Nel mio paese di Aielli-Aq la parola è
sciuscèlla come nella vicina Cerchio-Aq (ma anche altrove, nel
Meridione), mentre a Trasacco-Aq si ha la variante
sciscèlla[1]. Non ne ho mai letto o sentito un etimo purchessia, o appena accettabile,
dalle nostre parti: la parola è così poco maneggevole, per così dire, e con
diversi significati (come vedremo), da scoraggiare chiunque e,
semmai, da indurre a confonderla con altre.
A me pare che, in fondo, l’etimo sia abbastanza facile, se si
parte dal trasaccano sciscella, il quale dovrebbe essere l’esito
finale di una forma del latino parlato *siliqu-ella> silic-ella> silcella> sicella> sciscella. Tutti questi passaggi non sono eccezionali, ma abbastanza comuni: in
latino esiste infatti la forma diminutiva silic-ul-a(m) ‘piccolo baccello’ da siliqu-a(m) ‘siliqua, carruba’. Eh già! La carruba è
sostanzialmente una siliqua, un baccello. Silicella si
trasforma in silcella per la semplice caduta della vocale atona –i-,
come in it. pulcino da latino tardo pullicin-u(m);
silcella dà sicella per la caduta della –l- come nel
dialettale pëcìnë
proveniente da lat. pulcin-u(m) ‘pulcino’; sicella, come avviene in altre parole, assume in dialetto, nella prima sillaba, la forma fricativo-palatale
scicella che per assimilazione trasforma la seconda sillaba –ce-
da palatale a fricativo-palatale. Nulla di eccezionale, dunque:
la nostra sciscèlla o sciuscèlla non è altro che
il lat. siliqua-(m), naturalmente un po’ strapazzata attraverso i secoli dalla bocca dei
parlanti. Direi anche che il suffisso–ella ha perso, o
quasi, il suo valore originario di diminutivo come in tante altre parole
quali
an-ello, cerv-ello, frat-ello.
L’idea espressa dal lat. siliqu-a-(m) ‘baccello’ si ritrova anche nell’altro nome dialettale
abruzzese della carruba, e cioè fain-èlla, vain-èlla, da *guain-èlla: un baccello è una specie di guaina, vagina,
infatti, che contiene e avvolge i semi.
La scisc-èlla divenne sciusc-èlla perché
si incrociò col il lat. ius-cell-u(m) ‘brodetto’, da lat. ius ‘brodo’, e taluni
pensano che esso sia all’origine del dial. sciuscella ‘carruba’,
perché in antico le carrube potevano essere cotte in un brodo,
appunto. Ma questo fatto non può in alcun modo sostituire la
natura di siliqua del frutto.
Diversi sono i significati della voce
sciusc-èlla nel Meridione riguardanti cibi di natura diversa ma più o meno
immersi in un brodo. L’idea di “guaina, baccello” che sta
dietro il termine fa sì che nel dialetto romanesco esso significhi anche
‘giumella’[2], una cavità, dunque, formata dalle due palme delle mani, come fossero le
due valve di un baccello.
Ad Aielli-Aq, il mio paese, addirittura la
sciuscella significa anche ‘ciabatta’, una scarpa leggera e senza
allacciature, una specie di sandalo. A mio parere qui opera sempre,
alla base, il concetto di “copertura” o di “avvolgimento” del piede, come
nell’ingl. shoe ‘scarpa’, ted. Schuh ‘scarpa’,
ingl sky ‘cielo’, in quanto ‘volta celeste’ che copre, latino
ob-scur-u(m) ‘oscuro, scuro’: ma questa radice non ha che fare
con quella di sciuscèlla, anche se il significato fondamentale è lo
stesso.
Quanto ai verbi sciuscià ‘bere
(liberamente)’ e sciuscià ‘spendere smodatamente, lapidare,
consumare, ecc.’ si deve pensare ad altra radice, che per ora trascuro e
lascio per qualcuno più esperto di me.
[1]
Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà Q-Z, Grafiche Di Censo Avezzano-Aq,
2003.
[2]
Cfr. U. Buzzelli-G.Pitoni, Vocabolario del dialetto avezzanese,
(senza edit ore), Avezzano-Aq 2002, p. 326.
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