Ammettiamo pure, dando avvio al nostro discorso, che i due verbi,
unitamente a quelli simili presenti nei dialetti, abbiano la stessa radice CROLL-, come tutti sostengono, con
l’aggiunta iniziale, in uno di essi, del prefisso s- (lat. ex ‘da,fuori
da’) con valore intensivo. Ma non sempre
i loro significati sono sovtapponibili. Nel vocabolario abruzzese del Bielli[1] la voce scrullà,
oltre a significare ‘svolgere (ciò che è aggomitolato), srotolare’, come
abbiamo visto nel precedente articolo, e ‘scuotere, scollare’ (significato più
diffuso), vale anche ‘spiccare (detto della frutta)’. Na scrullàtë è ‘una colta di frutti’ come lui
spiega. Nel mio paese di Aielli-Aq
l’espressione era usata spesso per significare una scossa, uno scuotimento
dato ad un albero per far cadere la frutta, quella più matura, allo stesso modo
in cui nel dialetto toscano sgrolla, e in quello umbro sgrullata,
significa ‘una forte scossa d’acqua’[2],
un rovescio di pioggia piuttosto
violento. Spiccare un frutto dal
ramo nel mio dialetto era semplicemente còllë ‘cogliere’.
Ora in
un sito online ho letto che il verbo ingl. curl up[3]
ha talvolta il valore di clasp ‘tenere stretto, afferrare,
stringere, abbracciare’ e allora si farebbe accettabile la considerazione che
l’ abruzz. sgrullà
‘spiccare (detto di frutta)’ possa rivendicare la parentela con l’ingl. curl
il cui significato principale è per la verità ‘arricciare, arrotolare, accartocciare
ecc.’. In tedesco si ha il sostantivo
Krolle ’ricciolo’, forma metatetica di ingl. curl ‘ricciolo, truciolo,
spirale’. Ma, sorpresa delle sorprese, l’ingl curl up significa anche ‘collassare, crollare’ e potrebbe, quindi, richiamare
l’it. crollare, almeno nel senso di ‘rovinare, precipitare,
abbattersi’. Come può spiegarsi questo mutare di significati apparentemente
inconciliabili? A me pare che tutto
possa appianarsi se riflettiamo un po’ sul significato del verbo ingl. curl
’ arricciarsi, accartocciarsi, piegarsi’. Anche il sostantivo curl significa ‘piega, curva’ come
l’aiellese-marsicano-abruzzese grùjja, crùjja, grujjë[4]
<*crulla, *grulla per palatalizzazione della doppia -ll-. Dal significato di piegarsi si può scivolare in effetti a quello di curvarsi, cedere, crollare, per lo
stesso motivo per cui l’ingl. cave in ‘incavarsi, avvallarsi’ è passato a quello di ‘crollare, cedere,
piegarsi’. Il crollare quindi si
configurerebbe, all’inizio, proprio come verbo riferito ad una superficie più o
meno piana (un tetto, un soffitto, una parete) che ‘s’incurva, cede, crolla’,
acquisendo poi un valore più generico di ‘cadere, precipitare, rovinare,
ripiegarsi su se stesso’. Il significato
di ‘scuotere, scuotersi, oscillare’ ne dovrebbe essere un derivato. L’it. crollare solitamente è ricondotto ad un
supposto latino popolare *con-rotul-are ‘rotolare’, ma io,
sinceramente, non ne sono molto convinto, perché esiste anche una radice come
quella presente nel dialetto di Luco dei Marsi-AQ, cioè crùt-eja ‘piega della pelle, grinza’ che ben si presterebbe per l’idea di
“girare, rotolare, crollare’. Ma forse la soluzione più diretta è data da un
significato iniziale della radice in questione come ‘riversarsi, rovesciarsi, e
quindi precipitare, crollare’.
Moltissimo
interessante è, a mio avviso, il
sintagma latino sell-a(m) curul-e(m) ‘sella curule’, una
sedia particolare con fregi e intarsi di avorio usata per portarvi inizialmente
il re
e successivamente alti magistrati come consoli, pretori e perfino gli edili
chiamati appunto curuli. Era di origine etrusca, simbolo del potere
giudiziario ed esecutivo, appannaggio dei re. Questa sedia si può dire che è un
concentrato di significati che nel corso
dei millenni anteriori alla civiltà latina si incrociarono col termine curule:
se inizialmente la sella era riservata al re non si può non riflettere che in
russo la parola Koròl’ (traslitterata dal cirillico nel nostro alfabeto)
significa proprio ‘re’, polacco krόl ‘re’, serbo–croato kralj ‘re’.
La sedia poi, era composta di elementi portanti (gambe, telaio della
spalliera) molto incavati e ricurvi, e per di più era pieghevole, termine che richiama il crollare
di cui sopra. Solitamente si riporta la parola, molto erroneamente a mio
avviso, al lat. curr-u(m) ‘carro,
cocchio’ su cui si poneva la sedia, con l’eventuale personaggio da trasportare.
Nel
Bielli sono registrate voci come 1) grijjë ‘verticillo, ciclo’ che nei
significati botanici italiani fa riferimento ad un’idea di “rotondità, cerchio,
ecc.” come il toscano grillo ‘pallino delle bocce’, e
quindi la radice deve essere variante della suddetta CROLL-; come 2) grillë ‘vinacciolo’’significato che
può indicare sia il seme dell’acino d’uva, sia il fiocine, cioè il guscio, la
buccia dell’acino stesso: tutti concetti che rimandano sempre al senso di avvolgimento, compreso il seme, che è un
chicco.
Sono registrati ancora, sotto la voce cròllë (var. crullë), diversi significati indicanti oggetti che
rimandano tutti alla stessa idea di “rotondità”, come: 1) rotolo di panno; 2) filza
di frutta secca, di chiocciole, chicchi d’oro, chicchi del rosario (solitamente
formanti una corona); 3) al pl.,
rotelline per cui scorrono i licci; 4) tamburino a cui si avvolge il filo; 5)
ciambellina d’avorio; 6) nastro, striscia di corteccia di salice, per legare
cerchi o i diversi pezzi di panieri di legno; 7) argano (nella forma crullë),
cioè una macchina costituita da un cilindro
rotante su cui si avvolge una fune; 8) carrucola (nella forma crullë),
arnese ben noto, anch’esso formato da una rotella su cui scorre una fune; 9)
raganella, che si suona nella settimana santa (sempre nella forma crullë).
La raganella è anch’essa costituita
essenzialmente da una ruota dentata girevole che sfrega contro una lamella di
legno o altro, producendo un certo gre gre
di ranelle. Noi ragazzi facevamo a gara per ricevere dal parroco l’incarico
di andare suonando lo strumento per tutto il paese. Ma, attenti! Lo strumento è
chiamato in abruzzese, sempre nel Bielli, anche crèllë oppure crilïë
femm., varianti a mio avviso di crullë, ma che, dato il rumore
prodotto dallo strumento, viene forse fatta derivare erroneamente dal verbo abruzz. crillà ‘scricchiolare,
crocchiare’.
Ormai
lo sappiamo, gli incroci sono sempre dietro l’angolo e spesso sviano la mente
di chi deve trovare il bandolo di un termine.
Generalmente succede che, se il significato della presunta radice
trovata non corrisponde direttamente alla struttura e natura dell’oggetto
indicato, allora è quasi certo che bisogna scavare più a fondo per arrivare al
sodo. Bisogna notare che il lat. coroll-a(m) ‘coroncina, ghirlanda’ non è da
considerare un diminutivo derivante dall’altro diminutivo lat. coron-ul-a(m) ’coroncina’, come tutti affermano senza tentennamenti, perchè
esso era un sostantivo facente parte
della serie dei molti oggetti indicati dall’abruzz. cròllë, crullë dai diversi significati sopra
analizzati: si è solo adattato, successivamente, a fungere da diminutivo. La cosa l’avevo intuita già molto tempo fa anche a proposito di altri
termini. Qui ne ho avuta la conferma. Nel dialetto di Avigliano-Pt. la voce cruόglië
significa ‘nodo, ammasso’; un
nodo è un avvolgimento, tanto è vero
che il sintagma nodo di vento
equivale ad un vortice di vento, un turbine. Un ammasso è un agglomerato, qualcosa di rotondeggiante
o giù di lì o un insieme di cose. In latino nod-ul-u(m) significava in effetti anche ‘gruppetto’. Il danese skræl
‘buccia, scorza, pelle’ ugualmente indica qualcosa che si avvolge e copre. All’origine dovevano quindi esistere due radici dallo stesso
significato, di cui comunque l’una non derivava dall’altra mediante l’aggiunta
della –s- privativa
all’inizio della parola, prefisso che ne capovolgeva per così dire il
significato, come succede in molte coppie di termini italiani quale verniciare/sverniciare. In effetti la
voce lucana cruόglië ‘nodo, ammasso’,
sopra citata, proveniente da croll-, si può dire che faccia da pendant al ted. Shrolle ‘zolla, ammasso’,
proveniente però da Scroll-, in cui la –S- iniziale non è affatto un
prefisso. Allora non è affatto campato
in aria sostenere che probabilmente anche le forme dialettali e italiane corrispondenti, come dial.
sgrullare ‘scuotere’ e it. crollare in realtà sono formalmente diverse tra loro.
Da non tralasciare la voce croglia del dialetto di
Ferentino-Fr che significa cercine,
cioè un panno attorcigliato a forma di ciambella che le donne mettevano in capo
per trasportare più agevolmente ed equilibratamente la conca con l’acqua ed
altri pesi[5].
In romanesco la parola è coròjja. In campano croglia indica una
‘donna sporca e sciatta’. Ora,
certamente il cercine veniva fatto
con panni vecchi e logori: nel mio dialetto di Aielli e in altri veniva usata
all’uopo la spara, un canovaccio
multiuso per la cucina, perlopiù unto e bisunto. Il suo etimo rinvia al gr. speîra
‘ciò che è avvolto, spira, panno (speîr-on)’. Ma se la croglia
‘cercine’ può darci, anche se indirettamente, l’idea di sporca, trasandata donde
potrebbe spuntare il concetto di donna?
A me pare che si possa far risalire la parola, per metatesi, all’ingl. churl
‘contadino, villano, persona maleducata, gretta (anche servo della gleba)’, ted. Kerl ‘persona, individuo, tipo’. La parola germanica indicava anche un ‘uomo
libero (cfr. il personale Carlo)’ sebbene di infima classe, ed altri concetti simili.
Naturalmente essa si è incrociata con il termine omofono croglia ’cercine’,
completando così l’opera e generando il valore di donna sporca e sciatta.
Data
l’amplissima forbice di significati mostrati dalla radice in questione, direi
che qui si tocchi con mano la validità dell’assunto, di origine saussuriana,
che è vano credere che le parole siano nate per indicare all’origine
solo un singolo oggetto e che non siano, invece, portatrici di significati molto
generici che di volta in volta si specializzano, soprattutto per l’influsso
immancabile di parole omofone che si incrociano con esse. Ma l’uomo è abituato
da migliaia e migliaia di anni ad una condizione opposta circa il senso
specifico, particolare di ogni radice, molto forte in ciascuno di noi, anche di
linguisti, sicchè risulta talora veramente arduo smettere l’inveterata
abitudine che ci spinge verso i significati specifici.
Anche
il verbo abruzzese grullà ‘urlare’ potrebbe fa inclinare qualcuno a favore di una
interpretazione, diciamo così, sonora del
nome crullë
‘raganella (strumento)’, ma in questo caso ci distoglie dalla tentazione il
ted. grőhl-en, gről-en
‘sbraitare, gridare’. Interessante è anche l’altro verbo abruzzese gruttà
che significa sia ‘urtare’ che ‘ruttare’. Secondo me il verbo, che si ritrova nel fr. heurt-er ‘urtare, cozzare’ e nell’ingl. hurt
‘far male, ferire, qui presenta la metatesi *krut ed è così antico da mostrare
la velare sorda iniziale –k- (trasformata nella sonora –g-) che manca, appunto, nel francese e
nell’inglese, e forse anche nel tedesco se la radice dovesse essere quella di
franco hrūt ‘ariete’. Il verbo abruzzese quindi attesterebbe
una fase anteriore a quella della trasformazione della velare sorda –k-
nella fricativa glottidale sorda –h-. Il significato di ‘ruttare’ è curioso,
essendosi sviluppato a mio avviso, dall’incrocio dell’abruzz. gruttà
‘urtare’ con il verbo italiano rutt-are < lat. ruct-are ‘ruttare, mandar fuori’.
Ma
siamo in Abruzzo, in qualche Land tedesco o contea della Gran
Bretagna? Avrei mai potuto immaginare, in effetti, che l’ingl. neigh
lo avrei ritrovato in an-nëcch-ià ‘nitrire’ < *ad-nich-l-à
del vocabolario abruzzese del Bielli?
Meditate gente, meditate!
[1] Cfr. D.
Bielli, Vocabolario abruzzese, A.
Polla Editore, Cerchio-Aq, 2004.
[2] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, Torino,
1998.
[4] A Luco
dei Marsi si hanno due forme, una crùglia
‘arricciatura, piega (di stoffa)’, e l’altra crùteja ‘piega della pelle, grinza’ forse per influsso
di lat. scrot-u (m) ‘scroto’.
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