Sono pochi, e di una certa età, quelli che nel mio paese di Aielli-Aq conoscono il significato della parola in epigrafe che è ‘capo, caporione’,
usata, come ben ricordo, ad indicare il capo
di una combriccola, magari di ragazzi, che hanno commesso qualche marachella o
atto non proprio lodevole nei riguardi di una persona o di tutta la comunità.
Ora a me pare che il primo elemento del termine capës- non debba essere altro che il supposto lat.
volgare o medievale *capus, oris ‘capo, testa,
comandante’ il quale sarebbe alla base di it. capor-ale e sarebbe una variante di classico cap-ut, -itis ‘capo, testa, persona, comandante, ecc.’. E fin qui tutto mi
sembra scorrere accettabilmente. Le difficoltà si affollano intorno al secondo
elemento –dòzië.
A mio parere in questo caso siamo di fronte ad un termine composto
tautologico, come ne abbiamo incontrati tanti nei miei articoli. La seconda
componente –dozië deve quindi avere
lo stesso significato di ‘capo’.
Il
termine ricorre anche a Luco dei Marsi col significato di ‘caporione’ e anche,
spregiativo[1], di
‘capo scarico’. Ora, siccome l’espressione italiana capo scarico non mi pare del tutto negativa equivalendo a quella di
capo ameno riferita ad un a persona
‘allegra, un po’ bizzarra e mattachiona’ ma in fondo ‘simpatica’, credo che il Proia, autore del libro citato,
intendesse indicare una persona poco assennata, sconsiderata, come può essere
talora un caporione che sobilla il popolo. Ma a San Demetrio nei Vestini-Aq. la parola,
scritta capes-dòzie, indica un ‘capo’ senza nessuna sfumatura negativa, anzi, l’opposto, visto che
quel termine accompagna anche il nome del protettore San Demetrio, capes-dozie ‘capo’ di tutto il paese[2]. Ad Avezzano-Aq. il suo significato è quello
di ‘comandante’[3].
Io
non ho mai incontrato nei dialetti abruzzesi una voce dozië, dozë, duzië, duzë, ecc. che significasse qualcosa come
‘capo’. Si incontra certamente la voce duce riferita però solo al capo del
fascismo, troppo recente per essere presa in considerazione per il nostro
problema; si trova anche il termine storico it. duca che è voce tratta
dal greco bizantino doύka, accusativo
di doύks, preso a sua volta dal lat. duc-e(m) ’duce, guida’ o direttamente dal
nominativo lat. dux ‘duce, guida’. Credo
anche che sia da scartare la voce veneziana e genovese dòge (con la –ò-
aperta) ‘capo supremo della repubblica’, che oltre tutto pare sia una
correzione toscana dell’originario veneziano dόse o dόze (con le due –ό- chiuse e con pronuncia
fricativa sonora della –z-).
Nel nostro –dòzië si ha una pronuncia affricata dentale sorda della –z-,
equivalente a un –ts-.
Tagliando la testa al toro, io credo che la radice di questo –dozië
sia da ricercare tra le diverse varianti della radice della voce familiare tetta
‘mammella, capezzolo’ diffusa quasi dappertutto in Europa comprese le
lingue germaniche. La radice, quindi, a
mio parere dovrebbe indicare, nel fondo, un rilievo,
una protuberanza, sia essa piccola o grande. In inglese si ha tit ‘mammella, poppa’, teat ‘capezzolo’; in tedesco Zitze
‘capezzolo’[4];
in greco si ha titth-όs ‘poppa,
petto materno’; in spagn. teta ‘mammella, poppa’; in francese tét-on’mammella,
tetta’, e anche tét-in ‘capezzolo’. In
latino doveva evidentemente esistere una parola simile, vista la presenza della radice in
tutte le lingue romanze. Difatti si cita
una forma *titt-a(m) ‘tetta’ che io scrivo con l’asterisco non avendola trovata nei
miei vocabolari. Qualcuno indica anche una variante *titi-a(m) ‘tetta’[5]. Non so se queste forme siano attestate da qualche
parte, ma è molto probabile che esistessero, sia pure in un latino parlato, popolare.
In
inglese si ha anche il termine dot ‘punto, puntino’ che è messo in
relazione con la radice dei citati tit ‘mammella’ e ‘capezzolo’. In antico inglese dott indicava la ‘testa,
punta di un foruncolo’ e nell’antico
alto tedesco tuta valeva appunto ‘capezzolo’. Che questi nomi potessero indicare, oltre
alla mammella e al capezzolo, anche punte, cime,
alture ci è garantito dall’island. tūta ‘acuta sporgenza’ e dall’altra forma zinna
presente nei dialetti abruzzesi, laziali e umbri col valore di ‘mammella, seno’
e nel dialetto corso, con la forma zénna ‘estremità, punta’[6]. La parola si fa derivare dal longobardo zinna
‘merlo, prominenza, sporgenza’ ed è presente anche nel tedesco Zinne ‘merlo, picco,
cima’ che confronta con l’ingl. tine
‘punta di forca o forchetta’. Una curiosità: a mio parere anche il
monte Tino, altrimenti noto come la Serra di Celano-Aq, appartiene a questa radice. Anche un capezzolo
si può trasformare in cima, punta come nello spagnolo
cabez-uelo ‘cima di una
collina’[7],
diminutivo di spagn. cabeza ‘testa’. Il
monte Pizzo Deta che con i suoi
2041 m. svetta sui monti Ernici, al confine tra la valle Roveto (Marsica) e il
Lazio meridionale, a mio avviso non fa altro che ripetere, con Pizzo, lo stesso significato preistorico di Deta, cioè ‘pizzo, punta,
protuberanza’. Naturalmente si crede popolarmente
che il nome indichi le di
una mano, chiamate in dialetto deta < lat. digit-u(m):
con la normale caduta della gutturale –g- si è avuto al singolare ditë,
in it. dito, e al pl., corrispondente all’italiano pl.
irregolare dita. Ma la sagoma
triangolare e appuntita del monte, visto da una certa distanza, narra
tutt’altra storia.
Senza
farla troppo lunga, io credo che la seconda componente di capës-dozië ripeta
tautologicamente il significato di ‘capo’ della prima componente, e che essa sia
il derivato di una forma volgare latina*dot-em oppure *doti-um con i significati di punta,
capo (anche con valore metaforico di
‘comandante’) ma scomparsa nell’uso isolato non tautologico . Essa è presente anche nel lat. sacer-dot-e(m) ‘sacerdote’ nel
significato di ‘capo’ in ambedue le componenti, o anche nel significato di
‘capo, padre santo’. Non condivido
l’etimo solito con cui si spiega il termine più o meno come ‘colui che effettua
i sacrifici’ quindi ‘ministro addetto ai sacrifici’, attraverso la radice
verbale indoeuropea /dhe/ col significato di ‘porre’
o ‘fare’.
In ultimo vorrei citare il lat. tut-ul-u(m)
‘berretto a forma di cono’ e ‘acconciatura dei capelli a forma di cono’
da confrontare con it. tut-olo, il torso a punta della pannocchia di granturco. E così trova pace, almeno spero, anche
l’etimo del lat. tit-ul-u(m )il quale,
come il lat. capit-ul-u(m) ‘piccola
testa, capitolo, titolo’, indica
qualcosa che ha a che fare con la testa,
il capo, la punta, la sommità.
In alcuni paesi si incontra anche la forma capataz ‘capo’ e simili. In questo caso credo si si avuta la sovrapposizione dello spagnolo capataz ‘capo’ su un originario capes-dozie.
In alcuni paesi si incontra anche la forma capataz ‘capo’ e simili. In questo caso credo si si avuta la sovrapposizione dello spagnolo capataz ‘capo’ su un originario capes-dozie.
[1] Così si
esprime G. Proia, autore del libro La
parlata di Luco dei Marsi,, Grafiche Cellini, Avezzano-Aq 2006.
[2] Cfr.
sito web: https://www.facebook.com/notes/cardabello-san-demetrio-ne-vestini/lu-pranzitte-de-san-giuseppe-alli-19-de-marze/10152329309087628
[3] Cfr.
Buzzelli-Pitoni, Vocabolario del dialetto
avezzanese,, (senza indic. dell’editore),
2002.
[4] Cfr.
veneto zizza ‘mammella’; abruzz. zìzzë
e zézzë ‘mammella, poppa’, diverso da aiellese-abruzz. sésa ‘mammella’ , abruzz. sìsë ‘mammella’, aiellese masch. sìsë ‘capezzolo’,
da connettere col serbo-croato sisa ’mammella’.
[6] Cfr,
Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani,
UTET Torino 1998, s.v. zinna,
[7] Cfr. il vocab.
etimologico di O. Pianigiani in rete, s.v.
capezzolo.
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