mercoledì 25 marzo 2020

La candela, con la sua luce tremula e fioca, direi che non illumini affatto chi ne cerca l’etimo. (Riveduto e ampliato, con importantissime osservazioni).



    Credo che tutti, senza tema di sbagliarmi, facciano derivare l’it. candela, fotocopia del lat. candel-a(m) ‘candela’, dalla radice luminosissima del verbo lat. cand-ēre ‘essere bianco splendente, rifulgere, essere incandescente’: comunque, chiarisco subito, che non è il grado di luminosità che impedisce la derivazione diretta ed esclusiva dell’una dall’altro.

  In edilizia la cand-ela è un puntello piuttosto lungo e sottile per ponteggio, e questo significato dovrebbe spingere il ricercatore di etimi verso il gr. kont-όs ‘pertica, asta, lancia’, ant. ind. kunta- ‘lancia’, lat. cont-u(m) ‘pertica, picca’, a mio  giudizio, almeno perché l’etimo dovrebbe avere un significato molto ampio e generico, e una cand-ela, nonostante il disturbo, diciamo così, della sua tremula luce, risponde perfettamente all’idea di “bacchetta, bastoncino, stelo, tondino”. E non lasciamoci ingannare dalla sua luce tremula né da quella abbagliante del verbo latino suddetto, come purtroppo siamo spinti a fare in conseguenza del fatto che la candela, in italiano e soprattutto in latino, era un oggetto che tutti avevano tra le mani, e tutti i giorni (veramente la sera e la notte, ma anche di giorno nelle cerimonie liturgiche, ad esempio), e perciò era destinato a farla da padrone nel nostro immaginario, inducendoci a credere che tutti i cosiddetti significati figurati o tecnici della parola fossero solo suoi derivati, quando invece  potevano  rimandare ad una radice diversa per ‘fusto, pertica’, magari perduta o finita appunto ai margini della lingua o di un dialetto, e quindi priva della forza adeguata a contrastare la frode, perpetrata miseramente, della sua identità originaria a tutto vantaggio del significato più vistoso e apparentemente incontrovertibile della parola. 
     
   Da quanto detto sopra, dunque, la cand-ela dovrebbe essere il risultato di un significato originario di ‘pertica, fusto, bastoncino (più o meno sottile)’ incrociatosi certamente con la radice abbagliante di lat. cand-ēre ‘essere bianco lucente, brillare’.  Ma gli usi figurati non finiscono qui.  

   Per sottolineare la magrezza di qualcuno si possono usare, ad esempio, frasi come questa: Tuo figlio mi pare proprio una candela, se è cereo nel colorito e allampanato nella corporatura. Frasi di uguale significato potrebbero essere, magro come un chiodo, come uno stecco.  L’ingl. candle-pin ‘birillo’ riproporrebbe senza un motivo ragionevole la candela: in questo caso, in effetti, non si ha la più pallida idea circa l’utilità di una  sua eventuale fiammella, essendo poi il componente –pin già un ‘birillo’ o uno ‘spillo’. Tutto si chiarisce quando si comprende che si tratta di una tautologia per ‘birillo’  il quale assomiglia ad un cilindretto, ad un chiodo, ad una sorta di piccolo stecco  o ad uno stecchino, insomma, per quanto  venga dotato spesso di sembianze umane.

   L’ingl. candle-stick ‘candeliere’ sembra, di primo acchito, composto creato a tavolino con le componenti candle- ‘candela’ e -stick  ‘bastone, bastoncino’, sicchè  il suo significato letterale sarebbe puntigliosamente ‘bastoncino (che sostiene) la candela’, ma non c’è nulla di più falso: si tratta solo di una reinterpretazione di un composto inizialmente tautologico, formato di due elementi dello stesso significato originario di ‘candela’.  Di tali composti, le cui due componenti, inizialmente tautologiche, divennero successivamente distinte in determinante e determinato, con significati diversi tra loro, sono strapiene le lingue germaniche, che, ad un certo punto della loro lunga storia, a mio avviso riciclarono i precedenti composti tautologici.  

    Il termine che chiarisce in modo definitivo  quello che sto dicendo è il diminutivo it. candel-etta, il quale in urologia indica un bastoncino cilindrico che serve per sondare diversi condotti e soprattutto l’uretra: ma Dio buono!  è mai possibile che un oggetto somigliante ad una asticciola e ad uno specillo, termini molto generici, debba ricorrere all’idea specifica di “candela”, non strettamente collegabile, sul piano sincronico della lingua, a quella dello strumento in questione? Nooo! Ma la risposta diventa: Siii! appena spieghiamo che sicuramente (voglio essere perentorio!) la parola cand-ela in epoche lontane o lontanissime, come dimostra la candel-etta suddetta, doveva indicare un semplice bastoncino e simili. Naturalmente poi si è verificato l’incrocio inevitabile con la radice di lat. cand-ēre ’essere splendente, infuocato’ che ne ha determinato la specializzazione per via della fiammella della candela, da cui tutti sono rimasti incantati e linguisticamente abbagliati!

   In abruzzese[1] la voce cannélë (< lat. candel-am), oltre a significare ‘candela’ vale anche ‘asta, asta pubblica, incanto’. Al plurale la voce indica ‘antenne, che sostengono le pancate nelle fabbriche’.  Allora risulta evidente che l’it. in-canto ‘pubblico appalto’ non può derivare dall’espressione del latino medievale in quantum? (a quanto si vende?) ma da un termine da cui si formò la parola cand-ela ‘asta’, cioè la radice cand-, cant- variante di quella di gr. kont- όs ‘asta, lancia, pertica’, citata all’inizio.  Quindi all’origine la locuzione *in canto doveva avere lo stesso significato di lat. sub hasta ‘all’asta’ letteralmente ‘sotto l’asta’, in quanto la vendita o l’appalto soleva avvenire presso un’asta piantata sul terreno, simbolo d’autorità.  Non si scappa: l’abruzzese cann-ela ‘asta, antenna, asta pubblica’ apre gli occhi anche a chi si ostina a tenerli chiusi e anche a chi volesse fare riferimento  al tipo d’asta detto della candela vergine, in base al quale il gioco delle offerte e controfferte poteva durare fino allo spegnimento di una o più candele.  E’ pensabile, piuttosto, che questo tipo d’asta sia stato suggerito dall’incrocio del significato di asta con quello di candela.

    E l’espressione idiomatica Il gioco non vale la candela sarebbe veramente nata nelle antiche locande dove la sera si accendevano candele (ma, più verosimilmente, solo lumi ad olio) e i giocatori di carte erano tenuti a lasciare una piccola somma di  denaro per il loro consumo? Non credo: questa spiegazione dové subentrare ben successivamente nella storia della Lingua, quando l’iniziale candela che era nata con altro significato, si incrociò con il significato che conosciamo.  Abbiamo infatti visto sopra che l’abruzz. cannélë ‘candela’ valeva anche asta pubblica e avrebbe quindi potuto indicare, a mio avviso, anche il bene sottoposto all’asta o il suo valore in denaro.  Sicchè non sarebbe fuori luogo un suo successivo significato di ‘posta in giuoco’. Tutta l’espressione avrebbe avuto allora il senso di ‘il gioco non vale la posta (in gioco)’.  Inoltre l’espressione italiana è la traduzione della locuzione francese Le jeu ne vaut pas la chandelle e in quella lingua esiste un’altra espressione che suona ‘devoir une fière chandelle a quelqu’un ‘essere grandemente obbligato a qualcuno, essere in debito con qualcuno’ ma letter. ‘dovere una grande candela a qualcuno’.  Il che mi pare che non abbia molto significato, se non nel senso di dover accendere una bella e grande candela a qualcuno che nei confronti della persona parlante si è comportato come un Santo che avesse esaudito sue richieste.  Ma quel fier ‘fiero, orgoglioso, arrogante, grande’ non mi sembra molto appropriato per una ‘candela’ e per questo vedrei sotto chandelle un significato proprio ed originario di ‘debito, somma dovuta’ scivolato poi in quello figurato di ‘obbligazione, gratitudine, ecc.’.

   Nel dialetto di Aielli e in altri la voce cannëlόttë sta per ‘ghiacciolo (che pendeva dalla falda sporgente del tetto, causato dal ghiacciarsi delle gocce d’acqua che cadevano dalle gronde sprovviste di canalino raccoglitore’).  Man mano che il freddo aumentava le gocce si trasformavano in ghiaccioli simili a grossi chiodi di ghiaccio o magari a candele di ghiaccio, dato il colore biancastro di essi. E pertanto si penserà da parte dei sapienti: chi è quello sprovveduto  che potrebbe dare un etimo della parola aiellese cannëlottë ‘ghiacciolo’ senza ricorrere all’it. candela, data la loro stretta somiglianza, o alla parola it. ghiaccio se si cerca l’etimo di ghiacci-olo?   Lo sprovveduto sono io, e me ne vanto!  Abbiamo già notato che l’it. candela è un termine troppo specifico per poter indicare qualsiasi ‘bastoncino, chiodo, pertica’ e abbiamo già chiarito che all’origine candela indicava appunto questi significati.  E ghiacci-olo (nel senso di ‘punta di ghiaccio pendente d’inverno dai tetti o altro), per il quale gli etimologi dormono sonni profondi data l’evidenza, a loro giudizio, della sua origine da ghiaccio (< lat. glaci-em ‘ghiaccio’)? Sarebbe ora che vi svegliaste, mie cari ricercatori! Giacchè voi conoscete senz’altro la parola it. giaggiolo, un fiore delle gigliacee dai gambi ben eretti e lunghi, e sapete anche che la parola deriva dal lat. gladi-ol-u(m)< lat. gladi-u(m) ‘spada corta (dei legionari romani) e dei gladiatori’. Solitamente, infatti, il nesso consonantico latino /gl/ dà come esito in italiano il suono velare-palatale /ghi/, in questo caso palatilizzato completamente in /gi/; il nesso lat. /di/ ugualmente si può  palatalizzare in /gi/ se seguito da vocale come in it. giorno < lat. diurn-u(m). Pertanto è chiaro come il sole che dietro l’it. ghiacciolo dorme i suoi sonni secolari una forma precedente gladi-olu(m) diventata prima *ghiaggi-olo (esiste però realmente, nel vocabolario della Crusca, la forma ghiaggi-uolo per ‘giaggiolo’) e poi fatalmente ghiacci-olo per influsso di it. ghiaccio. Ecco perché l’it. ghiacciolo può riconoscere come genitore legittimo solo il lat. gladi-ol-u(m), anche se ad un certo punto della sua storia è subentrato un altro genitore, illegittimo, che ha fatto del tutto per sostituirsi a quello vero, nascondendolo alla perfezione per l’eternità, se non fosse arrivato il sottoscritto a rompere l’incantesimo che copriva una vera e propria falsità ed ingiustizia. Perché  anche le parole anelano al riconoscimento della verità! Il ghiacciolo come ‘gelato (con bastoncino di legno per sostegno)’ è un’invenzione abbastanza recente, ma curiosamente, riprende in parte il significato etimologico della parola, con quel bastoncino.

   E’ curioso il termine inglese ic-icle per ‘ghiacciolo’.  Esso infatti è costituito da due membri:1) ice ’ghiaccio’(ant. ingl. is’ ghiaccio’) e 2) -icle, dal medio inglese ikel ‘ghiacciolo’, sicchè l’ing. ic-icle dovrebbe significare letteralmente ‘ghiacciolo di ghiaccio’, definizione chiaramente innaturale ed irrazionale. Semmai, si può supporre all’inizio un composto tautologico per ‘ghiaccio’. Io non credo che questo ikel ’ghiacciolo’ derivi dall’ant. ingl. gicel ’ghiacciolo, ghiaccio’, ma che esso sia in qualche relazione con la radice di ingl. edge ‘orlo, filo (di coltello o altro), punta’, di ted. Eck ‘angolo, punta’ derivati dalla radice indoeuropea ak- ‘acuto, punta, ago, ecc.’ presente anche nella variante serbo-croata igla ‘ago, spillo’, simile al medio inglese ikel ’ghiacciolo’.  E’ quindi razionalmente ammissibile che quest’ultima voce medioinglese avesse avuto all’inizio il significato di ‘punta, bacchetta, stecco, asticella, ecc.’, adattissimo per il concetto di “ghiacciolo” come già visto.  La stessa situazione si verifica nel ted. Eis-zapfen ‘ghiacciolo’ oppure ted. Eis-zacken ‘ghiacciolo’, composti in cui i determinati –zapfen e -zacken  hanno rispettivamente i significati di ‘tappo, perno, cavicchio, ugola’ e di ‘punta (di monte), dentello’.  Va da sé, a mio avviso, che anche la componente Eis ‘ghiaccio’ doveva avere, in questi casi, il valore originario di ‘piolo, cavicchio, punta, ecc.’, tautologico rispetto all’altra componente. Una spia di ciò è avvertibile nel composto ted. Eisen-kraut ‘verbena’, una piantina erbacea, con gambi alti fino a circa mezzo metro, ritenuta sacra dai Romani.  La componente -kraut significa ‘erba, verdura, cavolo’. Tra i diversi nomi con cui è nota la piantina in Germania ce n’è anche  uno che ripropone una radice similissima a quella di ted. Eisen (< medio alto ted. isen ‘ferro’) nella prima componente, e cioè Iseu-kraut ‘verbena’. Ma c’è di più: la verbena era chiamata nell’antico egizio “lacrime di Isis“, in cui ricompare una radice simile a quella della famosa divinità egizia (Iset, Ist, Aset, Hes, ecc.) con cui si incrocia. Il culto di Isi, Isis, Iside si diffuse in tutto il Mediterraneo raggiungendo anche la Gallia, La Germania e La Britannia. Un altro nome tedesco per ‘verbena’ è Stabl-Kraut il cui primo membro deve essere un derivato del ted. Stab ‘bastone’. 

   E’ istruttivo gettare, poi, uno sguardo alle parole usate da alcune lingue germaniche per ‘ghiacciolo’.   Interessanti sono il dan. spis-is ‘ghiacciolo (gelato)’, dal significato letterale di ‘ghiaccio (-is) da consumare, mangiare (spis-)’, fotocopia del ted. Speise-eis ‘gelato, ghiaccio puro da tavola’. Il significato di ghiacciolo in danese mi suggerisce però che i membri iniziali dan. spis-  e ted. Speise- non indicavano affatto il ‘cibo’ o il ‘mangiare’ all’origine, ma dovevano corrispondere al ted. Spiess ‘lancia, asta, spiedo’ e danese spid ’spiedo’, dan. spids ‘punta’.  E così in questo caso anche i membri dan. -is e  ted. -Eis ‘ghiaccio’ in realtà dovevano necessariamente significare anch’essi ‘punta, stecco, spiedo,  ecc.’.  I composti danese e tedesco dovevano indicare qualsiasi oggetto appuntito, compreso il ghiacciolo nel senso di ‘punta di ghiaccio’.  Questa mia affermazione credo possa essere messa facilmente alla prova, data appunto l’invenzione recente del ghiacciolo (gelato) e, suppongo, la presenza in queste lingue di testi antecedenti a quella data e contenenti i suddetti composti, ma col significato di ‘ghiacciolo (punta di ghiaccio)’ o di ‘bacchetta, spiedo, asta, ecc.’ o d’altro. Sono pronto a giocarci la mia credibilità!  Anche se i detti composti potrebbero starsene nascosti, quatti quatti, in aree dialettali o, addirittura, essere scomparsi.

    Appena arrivò poi l’invenzione del tipo di gelato suddetto (appena un secolo fa), la lingua trovò molto semplice e comodo riciclare i precedenti significati di quei composti. Naturalmente si poteva verificare anche la possibilità che all’inizio vi fosse, in alcuni casi, un composto tautologico per ‘ghiaccio’ che successivamente avrà subito tutti gli incroci possibili.

   In danese si incontra anche il composto is-pind ‘ghiacciolo (gelato)’, letteralmente ‘stecco (-pind) col ghiaccio (is-)’, ma originariamente solo ‘stecco’ in ambo i membri. 

   Sto pensando, da un po’ di tempo, che il lat. geli-cidi-u(m) ‘agghiacciamento, ghiaccio, brinata’ in realtà non ce la conta giusta, perché solo il significato di ‘brinata’ potrebbe essere giustificato dalla lettera del termine, e cioè ‘caduta di gelo’, mentre gli altri due non hanno bisogno affatto dell’idea di “cadere, caduta” espressa dal membro –cidi-u(m), da lat. cad-ĕre ‘cadere’; inoltre anche il termine marinaresco it. gelicidio ‘intenso freddo che guasta e piega le fibre del legname di una nave’ non ne ha ugualmente bisogno.  A me pare che quindi il significato di fondo del composto doveva essere solo quello di ‘gelo, freddo, ghiaccio’, e allora bisognerebbe  a mio avviso intendere la parola latina come una reinterpretazione di un  possibile *gel-icili-u(m) ‘gelo, freddo, ghiaccio’ il cui secondo membro –ic-ili-u(m) non è altro che la nostra vecchia conoscenza del secondo membro del composto  ingl. ic-icle ‘ghiacciolo’, per il quale avevamo supposto,tra l’altro, anche una possibile ripetizione tautologica per ‘ghiaccio’.  E allora l’idea di “punta, stecco” presente in –icle va a farsi friggere? Non direi se c’è chi[2] riporta addirittura il termine lat.  glaci-e(m) ad un precedente *gel-aci-e(m), somma di due parole per ‘punta’: la radice indoeuropea ak ‘acuto, punta, ecc.’ l’abbiamo incontrata sopra; il valore di ‘punta’ del membro gel-, da lat. gelu ’gelo, ghiaccio, freddo, grandine brina’ è attestato nel lituano gél-ti ‘pungere’. Il gelo avrebbe preso il nome dall’essere pungente.   Io non ci credo, e lo spiegherò tra poco, ma credo nella possibile presenza di questa radice nel medio ingl. ik-el ‘ghiacciolo’ e nel secondo membro di lat. geli-cidi-u(m) < *gel-ic-ili-u(m).  Ci sarebbero anche altre osservazioni da fare ma le rimando ad altra occasione. Quello che ho detto fin qui è di certo sufficiente a far capire i giochi cui ricorre la Lingua per offrire all’uomo una comunicazione il più possibile chiara e specializzata.  Le radici sono non solo multicolori ma anche versicolori, nel senso che possono cambiare significato, e anche profondamente, da un caso all’altro. Per il semplice motivo, a mio parere, che una radice nasce sempre non con un marchio unico e indelebile, ma con una natura molto vaga ed indefinita, cosa che risulta inconcepibile alla nostra mente abituata, al contrario, a vedere marchi di significato immutabile o quasi in ognuna di esse, nonostante il gioco dei valori figurati, i quali non sono altro che una copia piuttosto sbiadita della incontenibile mutevolezza di fondo.  In un certo senso coglieva paradossalmente nel vero il grande scrittore francese del Rinascimento F. Rabelais che definiva l’etimologia, prendendola in giro, come “scienza in cui le vocali non contano nulla e le consonanti pochissimo”.  Ed è vero. In effetti anche la concezione moderna dell’arbitrarietà del segno linguistico ribadisce, in fondo, la constatazione che, per quanto riguarda il significato, le vocali e le consonanti non valgono granchè, perché possono, di volta in volta, indicare le cose più diverse. Ma questo non esaurisce tutta la Lingua: bisogna aggiungere che i suoni della Lingua, quando questa cominciò ad operare, indicavano sì le cose più diverse ma attaccate, per così dire, al solo concetto che l’animale uomo era riuscito ad agguantare nel corso dell’Evoluzione, concetto che è difficile anche definire, per la sua grande genericità.  E’ quello di “anima, vita, forza, spinta” che ogni oggetto o animale vivente suggeriva alla sua immaginazione (fase evolutiva dell’Animismo): d’altronde dove e come avrebbe potuto impossessarsi di tutti i vari concetti necessari alla Lingua se egli usciva proprio allora dall’animalità linguisticamente muta, e non c’era nessuno che gli regalasse, per così dire, i concetti, i quali per nascere hanno bisogno di una mente capace di abbinare consapevolmente  suono e significato?  Non mi si venga a dire che anche gli animali parlano tra loro!  Non si confonda un mero segnale di comunicazione istintiva, somigliante a quello di una bandierina che viene agitata, con la parola che definirei simbiosi di suono  e concetto. 

     Ora spiego il motivo per cui non credo all’etimo di lat. gelu ‘gelo, ghiaccio, freddo’ individuato dal Devoto nell’ idea di “pungere”. 

      Se si osserva bene il verbo lat. glaci-are si scoprono i significati di ‘coagulare (del formaggio), rapprendersi, solidificarsi’, per cui è legittimo supporre che il significato profondo  della radice del verbo fosse proprio solidificarsi: il ghiaccio, in effetti, non  è niente altro che (acqua) solidificata. Anche se a noi, di primo acchito, questa spiegazione, comprensibilissima al livello intellettivo, non riesce a cancellare del tutto un certo nostro senso di sgradevolezza al palato, suscitata dalla sottintesa uguaglianza, non so, tra l’idea di ghiaccio e quella del latte cagliato: il ghiaccio suscita in noi la sensazione di freddo e durezza: il latte coagulato sembra un’altra cosa.  La radice, più a monte, doveva avere quindi il significato più generico, di ‘consolidar(si), fissar(si), stabilizzar(si), ecc. ‘ proprio di ogni cosa che diventa stabile, fissa, dura, compressa, ecc. Basta dare, d’altronde, un’occhiata al verbo gr. pēg-ný-nai per scoprire, oltre al significato di ‘congelare, coagulare’ anche quello di ‘fissare, attaccare, conficcare’.   Oh! scoperta!  Se si riflette sul significato di ‘conficcare’, infatti, si può agevolmente passare da esso a quello di ‘pungere’ che, vedi caso, il Devoto considera l’etimo di lat. gelu ’ghiaccio, gelo’, come abbiamo visto. C’è poco da fare! Ogni radice è, per così dire, un sorta di ricettacolo entro cui si trovano, uno accanto all’altro, significati via via diversi (anche di molto)  da quello che si può considerare generico di fondo.  L’ho detto tante volte e non mi stanco di ripeterlo, perché si tratta del principio dei principi della semantica, che ne sconvolge le fondamenta. Anche in questo caso, l'idea di "coagulo" è il risultato di un'azione di 'comprimere' o, più a monte, di 'premere' e di 'spingere' (cfr. il significato, per me, primordiale di 'forza') come del resto vuole il suo etimo dal lat. co-ag-ul-u(m) 'coagulo, caglio, latte cagliato, legame' che contiene la radice del verbo  ag-ere 'spingere, fare, ecc.'
  
     Si può allora concludere che ‘pungere’ è uno dei diversi significati collaterali delle radici che indicano principalmente il ghiaccio o il ghiacciarsi , ma in fondo anche questi ultimi significati debbono essere visti, più genericamente, come il manifestarsi   di una forza che preme o comprime la quale si concretizza sia nel congelamento dei liquidi o nel consolidarsi di tutte le cose, sia nel pungere di una punta o ago.  Amici miei! Non si scappa: basta riflettere cum grano salis, anche solo sui significati delle parole,per fare delle scoperte notevoli, che sono tutte sotto il segno di un significato genericissimo di fondo.  Così, ahimé!,  potrebbe essere messo in dubbio però anche la radice di it. ghiacciolo per la quale avevo difeso, quasi dando in escandescenze, l’etimo tratto da lat. gladi-ol-u(m). In effetti il ghiacciolo avrebbe potuto legittimamente  trarre il suo etimo dalla radice glak- di lat. gl-aci-e(m) ‘ghiaccio’, ma sta di fatto, credo, che lo abbia tratto dalla radice di lat. gladi-ol-u(m) ‘pugnale’: una spia è data anche dalla realtà effettuale che in latino non esiste un precedente *glaci-ol-u(m).  Ma ripeto e sottolineo che l’it. ghiacciolo avrebbe avuto tutti i diritti di ricevere la primogenitura da lat. glaci-e(m) ‘ghiaccio’.

    Il termine ufficiale per ‘ghiacciolo’ in latino  era stiria ‘gocciola gelata, ghiacciolo’ il quale, come al solito, aprirebbe un’altra lunga serie di collegamenti con radici per ‘tronco, trave, pertica’, per ‘rigore, rigidità’, ecc. Ma rimando la cosa ad altra occasione.  Aggiungo solo che in latino esiste anche il composto stiri-cidi-u(m) ‘caduta di ghiaccioli (quando il caldo cominciava a farsi sentire, i rigidi ghiaccioli in genere potevano staccarsi integralmente dalla gronda  diventando così pericolosi per la testa se ci si trovava sotto)’. A me pare che, come abbiamo visto più sopra per lat. geli-cidi-u(m) ‘ghiaccio, brinata’,  il composto sia da segmentare in stir-icili-u(m) e che stir- richiami, ad esempio, il gr. steíra <*sterja ‘trave maestra della carena’.  Del resto anche il lat. stil(l)i-cidi-u(m) ‘stillicidio, gocciolamento’ credo che sia partito da una forma *stil-icili-u(m) per ‘ghiacciolo’, reinterpretato poi come stil(l)i-cidi-u(m), cioè ‘caduta di stille, gocce’: ma il primo membro stil(l)i-  conteneva originariamente la stessa radice di lat. stil-u(m) ’piolo, bacchetta puntuta,  fusto, stelo, stilo’ , di ted. Stiel ’gambo, stelo, manico, ecc.’, di gr. stŷl-os ‘colonna, sostegno, palo’, gr. stele-όs ‘matterello, manico’, gr. stlē ‘colonna, pilastro’, ecc.

   Spero di aver convinto almeno qualcuno di coloro che continuano sostanzialmente a percorrere imperterriti i vecchi sentieri della linguistica, divenuti a mio avviso impraticabili.

   In aiellese ed altri dialetti i cannëluttë erano anche le due colate di muco dal naso dei ragazzini che non sempre badavano alla loro igiene.  Ho già in mente qualche idea che possa condurre al significato originario della parola, ma preferisco chiudere qui questa parte dedicata ai vari significati cosiddetti figurati di candela: si sta facendo notte, le pagine scritte sono già molte e altre osservazioni bussano impazienti alla mia porta. Lascio pertanto ad altri, se ne hanno voglia, il compito di svelarne il vero significato iniziale.

   Come torno a ripetere per averlo detto già in altri articoli, basta a volte osservare con attenzione il significato, o i vari significati di una parola, per arrivare al suo significato originario, che spesso, e non può essere altrimenti, si incrocia con quello o quelli di qualche altro termine che contribuisce, così, a specializzarne il significato: altrimenti la Lingua, che ha bisogno di significati particolari, non sarebbe possibile o forse sarebbe possibile solo nella forma un po’ grossolana e generica propria di chi sta iniziando ad imparare qualche nuova lingua.
 
    Credo torni utile  dare uno sguardo alle parole per ‘candela’ in uso in altre lingue per confermare l’idea di “bacchetta, asta” che sta dietro di esse.

    La parola tedesca più usata per ‘candela’ è Kerze che risulta, però, di etimo non chiaro, pur essendo molto vicina, a mio parere (nonostante la cosiddetta Rotazione consonantica o Lautverschiebung  che sembrerebbe negarlo), a termini come ant. ingl. gierd, geard ‘bacchetta, verga, rametto’, varianti di ant. alto ted. gart ‘bastone, pungolo’, ingl. yard ‘iarda’ unità di misura di lunghezza, ma che nei dialetti mantiene l’antico significato di ‘pertica, bastone, trave, ecc.’.  Il termine marinaresco ingl.yard-arm  indica il pennone, una robusta trave che si incrocia perpendicolarmente con l’albero di un veliero.  Oggi la parola tende a prendere un significato specializzato di ‘estremità del pennone’ dato che quest’ultimo  è, come dire, diviso idealmente in due parti dall’albero a cui è unito, le quali facilmente generano l’idea di “estremità, parte estrema”.  Ma nel Dizionario etimologico inglese, presente in rete, si dice espressamente, sotto il lemma yard n.2, che il termine yard-arm  ha mantenuto il senso originario di ingl. stick ‘bastone, pertica, pennone’[3].  La componente –arm, letteralmentebraccio’, qui vale quindi tautologicamente ‘pennone, trave’.

    Io ricorderei anche l’aiellese (dialetto del mio paese di Aielli) corda che significa anche ‘trave (in genere di legno)’ la quale mi pare legata alla suddetta radice di ted. Kerze ‘candela’ piuttosto che a quella di it. corda ’fune, funicella’ o ‘corda della chitarra’. 

    Il termine it. gret-ola, che presenta una forma diminutiva di una base gret-, non mi pare che possa derivare dal lat. grat-e(m) ‘graticcio’ perché questo significato rimanderebbe ad un concetto generale di “struttura, insieme di vari elementi, connessione, intreccio, incrocio, ecc.” piuttosto che prestarsi ad indicare un solo elemento della struttura.  Quindi l’it. gret-ola che indica  ciascuna  delle sottili asticciole di cui è composta una gabbia, mi pare derivabile, per metatesi, dalla suddetta radice kerd, kord per ‘stecca, trave, ecc.’  e non può essere intesa come forma italiana, con sonora iniziale di tipo settentrionale,  generata dal lat. crat-e(m) ‘graticcio’.

     Un altro termine interessante per ‘candela’ è lo spagn. vela che presenta questi significati: ‘candela, veglia, vela, guardia (notturna)’.  Ora, a parte il sign. di vela dal lat. vel-a(m) ‘vela’, quelli di veglia  e di guardia notturna ci fanno capire che la radice di spagn. vela ‘candela’ aveva avuto a che fare con la radice di lat. vig-ili-a(m) ‘veglia, servizio di guardia, guardia notturna’. La radice è anche quella dell’aggett. lat. vigil-e(m) ‘sveglio, desto, vigile’,  sost. ‘sentinella, vigile’, nonché, più a monte, dei verbi lat. vig-ēre ‘essere in forza, vigore, essere pieno di energia vitale, ecc.’ variante di lat. veg-ēre ‘animare, eccitare; essere vegeto, vivace’.  La radice è variante di termini germanici come ingl. wake ‘svegliare, svegliarsi’.  Quale concetto  sarebbe più adatto di questo, allora, anche per indicare la fiamma o il fuoco  in generale la cui natura è quella di agitarsi e vibrare esprimendo con ciò tutto il suo vigore? Nel dialetto aiellese avevamo un tempo un bel verbo che indicava precisamente ‘l’avvivarsi e l’arroventarsi di un oggetto di ferro tenuto per un certo tempo sul fuoco fino  a farlo diventare incandescente. Esso era il verbo riflessivo r-avvëcēn-ìsse, col part. passato r-avvēcēn-ìtē, da intendere formalmente come ri-ad-vigil-irsi ‘ri-svegli-arsi’, in cui il prefisso ra- (da ri-ad-) non ha valore iterativo ma intensivo .  Però noi sappiamo che il concetto iniziale di “candela” deve parlare necessariamente  di bacchetta, bastone, trave e simili.  Quale potrebbe essere la parola adatta per spagn. vela ’candela’?  Credo che essa sia qualche diminutivo di spagn. viga ‘trave’, magari poi caduto in disuso, come *vigula > *vigla > *vila=vela ‘bacchetta’ o come *viguilla > *viguila (con la /l/ scempia, per influsso del termine concorrente lat. vigili-am ‘veglia’, presente nello spagn. vela ‘veglia’ ) > *vigla > *vila=*vela ‘bacchetta’. 
  
   Un’altra dolce fatica è conclusa. Deo gratias!   

  
  




[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.

[2] Cfr. G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana,, Edizione CDE spa, Milano, 1984. 



    


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