sabato 1 febbraio 2020

Crollare, scrollare: verbi meritevoli di molta attenzione.


  
   Ammettiamo pure, dando avvio al nostro discorso, che i due verbi, unitamente a quelli simili presenti nei dialetti, abbiano la stessa radice CROLL-, come tutti sostengono, con l’aggiunta iniziale, in uno di essi, del prefisso s- (lat. ex ‘da,fuori da’) con valore intensivo.  Ma non sempre i loro significati sono sovtapponibili.  Nel vocabolario abruzzese del Bielli[1] la voce scrullà, oltre a significare ‘svolgere (ciò che è aggomitolato), srotolare’, come abbiamo visto nel precedente articolo, e ‘scuotere, scollare’ (significato più diffuso), vale anche ‘spiccare (detto della frutta)’.  Na scrullàtë è ‘una colta di frutti’ come lui spiega.   Nel mio paese di Aielli-Aq l’espressione era usata spesso per significare una scossa, uno scuotimento dato ad un albero per far cadere la frutta, quella più matura, allo stesso modo in cui nel dialetto toscano sgrolla, e in quello umbro sgrullata, significa ‘una forte scossa d’acqua’[2], un rovescio di pioggia piuttosto violento.  Spiccare un frutto dal ramo nel mio dialetto era semplicemente còllë ‘cogliere’. 

    Ora in un sito online ho letto che il verbo ingl. curl up[3] ha talvolta il valore di clasp ‘tenere stretto, afferrare, stringere, abbracciare’ e allora si farebbe accettabile la considerazione che l’ abruzz.  sgrullà ‘spiccare (detto di frutta)’ possa rivendicare la parentela con l’ingl. curl il cui significato principale è per la verità ‘arricciare, arrotolare, accartocciare ecc.’.  In tedesco si ha il sostantivo Krolle ’ricciolo’, forma metatetica di ingl. curl ‘ricciolo, truciolo, spirale’. Ma, sorpresa delle sorprese, l’ingl curl up significa anche ‘collassare, crollare’ e potrebbe, quindi, richiamare l’it. crollare, almeno nel senso di ‘rovinare, precipitare, abbattersi’. Come può spiegarsi questo mutare di significati apparentemente inconciliabili?  A me pare che tutto possa appianarsi se riflettiamo un po’ sul significato del verbo ingl. curl ’ arricciarsi, accartocciarsi, piegarsi’. Anche il sostantivo curl significa ‘piega, curva’ come l’aiellese-marsicano-abruzzese grùjja, crùjja, grujjë[4] <*crulla, *grulla per palatalizzazione della doppia -ll-.  Dal significato di piegarsi si può scivolare in effetti a quello di curvarsi, cedere, crollare, per lo stesso motivo per cui l’ingl. cave in ‘incavarsi, avvallarsi’ è passato a quello di ‘crollare, cedere, piegarsi’.  Il crollare quindi si configurerebbe, all’inizio, proprio come verbo riferito ad una superficie più o meno piana (un tetto, un soffitto, una parete) che ‘s’incurva, cede, crolla’, acquisendo poi un valore più generico di ‘cadere, precipitare, rovinare, ripiegarsi su se stesso’.  Il significato di ‘scuotere, scuotersi, oscillare’ ne dovrebbe essere un derivato. L’it. crollare solitamente è ricondotto ad un supposto latino popolare *con-rotul-are ‘rotolare’, ma io, sinceramente, non ne sono molto convinto, perché esiste anche una radice come quella presente nel dialetto di Luco dei Marsi-AQ, cioè crùt-eja ‘piega della pelle, grinza’ che ben si presterebbe per l’idea di “girare, rotolare, crollare’. Ma forse la soluzione più diretta è data da un significato iniziale della radice in questione come ‘riversarsi, rovesciarsi, e quindi precipitare, crollare’.

    Moltissimo  interessante è, a mio avviso, il sintagma latino sell-a(m) curul-e(m) ‘sella curule’, una sedia particolare con fregi e intarsi di avorio usata per portarvi inizialmente il re e successivamente alti magistrati come consoli, pretori e perfino gli edili chiamati appunto curuli.  Era di origine etrusca, simbolo del potere giudiziario ed esecutivo, appannaggio dei re. Questa sedia si può dire che è un concentrato di significati che nel corso   dei millenni anteriori alla civiltà latina si incrociarono col termine curule: se inizialmente la sella era riservata al re non si può non riflettere che in russo la parola Koròl’ (traslitterata dal cirillico nel nostro alfabeto) significa proprio ‘re’, polacco krόl ‘re’, serbo–croato kralj ‘re’.   La sedia poi, era composta di elementi portanti (gambe, telaio della spalliera) molto incavati e ricurvi, e per di più era pieghevole, termine che richiama il crollare di cui sopra. Solitamente si riporta la parola, molto erroneamente a mio avviso, al lat. curr-u(m) ‘carro, cocchio’ su cui si poneva la sedia, con l’eventuale personaggio da trasportare.

   Nel Bielli sono registrate voci come 1) grijjë ‘verticillo, ciclo’ che nei significati botanici italiani fa riferimento ad un’idea di “rotondità, cerchio, ecc.” come il toscano grillo ‘pallino delle bocce’, e quindi la radice deve essere variante della suddetta CROLL-; come 2) grillë ‘vinacciolo’’significato che può indicare sia il seme dell’acino d’uva, sia il fiocine, cioè il guscio, la buccia dell’acino stesso: tutti concetti che rimandano sempre al senso di avvolgimento, compreso il seme, che è un chicco.  Sono registrati ancora, sotto la voce cròllë (var. crullë),  diversi significati indicanti oggetti che rimandano tutti alla stessa idea di “rotondità”, come: 1) rotolo di panno; 2) filza di frutta secca, di chiocciole, chicchi d’oro, chicchi del rosario (solitamente formanti una corona); 3) al pl., rotelline per cui scorrono i licci; 4) tamburino a cui si avvolge il filo; 5) ciambellina d’avorio; 6) nastro, striscia di corteccia di salice, per legare cerchi o i diversi pezzi di panieri di legno; 7) argano (nella forma crullë), cioè una macchina costituita da un cilindro rotante su cui si avvolge una fune; 8) carrucola (nella forma crullë), arnese ben noto, anch’esso formato da una rotella su cui scorre una fune; 9) raganella, che si suona nella settimana santa (sempre nella forma crullë). La raganella è anch’essa costituita essenzialmente da una ruota dentata girevole che sfrega contro una lamella di legno o altro, producendo un certo gre gre di ranelle. Noi ragazzi facevamo a gara per ricevere dal parroco l’incarico di andare suonando lo strumento per tutto il paese. Ma, attenti! Lo strumento è chiamato in abruzzese, sempre nel Bielli, anche crèllë oppure crilïë femm., varianti a mio avviso di crullë, ma che, dato il rumore prodotto dallo strumento, viene forse fatta derivare  erroneamente dal verbo abruzz. crillà ‘scricchiolare, crocchiare’. 

    Ormai lo sappiamo, gli incroci sono sempre dietro l’angolo e spesso sviano la mente di chi deve trovare il bandolo di un termine.  Generalmente succede che, se il significato della presunta radice trovata non corrisponde direttamente alla struttura e natura dell’oggetto indicato, allora è quasi certo che bisogna scavare più a fondo per arrivare al sodo.  Bisogna notare che il lat. coroll-a(m) ‘coroncina, ghirlanda’ non è da considerare un diminutivo derivante dall’altro diminutivo lat.  coron-ul-a(m) ’coroncina’, come tutti affermano senza tentennamenti, perchè esso era un sostantivo  facente parte della serie dei molti oggetti indicati dall’abruzz. cròllë, crullë dai diversi significati sopra analizzati: si è solo adattato, successivamente, a fungere da diminutivo.  La cosa l’avevo intuita  già molto tempo fa anche a proposito di altri termini. Qui ne ho avuta la conferma. Nel dialetto di Avigliano-Pt. la voce cruόglië significa ‘nodo, ammasso’; un nodo è un avvolgimento, tanto è vero che il sintagma nodo di vento equivale ad un vortice di vento, un turbine. Un ammasso è un agglomerato, qualcosa di rotondeggiante o giù di lì o un insieme di cose. In latino nod-ul-u(m) significava in effetti anche ‘gruppetto’. Il danese skræl ‘buccia, scorza, pelle’ ugualmente indica qualcosa che si avvolge e copre. All’origine dovevano quindi esistere due radici dallo stesso significato, di cui comunque l’una non derivava dall’altra mediante l’aggiunta della –s- privativa all’inizio della parola, prefisso che ne capovolgeva per così dire il significato, come succede in molte coppie di termini italiani quale verniciare/sverniciare.  In effetti la voce lucana  cruόglië ‘nodo, ammasso’, sopra citata, proveniente da croll-, si può dire che faccia  da pendant  al ted. Shrolle ‘zolla, ammasso’, proveniente però da Scroll-, in cui la –S- iniziale non è affatto un prefisso.  Allora non è affatto campato in aria sostenere che probabilmente anche le forme dialettali e italiane  corrispondenti, come dial. sgrullare ‘scuotere’ e it. crollare in realtà sono  formalmente diverse tra loro.

    Da non tralasciare la voce croglia del dialetto di Ferentino-Fr che significa cercine, cioè un panno attorcigliato a forma di ciambella che le donne mettevano in capo per trasportare più agevolmente ed equilibratamente la conca con l’acqua ed altri pesi[5].  In romanesco la parola è coròjja.  In campano croglia indica una ‘donna sporca e sciatta’.  Ora, certamente il cercine veniva fatto con panni vecchi e logori: nel mio dialetto di Aielli e in altri veniva usata all’uopo la spara, un canovaccio multiuso per la cucina, perlopiù unto e bisunto. Il suo etimo rinvia al gr. speîra ‘ciò che è avvolto, spira, panno (speîr-on)’.  Ma se la croglia ‘cercine’ può darci, anche se indirettamente, l’idea di sporca, trasandata donde potrebbe spuntare il concetto di donna? A me pare che si possa far risalire la parola, per metatesi, all’ingl. churl ‘contadino, villano, persona maleducata, gretta (anche servo della gleba)’, ted. Kerl ‘persona, individuo, tipo’.  La parola germanica indicava anche un ‘uomo libero (cfr. il personale Carlo)’ sebbene di infima classe, ed altri concetti simili. Naturalmente essa si è incrociata con il termine omofono croglia ’cercine’, completando così l’opera e generando il valore di donna sporca e sciatta.

   Data l’amplissima forbice di significati mostrati dalla radice in questione, direi che qui si tocchi con mano la validità dell’assunto, di origine saussuriana, che è vano credere che le parole siano nate per indicare all’origine solo un singolo oggetto e che non siano, invece, portatrici di significati molto generici che di volta in volta si specializzano, soprattutto per l’influsso immancabile di parole omofone che si incrociano con esse. Ma l’uomo è abituato da migliaia e migliaia di anni ad una condizione opposta circa il senso specifico, particolare di ogni radice, molto forte in ciascuno di noi, anche di linguisti, sicchè risulta talora veramente arduo smettere l’inveterata abitudine che ci spinge verso i significati specifici.

   Anche il verbo abruzzese grullà ‘urlare’ potrebbe fa inclinare qualcuno a favore di una interpretazione, diciamo così, sonora del nome crullë ‘raganella (strumento)’, ma in questo caso ci distoglie dalla tentazione il ted. grőhl-en, gről-en ‘sbraitare, gridare’. Interessante è anche l’altro verbo abruzzese gruttà che significa sia ‘urtare’ che ‘ruttare’.  Secondo me il verbo, che si ritrova nel fr. heurt-er ‘urtare, cozzare’ e nell’ingl. hurt ‘far male, ferire, qui presenta la metatesi *krut ed è così antico da mostrare la velare sorda iniziale –k- (trasformata nella sonora –g-) che manca, appunto, nel francese e nell’inglese, e forse anche nel tedesco se la radice dovesse essere quella di franco hrūt ‘ariete’. Il verbo abruzzese quindi attesterebbe una fase anteriore a quella della trasformazione della velare sorda –k- nella fricativa glottidale sorda –h-.  Il significato di ‘ruttare’ è curioso, essendosi sviluppato a mio avviso, dall’incrocio dell’abruzz. gruttà ‘urtare’ con il verbo italiano rutt-are < lat. ruct-are ‘ruttare, mandar fuori’. 
 
    Ma siamo in Abruzzo, in qualche Land tedesco o contea della Gran Bretagna? Avrei mai potuto immaginare, in effetti, che l’ingl. neigh lo avrei ritrovato in an-nëcch-ià ‘nitrire’ < *ad-nich-l-à del vocabolario abruzzese del Bielli?  Meditate gente, meditate!





[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla Editore, Cerchio-Aq, 2004.

[2] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, Torino, 1998.

[4] A Luco dei Marsi si hanno due forme, una crùglia ‘arricciatura, piega (di stoffa)’, e l’altra crùteja  ‘piega della pelle, grinza’ forse per influsso di lat. scrot-u (m) ‘scroto’.


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