Credo che tutti, senza tema di sbagliarmi, facciano derivare l’it. candela,
fotocopia del lat. candel-a(m) ‘candela’, dalla radice luminosissima del verbo
lat. cand-ēre ‘essere bianco splendente, rifulgere, essere
incandescente’: comunque, chiarisco subito, che non è il grado di luminosità che
impedisce la derivazione diretta ed esclusiva dell’una dall’altro.
In edilizia la cand-ela è un puntello piuttosto
lungo e sottile per ponteggio, e questo significato dovrebbe spingere il
ricercatore di etimi verso il gr. kont-όs ‘pertica, asta, lancia’, ant. ind. kunta- ‘lancia’, lat. cont-u(m) ‘pertica, picca’, a mio giudizio, almeno perché l’etimo dovrebbe
avere un significato molto ampio e generico, e una cand-ela, nonostante il disturbo, diciamo così, della sua tremula luce,
risponde perfettamente all’idea di “bacchetta, bastoncino, stelo, tondino”. E
non lasciamoci ingannare dalla sua luce tremula né da quella abbagliante del
verbo latino suddetto, come purtroppo siamo spinti a fare in conseguenza del
fatto che la candela, in italiano e
soprattutto in latino, era un oggetto che tutti avevano tra le mani, e tutti i
giorni (veramente la sera e la notte, ma anche di giorno nelle cerimonie
liturgiche, ad esempio), e perciò era destinato a farla da padrone nel nostro
immaginario, inducendoci a credere che tutti i cosiddetti significati figurati
o tecnici della parola fossero solo suoi derivati, quando invece potevano rimandare ad una radice diversa per ‘fusto,
pertica’, magari perduta o finita appunto ai margini della lingua o di un
dialetto, e quindi priva della forza adeguata a contrastare la frode, perpetrata
miseramente, della sua identità
originaria a tutto vantaggio del significato più vistoso e apparentemente
incontrovertibile della parola.
Da quanto detto sopra, dunque, la
cand-ela dovrebbe essere il risultato di un significato originario di
‘pertica, fusto, bastoncino (più o meno
sottile)’ incrociatosi certamente con la radice abbagliante di lat. cand-ēre ‘essere bianco lucente, brillare’. Ma gli usi figurati non finiscono qui.
Per sottolineare la magrezza di qualcuno si possono usare, ad esempio,
frasi come questa: Tuo figlio mi pare
proprio una candela, se è cereo nel colorito e allampanato
nella corporatura. Frasi di uguale significato potrebbero essere, magro come un chiodo, come uno stecco.
L’ingl. candle-pin ‘birillo’ riproporrebbe senza un
motivo ragionevole la candela: in questo caso, in effetti,
non si ha la più pallida idea circa l’utilità di una sua eventuale fiammella, essendo poi il componente
–pin già un ‘birillo’ o uno ‘spillo’.
Tutto si chiarisce quando si comprende che si tratta di una tautologia per ‘birillo’ il quale assomiglia ad un cilindretto, ad un chiodo,
ad una sorta di piccolo stecco o ad uno stecchino,
insomma, per quanto venga dotato spesso
di sembianze umane.
L’ingl. candle-stick ‘candeliere’
sembra, di primo acchito, composto creato a tavolino con le componenti candle-
‘candela’ e -stick ‘bastone, bastoncino’, sicchè il suo significato letterale sarebbe puntigliosamente
‘bastoncino (che sostiene) la candela’, ma non c’è nulla di più falso: si
tratta solo di una reinterpretazione di un composto inizialmente tautologico,
formato di due elementi dello stesso significato originario di ‘candela’. Di tali composti, le cui due componenti, inizialmente
tautologiche, divennero successivamente distinte in determinante e determinato,
con significati diversi tra loro, sono strapiene le lingue germaniche, che, ad
un certo punto della loro lunga storia, a mio avviso riciclarono i precedenti
composti tautologici.
Il termine che chiarisce in modo definitivo quello che sto dicendo è il diminutivo it. candel-etta, il quale in urologia indica un
bastoncino cilindrico che serve per sondare diversi condotti e soprattutto
l’uretra: ma Dio buono! è mai possibile
che un oggetto somigliante ad una
asticciola e ad uno specillo,
termini molto generici, debba ricorrere all’idea specifica di “candela”, non
strettamente collegabile, sul piano sincronico della lingua, a quella dello
strumento in questione? Nooo! Ma la risposta diventa: Siii!
appena spieghiamo che sicuramente (voglio essere perentorio!) la parola cand-ela in epoche lontane o lontanissime,
come dimostra la candel-etta suddetta,
doveva indicare un semplice bastoncino
e simili. Naturalmente poi si è verificato l’incrocio inevitabile con la radice
di lat. cand-ēre ’essere splendente, infuocato’ che
ne ha determinato la specializzazione per via della fiammella della candela, da
cui tutti sono rimasti incantati e linguisticamente abbagliati!
In abruzzese[1]
la voce cannélë (< lat.
candel-am), oltre a significare ‘candela’
vale anche ‘asta, asta pubblica, incanto’. Al plurale la voce indica ‘antenne,
che sostengono le pancate nelle fabbriche’.
Allora risulta evidente che l’it. in-canto ‘pubblico appalto’ non può
derivare dall’espressione del latino medievale in quantum? (a quanto si vende?) ma da un termine da cui si
formò la parola cand-ela ‘asta’, cioè
la radice cand-, cant-
variante di quella di gr. kont- όs ‘asta, lancia, pertica’, citata all’inizio. Quindi all’origine la locuzione *in
canto doveva avere lo stesso significato di lat. sub hasta ‘all’asta’ letteralmente
‘sotto l’asta’, in quanto la vendita o l’appalto soleva avvenire presso un’asta
piantata sul terreno, simbolo d’autorità. Non si scappa: l’abruzzese cann-ela ‘asta, antenna, asta pubblica’ apre
gli occhi anche a chi si ostina a tenerli chiusi e anche a chi volesse fare
riferimento al tipo d’asta detto della candela vergine, in base al quale il
gioco delle offerte e controfferte poteva durare fino allo spegnimento di una o
più candele. E’ pensabile, piuttosto,
che questo tipo d’asta sia stato suggerito dall’incrocio del significato di asta con quello di candela.
E l’espressione idiomatica Il gioco non vale la candela sarebbe veramente nata nelle antiche locande dove la sera si accendevano candele (ma, più verosimilmente, solo lumi ad olio) e i giocatori di carte erano tenuti a lasciare una piccola somma di denaro per il loro consumo? Non credo: questa spiegazione dové subentrare ben successivamente nella storia della Lingua, quando l’iniziale candela che era nata con altro significato, si incrociò con il significato che conosciamo. Abbiamo infatti visto sopra che l’abruzz. cannélë ‘candela’ valeva anche asta pubblica e avrebbe quindi potuto indicare, a mio avviso, anche il bene sottoposto all’asta o il suo valore in denaro. Sicchè non sarebbe fuori luogo un suo successivo significato di ‘posta in giuoco’. Tutta l’espressione avrebbe avuto allora il senso di ‘il gioco non vale la posta (in gioco)’. Inoltre l’espressione italiana è la traduzione della locuzione francese Le jeu ne vaut pas la chandelle e in quella lingua esiste un’altra espressione che suona ‘devoir une fière chandelle a quelqu’un ‘essere grandemente obbligato a qualcuno, essere in debito con qualcuno’ ma letter. ‘dovere una grande candela a qualcuno’. Il che mi pare che non abbia molto significato, se non nel senso di dover accendere una bella e grande candela a qualcuno che nei confronti della persona parlante si è comportato come un Santo che avesse esaudito sue richieste. Ma quel fier ‘fiero, orgoglioso, arrogante, grande’ non mi sembra molto appropriato per una ‘candela’ e per questo vedrei sotto chandelle un significato proprio ed originario di ‘debito, somma dovuta’ scivolato poi in quello figurato di ‘obbligazione, gratitudine, ecc.’.
E l’espressione idiomatica Il gioco non vale la candela sarebbe veramente nata nelle antiche locande dove la sera si accendevano candele (ma, più verosimilmente, solo lumi ad olio) e i giocatori di carte erano tenuti a lasciare una piccola somma di denaro per il loro consumo? Non credo: questa spiegazione dové subentrare ben successivamente nella storia della Lingua, quando l’iniziale candela che era nata con altro significato, si incrociò con il significato che conosciamo. Abbiamo infatti visto sopra che l’abruzz. cannélë ‘candela’ valeva anche asta pubblica e avrebbe quindi potuto indicare, a mio avviso, anche il bene sottoposto all’asta o il suo valore in denaro. Sicchè non sarebbe fuori luogo un suo successivo significato di ‘posta in giuoco’. Tutta l’espressione avrebbe avuto allora il senso di ‘il gioco non vale la posta (in gioco)’. Inoltre l’espressione italiana è la traduzione della locuzione francese Le jeu ne vaut pas la chandelle e in quella lingua esiste un’altra espressione che suona ‘devoir une fière chandelle a quelqu’un ‘essere grandemente obbligato a qualcuno, essere in debito con qualcuno’ ma letter. ‘dovere una grande candela a qualcuno’. Il che mi pare che non abbia molto significato, se non nel senso di dover accendere una bella e grande candela a qualcuno che nei confronti della persona parlante si è comportato come un Santo che avesse esaudito sue richieste. Ma quel fier ‘fiero, orgoglioso, arrogante, grande’ non mi sembra molto appropriato per una ‘candela’ e per questo vedrei sotto chandelle un significato proprio ed originario di ‘debito, somma dovuta’ scivolato poi in quello figurato di ‘obbligazione, gratitudine, ecc.’.
Nel dialetto di Aielli e in altri la voce cannëlόttë sta per ‘ghiacciolo
(che pendeva dalla falda sporgente del tetto, causato dal ghiacciarsi delle
gocce d’acqua che cadevano dalle gronde sprovviste di canalino raccoglitore’). Man
mano che il freddo aumentava le gocce si trasformavano in ghiaccioli simili a grossi chiodi di ghiaccio o magari a candele di
ghiaccio, dato il colore biancastro di essi. E pertanto si penserà da parte dei
sapienti: chi è quello sprovveduto che
potrebbe dare un etimo della parola aiellese
cannëlottë ‘ghiacciolo’ senza ricorrere all’it. candela, data la loro stretta
somiglianza, o alla parola it. ghiaccio se si cerca l’etimo di ghiacci-olo?
Lo sprovveduto sono io, e me ne
vanto! Abbiamo già notato che l’it. candela è un termine troppo specifico
per poter indicare qualsiasi ‘bastoncino, chiodo, pertica’ e abbiamo già
chiarito che all’origine candela
indicava appunto questi significati. E ghiacci-olo (nel senso di ‘punta di ghiaccio
pendente d’inverno dai tetti o altro), per il quale gli etimologi dormono sonni
profondi data l’evidenza, a loro giudizio, della sua origine da ghiaccio (< lat. glaci-em ‘ghiaccio’)? Sarebbe ora che vi svegliaste, mie cari
ricercatori! Giacchè voi conoscete senz’altro la parola it. giaggiolo,
un fiore delle gigliacee dai gambi ben eretti e lunghi, e sapete anche che la
parola deriva dal lat. gladi-ol-u(m)< lat. gladi-u(m) ‘spada corta (dei legionari romani) e dei gladiatori’. Solitamente, infatti, il
nesso consonantico latino /gl/ dà
come esito in italiano il suono velare-palatale /ghi/, in questo caso palatilizzato completamente in /gi/; il nesso lat. /di/ ugualmente si può palatalizzare
in /gi/ se seguito da vocale come in
it. giorno < lat. diurn-u(m). Pertanto è chiaro come il sole che dietro l’it.
ghiacciolo dorme i suoi sonni
secolari una forma precedente gladi-olu(m) diventata prima *ghiaggi-olo (esiste però realmente, nel vocabolario della Crusca, la forma
ghiaggi-uolo per ‘giaggiolo’) e poi fatalmente ghiacci-olo per influsso di it. ghiaccio.
Ecco perché l’it. ghiacciolo può riconoscere come genitore legittimo solo il lat.
gladi-ol-u(m), anche se ad un certo punto della sua storia è subentrato
un altro genitore, illegittimo, che ha fatto del tutto per sostituirsi a quello
vero, nascondendolo alla perfezione per l’eternità, se non fosse arrivato il
sottoscritto a rompere l’incantesimo che copriva una vera e propria falsità ed
ingiustizia. Perché anche le parole
anelano al riconoscimento della verità! Il ghiacciolo come ‘gelato (con bastoncino di legno per
sostegno)’ è un’invenzione abbastanza recente, ma curiosamente, riprende in
parte il significato etimologico della parola, con quel bastoncino.
E’ curioso il termine inglese ic-icle per ‘ghiacciolo’. Esso
infatti è costituito da due membri:1) ice ’ghiaccio’(ant. ingl. is’
ghiaccio’) e 2) -icle, dal medio
inglese ikel ‘ghiacciolo’, sicchè l’ing. ic-icle dovrebbe significare letteralmente ‘ghiacciolo di ghiaccio’,
definizione chiaramente innaturale ed irrazionale. Semmai, si può supporre
all’inizio un composto tautologico per ‘ghiaccio’. Io non credo che questo ikel
’ghiacciolo’ derivi dall’ant. ingl. gicel ’ghiacciolo, ghiaccio’, ma che
esso sia in qualche relazione con la radice di ingl. edge ‘orlo, filo (di
coltello o altro), punta’, di ted. Eck ‘angolo, punta’ derivati dalla
radice indoeuropea ak- ‘acuto, punta, ago, ecc.’ presente
anche nella variante serbo-croata igla ‘ago, spillo’, simile al medio
inglese ikel ’ghiacciolo’. E’
quindi razionalmente ammissibile che quest’ultima voce medioinglese avesse
avuto all’inizio il significato di ‘punta, bacchetta, stecco, asticella, ecc.’,
adattissimo per il concetto di “ghiacciolo” come già visto. La stessa situazione si verifica nel ted. Eis-zapfen
‘ghiacciolo’ oppure ted. Eis-zacken ‘ghiacciolo’, composti in cui i determinati –zapfen e -zacken hanno
rispettivamente i significati di ‘tappo, perno, cavicchio, ugola’ e di ‘punta
(di monte), dentello’. Va da sé, a mio
avviso, che anche la componente Eis ‘ghiaccio’ doveva avere, in
questi casi, il valore originario di ‘piolo, cavicchio, punta, ecc.’,
tautologico rispetto all’altra componente. Una spia di ciò è avvertibile nel
composto ted. Eisen-kraut ‘verbena’,
una piantina erbacea, con gambi alti
fino a circa mezzo metro, ritenuta sacra dai Romani. La componente -kraut significa ‘erba, verdura, cavolo’. Tra i diversi nomi con cui
è nota la piantina in Germania ce n’è anche
uno che ripropone una radice similissima a quella di ted. Eisen (< medio alto ted. isen
‘ferro’) nella prima componente, e cioè Iseu-kraut ‘verbena’. Ma c’è di più: la verbena era chiamata
nell’antico egizio “lacrime di Isis“, in cui ricompare una radice
simile a quella della famosa divinità egizia (Iset, Ist,
Aset,
Hes,
ecc.) con cui si incrocia. Il culto di Isi, Isis, Iside si diffuse in tutto il
Mediterraneo raggiungendo anche la Gallia, La Germania e La Britannia. Un altro
nome tedesco per ‘verbena’ è Stabl-Kraut il cui primo membro deve essere un derivato del ted. Stab
‘bastone’.
E’ istruttivo gettare, poi, uno sguardo alle parole usate da alcune
lingue germaniche per ‘ghiacciolo’. Interessanti
sono il dan. spis-is ‘ghiacciolo
(gelato)’, dal significato letterale di ‘ghiaccio (-is) da consumare,
mangiare (spis-)’, fotocopia del ted.
Speise-eis ‘gelato, ghiaccio puro da tavola’. Il significato di ghiacciolo in danese mi suggerisce però che
i membri iniziali dan. spis- e ted. Speise-
non indicavano affatto il ‘cibo’ o il ‘mangiare’ all’origine, ma dovevano corrispondere
al ted. Spiess ‘lancia, asta, spiedo’
e danese spid ’spiedo’, dan. spids ‘punta’. E così in questo caso anche i membri dan. -is
e ted. -Eis ‘ghiaccio’ in realtà
dovevano necessariamente significare anch’essi ‘punta, stecco, spiedo, ecc.’.
I composti danese e tedesco dovevano indicare qualsiasi oggetto appuntito, compreso il ghiacciolo nel senso di ‘punta di
ghiaccio’. Questa mia affermazione credo
possa essere messa facilmente alla prova, data appunto l’invenzione recente del
ghiacciolo (gelato) e, suppongo, la
presenza in queste lingue di testi antecedenti a quella data e contenenti i
suddetti composti, ma col significato di ‘ghiacciolo (punta di ghiaccio)’ o di
‘bacchetta, spiedo, asta, ecc.’ o d’altro. Sono pronto a giocarci la mia credibilità! Anche se i detti composti potrebbero starsene
nascosti, quatti quatti, in aree dialettali o, addirittura, essere scomparsi.
Appena arrivò poi l’invenzione del tipo di gelato suddetto (appena un
secolo fa), la lingua trovò molto semplice e comodo riciclare i precedenti
significati di quei composti. Naturalmente si poteva verificare anche la
possibilità che all’inizio vi fosse, in alcuni casi, un composto tautologico
per ‘ghiaccio’ che successivamente avrà subito tutti gli incroci possibili.
In danese si incontra anche il composto is-pind ‘ghiacciolo
(gelato)’, letteralmente ‘stecco (-pind) col ghiaccio (is-)’, ma originariamente solo ‘stecco’
in ambo i membri.
Sto pensando, da un po’ di tempo, che il lat. geli-cidi-u(m) ‘agghiacciamento, ghiaccio, brinata’ in realtà non ce la
conta giusta, perché solo il significato di ‘brinata’ potrebbe essere
giustificato dalla lettera del termine, e cioè ‘caduta di gelo’, mentre gli
altri due non hanno bisogno affatto dell’idea di “cadere, caduta” espressa dal
membro –cidi-u(m), da lat. cad-ĕre ‘cadere’; inoltre anche il termine marinaresco it. gelicidio
‘intenso freddo che guasta e piega le fibre del legname di una nave’ non ne ha ugualmente bisogno. A me pare che quindi il
significato di fondo del composto doveva essere solo quello di ‘gelo, freddo,
ghiaccio’, e allora bisognerebbe a mio
avviso intendere la parola latina come una reinterpretazione di un possibile *gel-icili-u(m) ‘gelo,
freddo, ghiaccio’ il cui secondo membro –ic-ili-u(m) non è altro che la nostra vecchia conoscenza del secondo
membro del composto ingl. ic-icle
‘ghiacciolo’, per il quale avevamo supposto,tra l’altro, anche una possibile
ripetizione tautologica per ‘ghiaccio’. E
allora l’idea di “punta, stecco” presente in –icle va a farsi friggere?
Non direi se c’è chi[2] riporta
addirittura il termine lat. glaci-e(m) ad un precedente *gel-aci-e(m),
somma di due parole per ‘punta’: la radice indoeuropea ak ‘acuto, punta, ecc.’ l’abbiamo incontrata sopra; il valore di
‘punta’ del membro gel-, da lat. gelu
’gelo, ghiaccio, freddo, grandine brina’ è attestato nel lituano gél-ti ‘pungere’. Il gelo avrebbe preso il
nome dall’essere pungente. Io non ci credo, e lo spiegherò tra poco, ma
credo nella possibile presenza di questa radice nel medio ingl. ik-el ‘ghiacciolo’ e nel secondo membro di
lat. geli-cidi-u(m) < *gel-ic-ili-u(m). Ci sarebbero anche altre osservazioni da fare
ma le rimando ad altra occasione. Quello che ho detto fin qui è di certo
sufficiente a far capire i giochi cui ricorre la Lingua per offrire all’uomo
una comunicazione il più possibile chiara e specializzata. Le radici sono non solo multicolori ma anche versicolori,
nel senso che possono cambiare significato, e anche profondamente, da un caso
all’altro. Per il semplice motivo, a mio parere, che una radice nasce sempre
non con un marchio unico e
indelebile, ma con una natura molto vaga ed indefinita, cosa che risulta
inconcepibile alla nostra mente abituata, al contrario, a vedere marchi di
significato immutabile o quasi in ognuna di esse, nonostante il gioco dei
valori figurati, i quali non sono altro che una copia piuttosto sbiadita della
incontenibile mutevolezza di fondo. In
un certo senso coglieva paradossalmente nel vero il grande scrittore francese
del Rinascimento F. Rabelais che definiva l’etimologia, prendendola in giro,
come “scienza in cui le vocali non contano nulla e le consonanti pochissimo”. Ed è vero. In effetti anche la concezione
moderna dell’arbitrarietà del segno linguistico ribadisce, in fondo, la constatazione
che, per quanto riguarda il significato, le vocali e le consonanti non valgono
granchè, perché possono, di volta in volta, indicare le cose più diverse. Ma
questo non esaurisce tutta la Lingua: bisogna aggiungere che i suoni della Lingua,
quando questa cominciò ad operare, indicavano sì le cose più diverse ma
attaccate, per così dire, al solo concetto che l’animale uomo era riuscito ad agguantare
nel corso dell’Evoluzione, concetto che è difficile anche definire, per la sua
grande genericità. E’ quello di “anima,
vita, forza, spinta” che ogni oggetto o animale vivente suggeriva alla sua
immaginazione (fase evolutiva dell’Animismo):
d’altronde dove e come avrebbe potuto impossessarsi di tutti i vari concetti
necessari alla Lingua se egli usciva proprio allora dall’animalità
linguisticamente muta, e non c’era nessuno che gli regalasse, per così dire, i
concetti, i quali per nascere hanno bisogno di una mente capace di abbinare consapevolmente suono e significato? Non mi si venga a dire che anche gli animali parlano tra loro! Non si confonda un mero segnale di
comunicazione istintiva, somigliante a quello di una bandierina che viene
agitata, con la parola che definirei
simbiosi di suono e concetto.
Ora spiego il motivo per cui non credo all’etimo di lat. gelu
‘gelo, ghiaccio, freddo’ individuato dal Devoto nell’ idea di “pungere”.
Se si osserva bene il verbo lat. glaci-are si scoprono i significati di
‘coagulare (del formaggio), rapprendersi, solidificarsi’, per cui è legittimo
supporre che il significato profondo della radice del verbo fosse proprio solidificarsi: il ghiaccio, in effetti,
non è niente altro che (acqua) solidificata. Anche se a noi, di primo acchito, questa
spiegazione, comprensibilissima al livello intellettivo, non riesce a
cancellare del tutto un certo nostro senso di sgradevolezza al palato,
suscitata dalla sottintesa uguaglianza, non so, tra l’idea di ghiaccio e quella del latte cagliato: il ghiaccio suscita in noi la sensazione di freddo e durezza: il latte coagulato sembra un’altra cosa. La radice, più a monte, doveva avere quindi il
significato più generico, di ‘consolidar(si), fissar(si), stabilizzar(si), ecc.
‘ proprio di ogni cosa che diventa stabile,
fissa, dura, compressa, ecc. Basta
dare, d’altronde, un’occhiata al verbo gr. pēg-ný-nai per scoprire, oltre al significato di ‘congelare, coagulare’
anche quello di ‘fissare, attaccare, conficcare’. Oh! scoperta! Se si riflette sul significato di ‘conficcare’,
infatti, si può agevolmente passare da esso a quello di ‘pungere’ che, vedi
caso, il Devoto considera l’etimo di lat. gelu ’ghiaccio, gelo’, come abbiamo
visto. C’è poco da fare! Ogni radice è,
per così dire, un sorta di ricettacolo entro cui si trovano, uno accanto all’altro,
significati via via diversi (anche di molto) da quello
che si può considerare generico di fondo.
L’ho detto tante volte e non mi stanco di ripeterlo, perché si tratta del principio dei
principi della semantica, che ne sconvolge le fondamenta. Anche in questo caso, l'idea di "coagulo" è il risultato di un'azione di 'comprimere' o, più a monte, di 'premere' e di 'spingere' (cfr. il significato, per me, primordiale di 'forza') come del resto vuole il suo etimo dal lat. co-ag-ul-u(m) 'coagulo, caglio, latte cagliato, legame' che contiene la radice del verbo ag-ere 'spingere, fare, ecc.'
Si può allora concludere che ‘pungere’ è uno dei diversi significati
collaterali delle radici che indicano principalmente il ghiaccio o il ghiacciarsi ,
ma in fondo anche questi ultimi significati debbono essere visti, più
genericamente, come il manifestarsi di una forza che preme o comprime la quale
si concretizza sia nel congelamento
dei liquidi o nel consolidarsi di
tutte le cose, sia nel pungere di una
punta o ago. Amici miei! Non si
scappa: basta riflettere cum grano salis,
anche solo sui significati delle parole,per fare delle scoperte notevoli, che sono
tutte sotto il segno di un significato
genericissimo di fondo. Così,
ahimé!, potrebbe essere messo in dubbio però
anche la radice di it. ghiacciolo per la quale avevo
difeso, quasi dando in escandescenze, l’etimo tratto da lat. gladi-ol-u(m). In effetti il ghiacciolo avrebbe potuto
legittimamente trarre il suo etimo dalla
radice glak- di lat. gl-aci-e(m) ‘ghiaccio’, ma sta di fatto, credo, che lo abbia tratto dalla
radice di lat. gladi-ol-u(m)
‘pugnale’: una spia è data anche dalla realtà effettuale che in latino non
esiste un precedente *glaci-ol-u(m). Ma ripeto e
sottolineo che l’it. ghiacciolo
avrebbe avuto tutti i diritti di ricevere la primogenitura da lat. glaci-e(m) ‘ghiaccio’.
Il termine ufficiale per
‘ghiacciolo’ in latino era stiria
‘gocciola gelata, ghiacciolo’ il quale, come al solito, aprirebbe un’altra
lunga serie di collegamenti con radici per ‘tronco, trave, pertica’, per
‘rigore, rigidità’, ecc. Ma rimando la cosa ad altra occasione. Aggiungo solo che in latino esiste anche il
composto stiri-cidi-u(m)
‘caduta di ghiaccioli (quando il caldo cominciava a farsi sentire, i rigidi
ghiaccioli in genere potevano staccarsi integralmente dalla gronda diventando così pericolosi per la testa se ci
si trovava sotto)’. A me pare che, come abbiamo visto più sopra per lat. geli-cidi-u(m) ‘ghiaccio, brinata’, il composto sia da segmentare in stir-icili-u(m)
e che stir- richiami, ad esempio, il
gr.
steíra
<*sterja ‘trave maestra della carena’. Del resto anche il lat. stil(l)i-cidi-u(m) ‘stillicidio, gocciolamento’
credo che sia partito da una forma *stil-icili-u(m) per ‘ghiacciolo’, reinterpretato poi come stil(l)i-cidi-u(m), cioè ‘caduta di stille,
gocce’: ma il primo membro stil(l)i- conteneva originariamente la stessa radice di
lat. stil-u(m) ’piolo, bacchetta puntuta, fusto, stelo, stilo’ , di ted. Stiel
’gambo, stelo, manico, ecc.’, di gr. stŷl-os ‘colonna, sostegno, palo’, gr. stele-όs ‘matterello, manico’, gr. stḗlē ‘colonna, pilastro’, ecc.
Spero di aver convinto almeno qualcuno di coloro che continuano
sostanzialmente a percorrere imperterriti i vecchi sentieri della linguistica,
divenuti a mio avviso impraticabili.
In aiellese ed altri dialetti i cannëluttë erano anche le due colate di muco dal
naso dei ragazzini che non sempre badavano alla loro igiene. Ho già in mente qualche idea che possa
condurre al significato originario della parola, ma preferisco chiudere qui
questa parte dedicata ai vari significati cosiddetti figurati di candela: si sta facendo notte, le pagine
scritte sono già molte e altre osservazioni bussano impazienti alla mia porta.
Lascio pertanto ad altri, se ne hanno voglia, il compito di svelarne il vero
significato iniziale.
Come torno a ripetere per averlo detto già in altri articoli, basta a
volte osservare con attenzione il significato, o i vari significati di una
parola, per arrivare al suo significato originario, che spesso, e non può
essere altrimenti, si incrocia con quello o quelli di qualche altro termine che
contribuisce, così, a specializzarne il significato: altrimenti la Lingua, che
ha bisogno di significati particolari, non sarebbe possibile o forse sarebbe
possibile solo nella forma un po’ grossolana e generica propria di chi sta
iniziando ad imparare qualche nuova lingua.
Credo torni utile dare uno
sguardo alle parole per ‘candela’ in uso in altre lingue per confermare l’idea
di “bacchetta, asta” che sta dietro di esse.
La parola tedesca più usata per ‘candela’ è Kerze che risulta, però,
di etimo non chiaro, pur essendo molto vicina, a mio parere (nonostante la
cosiddetta Rotazione consonantica o Lautverschiebung che sembrerebbe negarlo), a termini come ant.
ingl. gierd, geard
‘bacchetta, verga, rametto’, varianti di ant. alto ted. gart ‘bastone, pungolo’,
ingl. yard ‘iarda’ unità di misura di lunghezza, ma che nei dialetti
mantiene l’antico significato di ‘pertica, bastone, trave, ecc.’. Il termine marinaresco ingl.yard-arm indica il pennone, una robusta trave che si incrocia perpendicolarmente con l’albero
di un veliero. Oggi la parola tende a
prendere un significato specializzato di ‘estremità del pennone’ dato che
quest’ultimo è, come dire, diviso idealmente
in due parti dall’albero a cui è unito, le quali facilmente generano l’idea di
“estremità, parte estrema”. Ma nel
Dizionario etimologico inglese, presente in rete, si dice espressamente, sotto
il lemma yard n.2, che il termine yard-arm ha
mantenuto il senso originario di ingl. stick ‘bastone, pertica, pennone’[3]. La componente –arm, letteralmente ‘braccio’, qui vale quindi
tautologicamente ‘pennone, trave’.
Io ricorderei anche l’aiellese (dialetto del mio paese di Aielli) corda
che significa anche ‘trave (in genere di legno)’ la quale mi pare legata alla
suddetta radice di ted. Kerze ‘candela’ piuttosto che a
quella di it. corda ’fune, funicella’ o ‘corda della chitarra’.
Il termine it. gret-ola, che presenta una forma diminutiva di una base gret-,
non mi pare che possa derivare dal lat. grat-e(m) ‘graticcio’ perché questo significato rimanderebbe ad un
concetto generale di “struttura, insieme di vari elementi, connessione,
intreccio, incrocio, ecc.” piuttosto che prestarsi ad indicare un solo elemento
della struttura. Quindi l’it. gret-ola che indica ciascuna delle sottili asticciole di cui è composta una gabbia, mi pare derivabile, per
metatesi, dalla suddetta radice kerd,
kord per ‘stecca, trave, ecc.’ e non può essere intesa come forma italiana, con
sonora iniziale di tipo settentrionale, generata
dal lat. crat-e(m)
‘graticcio’.
Un altro termine interessante per ‘candela’ è lo spagn. vela che
presenta questi significati: ‘candela, veglia, vela, guardia (notturna)’. Ora, a parte il sign. di vela dal lat. vel-a(m)
‘vela’, quelli di veglia e di guardia
notturna ci fanno capire che la radice di spagn. vela ‘candela’ aveva
avuto a che fare con la radice di lat. vig-ili-a(m) ‘veglia, servizio di guardia, guardia notturna’. La radice è
anche quella dell’aggett. lat. vigil-e(m) ‘sveglio, desto, vigile’,
sost. ‘sentinella, vigile’, nonché, più a monte, dei verbi lat. vig-ēre ‘essere in forza, vigore, essere pieno di energia
vitale, ecc.’ variante di lat. veg-ēre ‘animare, eccitare; essere vegeto, vivace’. La radice è variante di termini germanici come
ingl. wake ‘svegliare, svegliarsi’.
Quale concetto sarebbe più adatto
di questo, allora, anche per indicare la fiamma
o il fuoco in generale la cui natura è
quella di agitarsi e vibrare esprimendo con ciò tutto il suo
vigore? Nel dialetto aiellese avevamo un tempo un bel verbo che indicava
precisamente ‘l’avvivarsi e l’arroventarsi di un oggetto di ferro tenuto per un
certo tempo sul fuoco fino a farlo diventare
incandescente. Esso era il verbo riflessivo
r-avvëcēn-ìsse, col part. passato r-avvēcēn-ìtē, da intendere formalmente come ri-ad-vigil-irsi
‘ri-svegli-arsi’, in cui il prefisso ra-
(da ri-ad-) non ha valore iterativo
ma intensivo . Però noi sappiamo che il
concetto iniziale di “candela” deve parlare necessariamente di bacchetta, bastone, trave e simili. Quale
potrebbe essere la parola adatta per spagn. vela ’candela’? Credo che essa sia qualche diminutivo di
spagn. viga ‘trave’, magari poi caduto in disuso, come *vigula > *vigla > *vila=vela ‘bacchetta’
o come *viguilla > *viguila (con la /l/ scempia, per influsso del termine concorrente lat. vigili-am ‘veglia’, presente nello spagn. vela
‘veglia’ ) > *vigla > *vila=*vela ‘bacchetta’.
Un’altra dolce fatica è conclusa. Deo
gratias!
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