Leggo nel Vocabolario abruzzese di Domenico Bielli, il quale nelle parche spiegazioni dei lemmi usa un linguaggio toscaneggiante o comunque arcaico, accanto ai lemmi vernicē, verniscē, la traduzione ‘scintilla’, pl. ‘scintille’; seguita dall’aggiunta “le favolesche, se si brucia carta o frasca o foglie”. Un termine così strano, favolesca, che fa il paio con la stranezza del suddetto abruzzese vernicē, verniscē. L’ho cercato nei miei vocabolari italiani e l’ho trovato solo in quello antichissimo del Petrocchi, con i fogli gialli e staccati (lo aveva usato un mio zio, all’inizio del secolo scorso e l’avevo usato anch’io a scuola). Anche lì c’è una parchissima spiegazione, folena, che poi ho capito che era un refuso per falena (non trovandosi il termine in nessun vocabolario), altro nome usato in bolognese per ‘scintilla’, come ho potuto appurare in un sito internet.
Ora, a mio modestissimo parere, la forma originaria di vernicē, verniscē doveva essere *vern-isco che naturalmente aveva poco a che fare con l’italiano verno ‘inverno’ e tanto meno con it. vernice. La radice doveva essere infatti quella di ingl. burn ‘bruciare’, ted. brenn-en ‘bruciare’. L’aggettivo it. bruno è un derivato di questa radice, adoperata ad indicare qualcosa di scuro (arsiccio) e lucente. La costituente –isco non è affatto un suffisso aggettivale come avviene in molti casi (barbar-esco, roman-esco, franc-esco, ecc. ecc.). Essa ripeteva la stessa idea della prima, se il serbo-croato iskra vale ‘scintilla’. Ma richiama anche il lat. esc-a(m) ‘cibo, alimento’ derivato da verbo ed-ĕre ‘mangiare’, ingl. eat ‘mangiare’, ted. ess-en ‘mangiare’. In italiano il termine ha finito con l’indicare solo il cibo, vero o finto, che si usa per catturare qualche animale e significa soprattutto ‘allettamento, lusinga’. Ma presenta anche il significato di ‘materiale secco facilmente infiammabile usato un tempo per accendere il fuoco o dar fuoco alla polvere da sparo: in questo caso la parola si è senz’altro incrociata, in un momento della sua storia, con quella che indicava la scintilla, poi magari caduta dall’uso.
Di conseguenza la strana fav-ol-esca ‘scintilla’ di cui sopra mostra tutta la sua chiara natura luminosa e di fuoco delle sue (almeno due) componenti. Infatti la prima fav- è la stessa di lat. fav-ill-a(m) ‘favilla, scintilla’ e del dialettale (Collelongo-Aq) fav-όrë ‘grande fuoco, falò’ che fa il paio con fav-όnë (Trasacco-Aq) ‘grande fuoco, falò’ e con faόne, fav-όne (Rocca di Botte-Aq) ‘fiaccola di canapa che, accesa, si faceva ruotare velocemente in aria facendole descrivere un cerchio di fuoco’[1]. La seconda componente –ol- richiama la seconda di fav-ill-a(m) ‘favilla’.
Il termine faόne mi fa venire in mente i bei tempi in cui frequentavo il liceo ad Avezzano-Aq, e lessi la bellissima ode del Foscolo All’amica risanata, Il grandissimo Foscolo di cui mi innamorai tanto che passai più di qualche mese quasi fossi internamente e continuamente riscaldato ed esaltato dalla sua forza poetica. Faone era il nome della persona di cui, secondo una tradizione, l’infelice Saffo si innamorò incorrisposta. Non posso evitare di citare almeno, di quell’ode, la strofa che ne parla:
Ebbi in quel mar la culla,
ivi erra ignudo spirto
di Faon la fanciulla,
e se il notturno zeffiro
blando su i flutti spira,
suonano i liti un lamentar di lira.
La famosissima e grandissima poetessa Saffo (VII-VI sec. a. C.) dell’isola di Lesbo, evidentemente non si liberava tanto facilmente della luce se il suo suicidio avvenne precipitando nel mare dalla rupe di Leuc-ade, nell’isola greca omonima dello Ionio. Questi sono tutti tratti leggendari in cui ad un certo punto andò ad inserirsi la storia romanzata della poetessa intorno a cui e al suo tiaso di ragazze provenienti da tutta la Grecia fiorirono, com’era naturale, dicerie e pettegolezzi vari. In greco leuk-όs significa ‘luminoso, bianco, chiaro’ e condivide la stessa radice di lat. luc-e(m). E’ bene ricordare che Saffo era tradizionalmente considerata in due modi diversi: c’era chi la voleva brutta e incorrisposta in amore, ed è la versione seguita dal Leopardi nel suo splendido Ultimo canto di Saffo, e chi diceva, al contrario, che la poetessa fosse bellissima. Ma probabilmente vedeva giusto il grande poeta Alceo, suo conterraneo e coetaneo, che la chiamò “Saffo la bella, dai crini di viola e dal sorriso di miele’. Il suo nome, inoltre, si quasi sovrappone all’aggettivo greco saph-ḗs ‘limpido, chiaro’.
E così siamo giunti al dialettale falena ‘favilla’, nome che in italiano si riferisce ad una ben nota farfalla notturna che è attratta dal chiarore dei lampioni, intorno a cui gira. Falena è termine proveniente dal greco phál(l)-aina ‘balena’ e ‘falena’. Penso che il trait d’union tra i due significati sia quello di ‘animale’, ma qui ci interessa solo il suo valore di ‘falena’, l’animaletto attratto dalla luce: sembra un nome creato ad hoc, messo proprio per definire la caratteristica suddetta, ma si tratta solo di un banale incrocio col gr. phal-όs ‘bianco, lucente’, che ha piegato il suo iniziale significato per animale in quello di ‘(animaletto) della luce del lampione’. Falena in italiano indica anche una prostituta, certo in riferimento al fatto che la passeggiatrice si ferma generalmente presso un lampione per farsi vedere o, meglio, almeno in tempi molto lontani, perché era solita, come avviene anche oggi talvolta, accendere un fuoco nei luoghi fuori mano, al confine magari con la campagna, sempre per farsi notare e magari scaldarsi d’inverno. Ma, se ci riflettiamo, con queste spiegazioni siamo in fondo sempre nell’ambito di significati che però si basano su usi, atteggiamenti esterni rispetto al nudo e crudo prostituirsi. Per questo valido motivo suppongo che dietro questo nome che indica il mestiere più antico del mondo possa esserci qualche significato più diretto. Il lat. fall-ĕre ha normalmente il significato, presente in altre lingue, di ‘(far) cadere, ingannare’ ma anche talora quello di ‘attenuare, addolcire, compiacere’, fatto che può dare a falena il senso di ‘datrice di piacere, donna di piacere’. Anche il ted. ge-fall-en, composto di ted. fall-en ‘cadere’, significa ‘piacere, riuscire gradito’. La falena in questo senso sarebbe simile al tedesco Hure ‘puttana’, ingl. whore ‘puttana’ fatti derivare dalla radice di lat. car-a(m) ‘cara’. Del resto anche per l’it. putt-ana ho scovato un significato simile qualche tempo fa, nell’articolo del mio blog intitolato “Puttana”: etimo incredibile! (marzo 2019).
La voce bolognese fal-av-esca[2] ‘materia sottile arsa che il vento leva in alto‘ (un sorta di favilla, dunque) credo sia sostenuta nei primi due costituenti della radice di lat. flav-u(m) ‘giallo, biondo, dorato, rossastro’ ma nel significato di ‘fuoco, scintilla’. Naturalmente il costituente –esca è il solito per ‘scintilla’. C’è anche l’it. falbo ‘di colore giallo scuro tendente al rosso’, detto soprattutto dl mantello degli animali, pare venga attraverso il provenzale falb da un germanico *falwa, ingl. fallow ‘fulvo, biondo caldo’ radice simile alla precedente, per indicare qualcosa di ‘infuocato, rosso, vivo’. Come del resto il lat. fulv-u(m) ‘rossastro, fulvo, biondo’. In ultimo bisogna anche sottolineare che la voce bolognese falav-esca può essere benissimo una forma metatetica di un originario *fav-al-esca il cui primo membro è molto simile al lat. fav-ill-a(m) ‘favilla’ e all’altra voce fav-ol-esca di cui abbiamo già parlato. Naturalmente non è da credere affatto che la costituente –ill-a(m) nel lat. fav-ill-a(m) sia un suffisso diminutivo come taluni sostengono, ma una radice tautologica omosemantica rispetto alle altre due. Vi risparmio i collegamenti con altre parole, tranne il gr. heílē ‘luce, calore del sole’ e il gr. alé-ē ‘calore’.
L’ingl. fl-ash ‘bagliore improvviso, lampo, scintillio’, considerato di etimo ignoto, a questo punto è una passeggiata a mio avviso. Esso è formato dalla costituente fal- di cui sopra (cfr. gr. phal-όs ‘bianco, lucente’, gr. poli-όs ‘grigio, bianchiccio; sereno, limpido) e dall’altra -ash che è tal quale l’ingl. ash ‘cenere’, da precedente antico ingl. asce, æsce, radice il cui principale valore era quello di ‘fuoco, scintilla’ come abbiamo visto.
Resta quella che considero una chicca: l’it. fiasco nel senso di insuccesso per il cui etimo i linguisti a mio parere non possono che balbettare, sia detto senza offesa. Per me due sono le soluzioni valide. Inizialmente anche l’it. fiasco < germanico *flask, ted. Flasche ‘bottiglia, fiasco’ poteva in verità, nel significato figurato di insuccesso, essere costituito dei due membri di ingl. fl-ash e significare, però, non ‘emetter un bagliore improvviso’ ma semplicemente ‘bruciare, ardere’. In italiano tuttora è in uso il significato particolare del verbo bruciarsi nel senso di fallire, comportarsi in modo da escludere l’ottenimento di qualsiasi successo per il presente e il futuro.
L’altra possibilità è che fiasco ‘insuccesso, fallimento’ non sia altro, in realtà, che un denominativo da un verbo latino o italico composto di lat. fall-ĕre ‘cadere’ nella forma cosiddetta incoativa, così frequente in latino, fal(l)-asc-ĕre, sempre col significato sostanziale di ‘cadere’. Quindi un eventuale lat. *f(a)lasc-u(m) ‘caduta, rovina, insuccesso’.
Così tutto diventa più latino (nel senso di più chiaro)!
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