Il
valore della parola in epigrafe è ‘garante, mallevadore’[1] e si
confonde con l’altra parola, talora presente nei nostri dialetti, che suona
allo stesso modo, préggë,
ma
significa ‘pregio’. Quest’ultimo termine deriva dal lat. preti-u(m)
’prezzo, costo, valore’ che in italiano ha dato come esito anche
l’altra variante pregio, con valore spesso
ideale di qualità, virtù diverso da quello prettamente mercantile di prezzo. Ad Aielli-Aq, guarda
caso, non mi pare che ci sia una voce u préggë né nel significato di ‘il
pregio’ né, tanto meno, in quello di ‘il
garante’. A Trasacco-Aq, invece, si
incontra sia il sostantivo préggë, con il doppio significato di
‘pregio’ e di ‘garante’, sia il verbo prëggià sempre col doppio significato
di ‘apprezzare, stimare, pregiare’ e di ‘garantire, dar sicurezza’[2].
E’ a
mio parere molto chiaro che il significato di ‘garante’ fa derivare il vocabolo
dal lat. praes, gen. praed-is che significa ‘garante, mallevadore’ ma anche
‘garanzia, pegno’. Ugualmente il lat. praedi-u(m) ‘fondo, podere’, ha, secondo i
linguisti, la stessa radice indicante la ‘garanzia, cauzione’, essendo
automaticamente qualsiasi proprietà un bene utile ipotecabile per ogni
eventualità. Come per il lat. di-urn-u(m) l’elemento di- si è trasformato nel suono palatale –gi-, così per quanto riguarda praes, praedis
‘garante, garanzia’ si è avuto l’esito dialettale préggë, anche se
l’accusativo, da cui solitamente derivano i corrispettivi termini italiani e
dialettali, è praed-e(m): ma
evidentemente è intervenuto un incrocio, al livello del parlato, con lat. praedi-u(m) ‘fondo, podere’, il quale in
italiano è presente solo con la voce dotta predio,
che è quindi un ripescaggio diretto da parte dei dotti del sec. XV, e non una
voce passata per la bocca del popolo, che spesso nei dialetti ha confuso questo
termine con l’it. pregio, come
abbiamo visto.
Una
curiosità. Navigando in internet ho
incontrato l’espressione ‘U pregge riferita ad una singolare
e molto seguita cerimonia che si svolge nel corso della festa patronale
dedicata a san Cataldo a Taranto. Prima
che inizi la festa un corteo composto dalle autorità civili, con in testa il
sindaco, si reca alla cattedrale dove è in attesa il vescovo con tutto il
Capitolo Metropolitano. Le autorità religiose consegnano al Sindaco la statua
argentea di san Cataldo, da essere portata in processione per terra e per mare,
dopo aver stilato e firmato un verbale dove esse hanno indicato con meticolosità
il comportamento da tenere, durante la processione, dal popolo e dalle stesse
autorità. Una volta c’era addirittura la presenza di un notaio a garantire la
legalità del verbale.
Attualmente il significato preciso dell’espressione dialettale ‘U
pregge non è noto; il vocabolo deve essere caduto dall’uso se qualcuno,
compreso il vescovo, tenta di darne il significato di ‘prestigio’ o di
‘privilegio’, basandosi su una certa assonanza e sul fatto che la consegna
della statua di san Cataldo deve essere considerata un privilegio per il Sindaco e la cittadinanza tutta che
rappresenta. A me pare quasi
inspiegabile la scomparsa del significato di questo vocabolo dal dialetto tarantino,
soprattutto perché il termine, essendo legato a questa sentita cerimonia
religiosa, avrebbe incontrato un ostacolo insormontabile per la perdita del suo
significato, visto anche che l’origine del culto di san Cataldo non può
risalire più indietro del VII sec. d. C., epoca in cui sarebbe vissuto il
monaco irlandese Cataldo divenuto poi santo. Ma già
lo storico irlandese John Colgan (sec.
XVII) sosteneva che il monaco fosse vissuto tra il IV e il V sec. d.C., nell'epoca di san Patrizio.
Ora,
avrete forse già capito che io sarei propenso a dare a questo pregge
lo stesso significato di ‘garante, garanzia’ di cui ho parlato sopra.
Secondo me, con questa voce, all’inizio, indicava il certificato di garanzia stilato dal vescovo o dal notaio, nella
singolare cerimonia di inizio festa. Successivamente l’espressione passò a
designare la cerimonia stessa. Ho visto, però, che in alcuni commenti
internettiani relativi a questo evento appaiono quasi di soppiatto le parole garante o garanzia nel senso che il sindaco si farebbe garante dinanzi alle autorità religiose di quello che era stato
scritto nel verbale, o che il Santo, uscendo dalla basilica, sarebbe garanzia,
per tutta la città, della sua amorosa protezione. Ora, se si potesse appurare che in tutti i
dialetti meridionali, o almeno nelle zone attorno a Taranto dove il termine in questione eventualmente
compaia, esso ha il significato di aggettivo o di aggettivo sostantivato
‘garante’ e non di sostantivo ‘garanzia’, allora si avrebbe un argomento in più
per sostenere che a Taranto
l’espressione ‘U pregge proviene direttamente dal latino, in cui
la voce corrispondente aveva anche il significato di ‘garanzia’, e che essa non
vi è pervenuta da qualche dialetto delle vicinanze.
In
casi come questo, io sono in genere propenso a far risalire alla romanità, o
addirittura alla preistoria, l’origine di un culto, inizialmente pagano, su cui andò a sovrapporsi quello
cristiano di san Cataldo, col favore, magari, di qualche toponimo
preesistente. Bisognerebbe però
confortare questa ipotesi con qualche altro elemento concreto.
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