domenica 16 febbraio 2020

Tata-vécchie ‘lampo’ ad Avezzano-Aq; tatonë cuscënàrë ‘tuono’ o, meglio, ‘dio del tuono’ ad Aielli-Aq.





   Nel Vocabolario del dialetto avezzanese[1]  la relativa voce viene spiegata dicendo che essa era usata, guardando il cielo, quando si vedeva il lampo e  si udiva successivamente il tuono.  Secondo gli autori del libro si suppone, poi, che l’espressione stesse ad indicare il Vecchio Padre, ossia il Padreterno.  Tutti infatti conoscono il significato di tata per ‘padre’ o anche ‘nonno’ nei nostri dialetti. Si tratta di una radice diffusissima in ambito europeo, presente anche in ingl. dad ‘papà’. 

   Tanto per iniziare io penso che in questo contesto la voce tata potrebbe richiamare per sino la radice di lat. titi-on-e(m) ‘tizzone’, ma col significato di ‘luce, lampo’ appunto. Il gr. titṓ significa ‘giorno, sole’. La componente –vécchie < lat. tardo  vecl-u(m) < lat. vet-ul-u(m)  diminutivo di vetus, eris ‘vecchio’,  fa anch’essa riferimento ad una radice col valore di luce, bagliore  se in molti dialetti il termine vecchia indica fenomeni luminosi come la ‘gibigiana’.  Ho trattato la questione in altro articolo di diversi anni fa, di cui non ricordo il titolo.  Ricordo benissimo, però, che in esso parlai anche della voce, ora non so di quale varietà abruzzese, che suona arche-vètërë ‘arcobaleno’.  La radice di questo nome deve avere a che fare con l’ingl. weather ‘tempo atmosferico’, ted. Wetter ‘tempo atmosferico’ ma anche ‘vento’, ‘fulmine’ ed ‘esalazione’.  Ora, gli studiosi pensano che questi significati siano uno sviluppo di quello principale di ‘tempo, temporale’ e in un certo qual modo  hanno ragione, ma solo nel senso che sia l’idea di “tempo, aria, soffio, sia quella di “fulmine” erano già iscritte, per così dire, nel DNA della radice, in quanto è logico pensare che l’aria, il soffio, il vento, la tempesta, e in fondo anche la luce o il bagliore del fulmine sono, per così dire, delle emanazioni nel senso di una forza che si sprigiona, si effonde, esplode.  Infatti in antico slavo vedro significa ‘tempo buono, bel tempo’, in serbo-croato vedar significa ‘sereno, chiaro’.  Secondo me, dovrebbe essere evidente , in questo caso, l’influsso della radice di lat. vitr-u(m) ‘vetro’ (in quanto trasparente, chiaro) considerato di etimo ignoto

   La componente tata- inoltre potrebbe essere una sorta di raddoppiamento della radice del verbo gr. teín-ein ‘tendere, stendere, sforzarsi, ecc.’ la quale al perfetto perde la -n-  dando la forma tè-ta-ka ‘io ho teso’; anche l’aggett.verbale è ta-t-όs ‘che si può tendere’.  Ora la radice del verbo (anche lat. ten-ēre ‘tenere’, lat. tend-ĕre ‘tendere’) contiene tutta una tensione che può realizzarsi in diversi modi: il sostantivo corradicale gr.  tόn-os interpreta, starei per dire, quella tensione in vari modi tra cui quello di ‘forza, energia’ e anche di ‘elevazione della voce, accento’: la tensione si è trasformata così in suono e avrebbe, allo stesso modo, potuto trasformarsi in emanazione luminosa, luce.  Non sono ragionamenti fantasiosi.  Non sono pertanto convinto che il lat. ton-are ‘tuonare’ debba per forza rimandare ad una radice omosemantica con la –s- iniziale come in gr. stén-ein ‘lamentarsi’.

   E passiamo alla locuzione aiellese che avrò pronunciato un numero notevole di volte, quando ero ragazzo, allorchè avvertivo qualche tuono.  L’espressione mi pare ricorra anche nel dialetto di Forme-Aq e si presta ad un’interessante interpretazione.  L’elemento cuscën-arë che segue Tat-όnë non può che richiamare formalmente il dialettale còscëna ‘recipiente di legno più grande della coppa’ il cui nome forse deriva dal gr. kόskin-on ‘staccio’.   L’espressione vorrebbe dire allora ‘tatone (nonno) che fa le còscënë’?  l’interpretazione proposta non mi pare sensata.  Allora, pensa e ripensa, mi è balenata la soluzione che ritengo giusta! Il termine cuscënàrë va inteso come fosse cu scën-àrë in cui il cu iniziale non sarebbe altro che la preposizione dialettale di compagnia o unione cu, ché, chë con’ e l’elemento scën-  rinvierebbe a mio parere alla radice di ingl. shine ‘brillare’, ted. schein-en ‘brillare, apparire, sembrare’ derivanti da ant. sassone e ant. alto ted. skin-an ‘brillare’.  Allora si configurerebbe un significato dell’intera espressione come questo ‘ Tatone  (il tuono) insieme con Fulmine (personificato)’. Insomma l’espressione pronunciata da noi ragazzi doveva fare riferimento ad una coppia di divinità, tra sé strettamente collegate, quella del tuono (Tatόnë) e quella del fulmine (Scën-àrë < *Skin-ar-).   Come i Dioscuri, i due figli di Giove, che però non mi pare avessero una identità separata nel significato.

   Sono inoltre del parere che il lat. scin-till-a (m) ‘scintilla’ sfrutti proprio questa radice e non debba essere messo in relazione col gr. spinth-ḗr ‘scintilla’.  Il sardo tidda <*tilla ‘scintilla’ mi conferma la cosa. L’abruzzese  zëcchìnë ‘faville’ < *skine conferma l’esistenza della  radice presso di noi[2]. Quest’ultimo termine l’ho trattato diversi anni fa, nell’articolo L’abruzzese zëcchìnë ‘scintille’ e il sardo tidda ‘scintilla’, presente nel mio blog (ottobre 2011).  L’originario *tilla ‘scintilla’  doveva essere un diminutivo *tin-ul-a(m) la cui radice richiama quella del dio etrusco Tinia, armato di folgore come il gr. Zéus. Ma non basta, un nome abruzzese dell’arcobaleno è arche-dìnëië[3] il cui secondo membro presuppone un –*dinëlë  < *din-ul- oppure *tin-ul-  come il *tin-ul-a(m) ‘scintilla’ suddetto. Il termine è presente, nella forma archë-dìnëïë ‘arcobaleno, iride’, anche nel Vocabolario abruzzese  di D. Bielli, spessissimo citato negli altri miei articoli. La radice credo sia quella del verbo inglese dialett. tind ‘accendere, dar fuoco’ e del ted. zünd-en ‘accendere’, che ritorna anche nell’ingl. tinder ‘esca per accendere il fuoco’.

   Un altro nome abruzzese dell’arcobaleno riportato dal Bielli è archë-vélë con la seconda componente –vélë che sicuramente richiama il nome del dio celtico del sole Bel o Belenos che vale etimologicamente ‘brillante’[4]. La radice bel-, bjel- ricorre nelle lingue slave con valore di ‘bianco’, come nel termine Bielorussia o Russia Bianca.  Questo nome mi fa venire in mente proprio il termine it. arco-baleno il cui secondo membro  è fatto derivare, sia pur dubitativamente, dalla parola balena, animale che appare e scompare successivamente sulla superficie del mare, come se gli uomini primitivi non avessero avuto un vocabolo per ‘lampo, bagliore, ecc.’ e avessero dovuto attendere i racconti dei viaggiatori per mare o degli stessi marinai per dare un nome ad un fenomeno antichissimo e particolare che li aveva accompagnati da sempre! La festa di Beltaine ricorreva il primo maggio tra i Celti e consisteva nell’accendere fuochi, come voleva il termine Bel-taine ‘fuoco di Bel’, termine che all’origine doveva valere solo ‘fuoco’, come si può desumere dall’antico ingl. bǣl ‘fuoco’,  ingl. bale-fire  ‘falò’, ingl. arcaico bale ‘falò’.

  Per concludere faccio osservare che non è affatto detto che il valore originario del costituente arco- di it. arco-baleno abbia avuto sempre, dall’origine, il significato dell’it. arco. Il termine meridionale arcatura ‘itterizia’[5] , il calabrese arcatu ‘itterico’, il gr. arg-όs ‘scintillante, bianco’, gr. arg-ḗs, -êtos ‘scintillante, radioso’ (simile al calabrese suddetto arcatu ’itterico’), riferito spesso dell’arcobaleno, fanno supporre che sia avvenuto un normale incrocio fra il termine per ‘arco’ e quello per ‘baleno, lampo, luce’, a parte il colore giallo-verde dell’itterizia, che può rientrare in quello di ‘luminosità’.





[1] Cfr. Buzzelli-Pitoni, Vocabolario del dialetto avezzanese, senza editore, Avezzano-Aq , 2002.

[2] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq. 2004.

[4] Cfr. Jean Markale, Il druidismo Edizione CDE spa, Milano 1997.  

[5] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, Torino, 
   








[5] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, Torino,

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