Penso che nessuno abbia mai fatto ben
caso alla interiezione aiellese (ma anche trasaccana[1]) oddia!
che a prima vista sembra corrispondere all’it. oh Dio! o anche oddio!
esprimente dolore o sorpresa, come del resto sostiene lo stesso Quirino
Lucarelli autore del libro citato, sul dialetto di Trasacco-Aq. E’ quella –a- finale
che chiede, birichina, di essere spiegata, come sfidandomi, data la mia vantata
conoscenza in materia di derivazione dei vocaboli.
In verità già in altra occasione mi pare di averne data una spiegazione che ripeto anche qui,
magari ampliandola. L’it. masch. Dio
nel nostro dialetto, ma anche nelle altre parlate marsicane a me note,
suona Ddi’ oppure Ddìë, mai Ddia o Dia, e non ci sono cristi
che tengano! E’ vero che esiste in dialetto anche l’altra espressione oddì’
che potrebbe essere fatta derivare dall’it. oddio! con la pronuncia
dialettale di Dio, cioè Ddì’, ma data la presenza del nostrano
oddìa!
mi pare preferibile trarla da quest’ultima con la normale caduta dell’ultima
–a- oppure con la sua riduzione al
suono indistinto –ë- (come avviene a Celano-Aq per la –a- femminile finale di parola dove essa resiste - forse anche maschile), anche se potrebbe essere
comunque intervenuto l’influsso della rispettiva forma italiana. Da ragazzo sentivo spesso, anche da mia
madre, l’espressione simile uddé, sempre col significato di oddio!;
qui mi pare evidente la presenza del lat. de-u(m) ‘dio’, che potrebbe anche essere al caso vocativo de-us, uguale al nominativo de-us. La /u/ iniziale potrebbe risalire all'interiezione lat. heu 'ahimé' , esprimente dolore. I dialetti talora conservano forme simili di varia origine. Ribadisco che in linguistica non c’è nulla, o
quasi, che possa attribuirsi al ghiribizzo o fantasia del parlante.
Allora, concludendo, quella birichina –a- di
aiellese-trasaccano o-ddìa! quale spiegazione può avere?
Io non sono riuscito a trovarne una migliore di quella che vede in –ddìa
il gr. Dia, accusativo di Zeύs ‘Giove’, la somma divinità indoeuropea della luce del giorno la cui radice di-
la ritroviamo nel lat. di-e(m) ‘dì, giorno’ e nel lat. di-urn-u(m) ‘diurno’, da cui l’it. giorno.
In greco esisteva l’interiezione ṓ con
valore vocativo, di sorpresa, di dolore ed era seguita in genere dal vocativo, nominativo,
o genitivo. In genere, però, le interiezioni non avevano funzione di elementi
reggenti, e potevano essere seguite da qualsiasi caso. Normalmente
però in greco l’espressione o Giove suonava
ṓ
Zeῦ con il nome al vocativo, ma
chi ci può dire quello che poteva essere avvenuto nelle molte parlate locali,
della Grecia, e di quelle che sono arrivate fin nei nostri dialetti, ricchi di
espressioni e termini greci, come ho mostrato in diversi articoli del mio blog? La particella affermativa greca nḗ ‘sì,
certo’ era, infatti quasi sempre seguita
dall’accusativo come, appunto, in nḗ Dia ‘sì, per Giove’.
Ma
non abbiamo finito! Ecco che viene ad intorbidare ancora le acque l’espressione
del nostro dialetto a-ddìa che ha
mantenuto, della corrispondente esclamazione di commiato dell’it.
addio, solo il valore di disappunto e di perdita di qualche cosa, come,
ad esempio, nell’espressione addìa alla bella bëcëchëllétta! (addio alla bella bicicletta!) in
riferimento, non so, ad una bicicletta rubata o ridotta ad un mucchio di
ferraglie dopo un incidente. Allora c’è
da supporre che l’espressione dialettale sia arrivata da quella italiana in
quel significato di disappunto e che essa abbia subito l’influsso formale della
preesistente espressione dialettale oddìa!, influsso che non si è verificato,però, nel trasaccano
addìë ‘addio, ciao’, dialetto
in cui esisteva la forma oddìa col
valore di dolore, come nella identica espressione aiellese.
Credo
che sia chiaro il motivo per cui, prudentemente, considero la mia soluzione
dell’espressione oddìa! preferibile a
qualche altra che rimandi semplicemente alla parola it. Dio, ma non certa al
cento per cento.
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