Ne mio dialetto di Aielli-Aq ai tempi andati si diceva: —te’ la nonna (tiene la nonna)—
volendo indicare una persona facile ad addormentarsi, magari per pochi
minuti, per poi risvegliarsi. La parola
corrisponde all’it. nona, dall’etimo incerto, che designa una malattia analoga o
uguale all’encefalite letargica, che causa apatia e sonnolenza.
Il significato è confermato dal verbo dialettale marsicano nnunnà
che significa ‘cullare un
bambino in braccio o nella culla, per farlo addormentare’.
Riappare quindi il sonno, sebbene
quasi come intento secondario rispetto a quello di cullare. Ora esiste in
latino il verbo *nu-ĕre ‘accennare col capo’ (cfr. it. annuire < lat. ad-nu-ĕre), copia esatta del gr. neủ-ein ‘accennare col capo, dir di
sì’). Non è cosa straordinaria supporre
un raddoppiamento della radice /nu-/ nel latino volgare, per un
verbo *nun-are, con lo
stesso significato di ‘accennare’ che, badate bene, all’origine evidentemente
poteva indicare non solo il movimento del capo, ma anche quello impresso ad
altra parte del corpo o ad altra cosa, come, ad esempio, la cima di un
albero fatta oscillare dal vento. Il latino in questo caso, infatti, usava il
verbo nut-are ‘far cenni
con la testa’ ma anche ‘oscillare, ondeggiare, esitare’, verbo con la stessa
radice di *nu-ĕre ‘accennare col
capo’ suddetto. E’ a questo punto facile
ricordare che nel nostro dialetto accënnà significa anche ‘chinare il
capo’, detto di chi, magari seduto, mostra in quel modo di stare per cadere
nelle braccia di Morfeo. Da quanto detto
si ricava che l’italiano ninna, l’it. nanna, l’it. ninn-are ‘cullare un
bambino con l’accompagnamento di una nenia
per farlo addormentare’ non sono nate affatto come voci fonosimboliche e
bambinesche: sono varianti di aiellese nnunnà ‘cullare’, naturalmente
incrociatesi con altre radici simili, come quella per ‘addormentarsi’ e per
cantare monotonamente una nenia< lat. neni-a(m) ‘canto lamentoso, canto monotono‘, la quale è considerata dai più onomatopeica (è troppo semplice e
comodo!) quando può vantare una radice na- per ‘gridare, lamentarsi’ nel sanscrito. In greco ci sono vari
termini come nēnía ‘nenia’, gr. nēní-at-on ‘pianto’, ecc. Il ted. nenn-en ‘chiamare’ è a mio avviso un modo, diciamo così, prosastico di
modulare la stessa voce che canta in nenia,
anche se monotonamente. Ho affermato e spiegato altre volte che l’onomatopea
per me non esiste all’origine del linguaggio. Vorrei che qualcuno mi spiegasse perché questa radice ne,na raddoppiata debba considerarsi onomatopeica in questi casi mentre il gr. nē-né-ein ‘accumulare’ non è onomatopeico, pur essendo una radice raddoppiata molto simile, esistendo il semplice né-ein ‘accumulare’. L’inglese di ambito dialettale ninny-watch ‘agitazione, movimento, disturbo’, con la variante nunny-watch, debbono per il primo costituente riferirsi alla radice in questione; per il secondo costituente essi rimandano a mio parere all’ingl. wag ‘agitare, dimenare, scuotere (il capo)’, ted. wack-el-n 'barcollare, tentennare', ted. Waage 'bilancia'.
Nel Veneto nono vale ‘nonno’, ma anche ‘rimbambito, addormentato’. E gli
esegeti si precipitano a spiegare che quest’ultimo significato promana da
quello di nonno, come del resto pensa
la gente comune di quella regione: se
così fosse si potrebbe trovare molto da ridire sulla mancanza di rispetto per
il nonno da parte dei veneti. Ma così non è e non era! Si era solo verificato un
semplice incrocio tra la parola per ‘addormentato, dormiglione ’, caduta poi in
disuso in quel dialetto, e la parola per ‘nonno, nonna’, patrimonio
antichissimo di molte lingue occidentali. E quando una parola scompare, come
avviene purtroppo per le persone, tutto il bene e il male dello scomparso tende
a ricadere sugli eredi, legittimi o
illegittimi che siano. Sempre in Veneto l’espressione avere la malattia della nona
‘avere la malattia letargica suddetta’ è intesa come se fosse ‘avere la
malattia della nonna’[1]. Nel
veneto nono vale anche ‘libellula’[2]. Con una
osservazione che per me ha del bizzarro, si fa derivare il nome dal fatto che
quando piove l’ elegante libellula di venterebbe come paralizzata e ferma
pendente da un rametto, come intontita e addormentata. Per dare il nome all’animale, insomma, l’uomo
primitivo ha dovuto attendere la pioggia, che d’estate è piuttosto scarsa, poi
come un meticoloso zoologo è andato a scovare l’animaletto da qualche parte per
mettergli così il suo giusto nome. Ma se per tutto il tempo aveva avuto agio di di vederlo volare elegantemente un numerose volte! A questo punto è di certo più scientifico,
per appurare l’origine del nome, gettare giù qualche nome simile di volatile
come toscano nana ‘anatra domestica’, ingl. nene ‘tipo d’oca’ da una
voce hawaiana, e ingl. nun riferito a diversi tipi di
uccelli. Anche
l’italiano regionale nonna
indica alcuni uccelli, tra cui l’airone cenerino e il saltimpalo. E’ certamente singolare che una
presumibilmente simile radice ricorra in diversi paesi del mondo per indicare vari tipi di uccelli. Io suppongo che essa
contenga il significato di ‘agitare’ riferito al movimento delle ali: quindi,
uno dei suoi significati iniziali poteva riguardare gli alati o volatili in generale.
La Nona era in latino anche il nome di una delle Parche,
le divinità che come tutti sanno (lo spero) presiedevano alla vita e alla morte
degli uomini, tanto è vero che una di esse si chiamava proprio Morta.
Ora, ognun sa che in certo senso il Sonno è parente della Morte.
In greco Hýpn-os ‘Sonno’ era
figlio dell’Erebo e della Notte, e fratello di Thánat-os ‘Morte’. Però successe che Il nome Nona
della Parca si sovrappose al numero ordinale femminile latino nona ‘nona’ e passò a significare una
divinità protettrice degli ultimi mesi di gravidanza.
L’aiellese “nònna” e l'aiellese “nnunnà” meritano senz’altro un primo piano! E così
sia!
Nessun commento:
Posta un commento