenomeno fastidioso , in
genere di breve durata, dovuto alla contrazione del diaframma e alla chiusura brusca
della glottide (la valvola che separa l’apparato respiratorio da quello digerente)
e che si manifesta in un “hic” ripetuto più volte. I singhiozzi del pianto non mi sembrano
essere contemplati nel suo significato.
Oggi
sono molti i ragazzi che studiano l’inglese cui potrebbe suscitare almeno curiosità
la notizia che la radice di sëllùzzë si ritrova in un noto verbo irregolare ingl. sing (pass. sang, p. pass. sung) ‘cantare’. Oddio! Il singhiozzo non è proprio un canto, piacevole
o stonato che sia, ma ormai sappiamo che
la Lingua all’origine non faceva distinzione tra suoni belli e brutti, acuti e
bassi, indicando solo il concetto generico di “suono, rumore”. G. Devoto
sostiene questa stessa derivazione del termine singulto[1]
supponendo anche un presunto verbo lat. *singul-ere ‘cantare’.
Per
arrivare alla forma dialettale sëllùzzë bisogna partire dunque da
lat. singult-u(m) e passare attraverso la metatesi *singlut-u(m).
La metatesi è appunto una inversione di lettere (qui ul > lu),
normale nel parlato, di due suoni contigui o comunque successivi. Qui essa
forse è avvenuta per influsso di lat. glutt-ire ‘inghiottire’. A questo
punto in italiano la palatalizzazione (molto frequente anche nei nostri
dialetti) della consonante –l-, cioè la sua trasformazione in
una sorta di –ji- ha dato come esito
la parola singhi-ozzo, anche con la trasformazione della –t-
in una affricata raddoppiata –zz-, sulla scia di termini latini
come station-e(m) ‘stazione’, lat. action-e(m) ‘azione’. Quindi bisogna presupporre un latino parlato *singlut(i)um con una –i- (anche una –e-)
tra la –t- e la –u- prima del passaggio a singhiozzo. La citazione della parola lat. action-em mi offre l’occasione di accennare al
fatto che tra la forma scritta italiana e la sua pronuncia c’è una notevole differenza,
anche se noi tendiamo a non accorgercene.
In effetti la parola la scriviamo con una sola –z- ma la pronunciamo,
giustamente (perché in latino si avevano le due consonanti –ct- che hanno prodotto nella
pronuncia italiana un rafforzamento della –z-), come se si fosse passati da una
forma *aczione al semplice azione.
Il
fatto è che la grammatica italiana, non ricordo in quale epoca, ha stabilito
che le parole terminanti in –zione si scrivono con una sola –z-,
qualunque sia la sua pronuncia,
semplice, come ad esempio in situazione (lat. situation-em) o doppia, come ad esempio in concezione, perché
proveniente da un lat. conception-e(m)), dove la –t-
è preceduta da una –p-. Ma in it. stazione, e in altre parole, si ha la pronuncia doppia, anche se
il lat. station-e(m) presenta una –t-
non preceduta da consonante. In questi casi, evidentemente, si fa sentire l’analogia
con le parole che si pronunciano a ragione con la –z- doppia.
Tornando alla forma parlata metatetica *singlu-tu(m) si può
supporre che la consonante velare –g-, come succede abbastanza spesso,
sia caduta lasciando un *sinlut-u(m) subito assimilato in *
sillut-u(m) > sëlluzzë. Nel dialetto lucano di Gallicchio-Pt. si
ha la forma sëgliùzz-ëchë[2] con la palatalizzazione della doppia –ll- e l’aggiunta del suffisso –ëchë.
In italiano si incontra anche il termine
letterario singulto preso
direttamente dal latino classico singult-u(m), di cui sopra, che ha anche il significato di ‘verso di
animale (vagamente simile ad un singulto?)’
come nei versi famosi dei Sepolcri dell’immortale
Foscolo: E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna,/
l’ùpupa, e svolazzar su per le croci/sparse per la funerea campagna,/e l’immoda
accusar col luttuoso/singulto i rai di che son pie le stelle/alle obblîate
sepolture.
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