Tra i diversi nomi del succiacapre ce n’è uno cileno che suona gallina
ciega, letteralmente ‘gallina cieca’.
Ora, cosa c’entra una gallina,
per di più cieca, con l’animale in
questione che caso mai somiglia un po’ ad un merlo o ad un falchetto, o ad una
rondine dalle lunghe ali? Per me è chiaro che il nome non è stato imposto, più
o meno recentemente, all’animale a causa di qualche somiglianza con la gallina ma che esso sia il risultato di
incroci vari intervenuti attraverso i secoli che hanno travisato la
denominazione originaria dell’animaletto.
Intanto comincio con l’osservare che in sp. gallina ciega significa comunemente anche ‘beccaccia’[1] oltre
che ‘larva di un tipo di scarafaggio’[2]. Allo stesso modo in italiano il termine gallinella vale, tra altri significati,
anche ‘beccaccia’. Ora, questo svariare
di significati a mio avviso avviene per lo stesso motivo per cui, nel dialetto
di Pisoniano-Rm, la voce calina
‘scintilla’(voce usata anche a Collelongo-Aq nella Marsica) è passata a
significare magicamente ‘lucciola’ nella voce caglinella: cosa è
successo? forse la lucciola è stata vista dall’uomo primitivo simile ad una gallina?
Niente affatto! Secondo me il concetto di “scintilla-luce” che è ancora tutto
evidente, anche in superficie, in caglinella
‘lucciola’ (benchè il significante
faccia riferimento al concetto di “gallina” la quale non luce come una lucciola) si è, come dire,
ritirato all’interno della gallina, per
costituirne l’anima: la scintilla, agli occhi dell’uomo
onomaturgo, è un’entità che si muove, si agita, vive, allo stesso modo in cui l’anima degli esseri viventi è un soffio che ne attesta la vitalità e l’esistenza. In altri termini
il concetto di “anima” e quello di “scintilla, luce” sono due facce della
stessa medaglia[3]. Si ricordi che anche in sardo la voce fiadu
(dal lat. flat-um ‘fiato, soffio,
vento’) significa ‘animale, bestia’ e che
il lat. aura significa ‘aria, soffio’ ma anche, in Virgilio, ‘luce,
scintillìo’. L’ingl. gale ’vento forte’ ma arcaicamente
‘leggera corrente d’aria, brezza’ è molto probabile che si trovi, pertanto,
dietro il gallo e la gall-ina. Tra le tante denominazioni sarde per ‘farfalla’ si incontra
il bel nome di ispiritu, cioè spirito,
soffio, spirito vitale. Ma c’è anche il gr. psykhḗ che significa ‘anima, soffio, vita’ nonché ‘farfalla’.
Nel corso della formazione di una Lingua, poi, il significato generico
di fondo solitamente scompare a tutto vantaggio di quello specializzato, come è
successo a ‘gallina’. Anzi, senza questa trasformazione dei significati sarebbe
impossibile il costituirsi di una lingua, la quale deve essere composta,
appunto, di una varietà di significati specializzati, per risultare agevole e
chiara. In conseguenza di ciò a noi ora sembra impossibile, o quasi, supporre
che ogni nome di animale, o d’altro, poteva, all’origine, essere riferito non solo
a quell’animale ma anche, preferibilmente, ad altri animali. Ve lo immaginate il
povero uomo che ha cominciato a parlare e che deve spremersi le meningi per
trovare, per ogni referente, il concetto giusto, come quello, ad esempio, della
cavallinità per il cavallo, della asininità per l’asino, della caninità per il cane, della gallinità per la gallina e il gallo,
ecc. ecc. ecc.? A me sembra tutto più
semplice e realistico supporre all’origine un concetto generico unico alla base
di tutti i referenti, i quali cominciavano ad avere comunque una solida
distinzione tra loro ꟷ che
contribuiva a far dimenticare il significato generico di fondo ꟷ, per via dei significanti diversi con
cui venivano espressi: il lat. equ-u(m)’cavallo’, ad esempio, era ben diverso dal lat. asin-u(m) ‘asino’ e dal lat. can-e(m) ‘cane’, ed era questo alla fin
fine che contava nell’uso della lingua la quale via via trascurava il
significato originario comune dei termini che indicavano però animali ben
diversi, a tutto vantaggio della nascita di presunti concetti diversi sottostanti ai vari significanti. Ma questi concetti
, diversamente da quello che ne pensavano Socrate, Platone e diversi altri
nella storia della filosofia, a me sembrano come l’araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun
lo sa. In effetti, quale concetto preciso
avrà avuto in mente l’uomo onomaturgo quando affibbiava il significante asino all’animale che conosciamo? La
sua lentezza? La sua goffaggine rispetto al cavallo? O le altre caratteristiche
fisiche e comportamentali dell’animale?
L’operazione sarebbe stata veramente imbarazzante e straziante. Se vogliamo dare uno
sguardo, poi, a quello che dicono i vocabolari sul concetto, i
quali mettono in rilievo la sua astrattezza che designerebbe
le caratteristiche essenziali di un ente, dobbiamo pur
accorgerci che le cose essenziali di un "cavallo", ad esempio, sono
le stesse non solo di quelle dell' "asino", suo parente stretto, ma
anche di quelle del "cane", del “gatto” e di una quantità di altri
animali: tutti hanno un corpo sorretto da quattro zampe, un collo, una testa, una bocca, una coda,
ecc. Semmai dovrebbero essere proprio le particolarità inessenziali
(come la forma, la grandezza, il colore, ecc.) di queste parti dell'animale, particolarità che però non
sarebbero contemplate dal concetto, a distinguere un animale non solo da un altro
dello stesso genere , ma anche da animali di altro genere. La particolarità
infatti dello zoccolo del cavallo, a
mio avviso inessenziale perché parte terminale della zampa, serve invece a distinguerlo dal “cane” che ha la parte
finale della zampa con dita distinte l’una dall’altra. Come pure la particolarità del suo verso, il
nitrito, serve a distinguerlo dal raglio dell’”asino” e dal latrato
del “cane”. Allora la definizione tradizionale del concetto, che
mirerebbe all'essenziale, comincia, secondo me, ad essere
contraddittoria e traballante come strumento linguistico certo di distinzione
tra un ente ed un altro. In realtà come dietro la parola
"gallina" c'è il concetto di "anima, spirito" (v. sopra),
così dietro ogni altro nome di animale, come “cavallo”, “cane”, “gatto”, ecc.
c'è sempre lo stesso concetto generico di anima
o spirito, e non un presunto concetto
specifico per ogni animale che lo distingua da tutti gli altri animali. I
concetti così sono vuoti, a mio
parere, nel senso che non contengono né indicano caratteristiche essenziali dei
referenti, tranne quella originaria ed essenzialissima di ‘anima, essere
vivente’ presente in tutti i concetti. La quale, però, nella dinamica della
comunicazione, è destinata a scomparire dalla coscienza del parlante perchè
sopraffatta dalla somma di supposte e posticce caratteristiche essenziali che,
benchè abbiano la consistenza di fantasmi, sembrano legare strettamente il concetto, e la parola
che lo esprime, a quel solo referente e non ad altri. Il concetto di “cavallo”, insomma, sembra così
essere completamente distinto da altri concetti relativi ad animali, non solo
perché esso ha un significante
diverso, ma anche perché ha un significato
diverso, apparentemente giustificato, del resto, dalla reale diversità tra un
animale e l’altro, cosa che fa credere che il nome del concetto sia stato
creato apposta per quell’animale: somma e pia illusione, chiaramente illogica,
dato che le caratteristiche essenziali che
dovrebbero essere espresse da quel nome,
sono, come abbiamo visto sopra, simili o uguali
a quelle di altri animali. Così il concetto, contrariamente a quello
che l’etimo del termine vorrebbe farci credere, cioè prendere, afferrare in
noi stessi, nella nostra mente, un ente, si limita solo ad indicarlo (come fosse un dito teso), quell’ente, fatto salvo l’unico significato originario di ogni
concetto. In altri termini l’operazione
mentale di concepire qualcosa non è
diversa da quella dell’afferrare, non
so, una mela, non per conoscerla nelle
sue caratteristiche essenziali ma solo per mangiarsela o darla a qualcuno.
Si può
anche immaginare che il concetto di
cavallo possa essere una sorta di stilizzazione
dell’animale, la quale faccia piazza pulita delle varie caratteristiche particolari
di ogni cavallo, ma saremmo sempre dinanzi ad una figura articolata di cavallo,
con i rapporti tra le sue parti ben conservati: la testa di una certa grandezza
o forma, il collo di un’altra grandezza, il corpo di un’altra grandezza ancora
e le gambe di un’altra grandezza ancora, ma anche così non si potrebbe ancora affermare
che il concetto di cavallo ripete le caratteristiche essenziali dell’animale
bensì piuttosto, paradossalmente, quelle particolari perché la testa, il collo, il corpo, le gambe dell’animale, sebbene stilizzate,
risulterebbero comunque diverse da quelle possedute da altri animali: esso sarebbe
sempre, pertanto, una bella foto, sebbene sbiadita quanto si vuole, del cavallo nella sua particolare struttura. E comunque resta sempre il fatto, per me
incontestabile, che il concetto non fa riferimento nemmeno a queste
caratteristiche stilizzate, ma, come ho detto, si limita solo ad indicare l’animale, fatto salvo il significato
originario e generale di “animale, essere animato”, appunto.
Ora,
tornando alla gallina ciega ‘succiacapre’, mi pare importante notare che in molte storie
tradizionali sul succiacapre si afferma che il suo succhiare il latte
provocherebbe anche la cecità degli
animali. Come mai? È coincidenza casuale
o se ne può dare una spiegazione valida.
Io non penso assolutamente che questa cecità sia dovuta alla
libera inventiva di chi ne ha parlato, o al fatto che l’uccello fosse realmente
cieco, benché di giorno se ne stesse
fermo per terra o su qualche ramo d’albero ben mimetizzato e come
addormentato. In genere quello che le
leggende raccontano ha una motivazione ben più concreta causata in questo caso
dal fatto che quello che a noi appare come un aggettivo, cioè cieco, in realtà era uno dei sostantivi o verbi (si
pensi ad un probabile *ceca-capre) usati,
in epoche magari precedenti, per indicare l’uccello, finito con l’essere
riferito, come aggettivo o come verbo, alle presunte e malefiche conseguenze,
sulle capre, del suo succhiare. Elenco
alcune voci regionali assonanti con it. cieco e sp. ciego
‘cieco’: la cecca o checca è un nome
regionale per gazza fatto derivare
dai linguisti dal nome personale Checca;
ma a me pare che esso sia apparentato con, ad esempio, l’ingl. chick,
chicken ‘uccellino, pulcino,
pollo, ragazza’; aggett. sp. chico ‘piccolo’, sost. sp. ‘ragazzo’, gr.kikk-όs ‘gallo’, gr. kíkk-a ‘gallina’, ingl cock ‘gallo’, gr. kokko-bόas. Quest’ultimo
composto non ha, secondo me, il valore di ‘che grida (da boá-ein ’gridare’) cucù’, come sostengono i linguisti (se così fosse
dovrebbe indicare piuttosto il cuculo),
ma deve essere la solita formazione tautologica per ‘gallo’. Il gr. boû-s, bo-όs vale comunque ‘bue’: un animale, dunque, e i
nominativi lat. bo-a, bov-a, boba, bo-as indicano il ‘serpente
boa’ e la ‘roseola’, eruzione cutanea.
Nel dialetto del mio paese di Aielli la gazza è chiamata cicia-ccòva, nome formato da due componenti tautologiche, La prima è cicia-, simile ai
suddetti cecca ‘gazza’ e ingl.chick
‘uccellino, ecc.’;La seconda –ccòva
corrisponde alla seconda dell’abr. ciaccia-cόlë, all’abr. cόlë[4] che i linguisti fanno presto a derivare dal
personale (Ni)cola, e alla seconda dell’avezzanese ciccia-còlla ‘gazza’[5]
dal gr. kol-oi-όs ‘gazza’. La componente –oi- credo corrisponda a
quella del gr. oi-ōn-όs ‘uccello,
uccello di rapina’, forse apparentata col lat. av-e(m) ‘uccello’ e lat. ov-e(m) ‘pecora’. Esiste anche l’abr. ceca-cech-éttë ‘pipistrello’[6]
con la radice raddoppiata e ceca-matté ‘pipistrello’ del dialetto di Collelongo nella Marsica. La componente –matté è forse da avvicinare al ted. Matz, nome di vari uccelli.
La
falsa credenza, soprattutto in passato, che i pipistrelli sono ciechi avrà senz’altro favorito la
persistenza dei nomi che li indicavano
mediante la componente cieco, ma non
bisogna affatto pensare che tali nomi siano nati direttamente da essa. Oggi si
sa che i pipistrelli non sono ciechi, hanno degli occhi piccoli ma abbastanza
efficienti da vicino, anche se si servono di una sorta di sonar per meglio
orientarsi nella notte. Naturalmente la
radice ceca- che inizialmente indicava
direttamente l’uccello, contribuì al nascere, svilupparsi e consolidarsi della
falsa credenza della sua cecità.
[1] Cfr.
sito web: https://books.google.it/books?id=T-BDAAAAcAAJ&pg=PA401&lpg=PA401&dq=gallina+ciega+beccaccia&source=bl&ots=jSNhq9mDiY&sig=ACfU3U0f8IS7Q1_f3KpTOTP_KmQzy8eyBg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiDv4bKsqftAhUNzaQKHfNCBMEQ6AEwDHoECAEQAg#v=onepage&q=gallina%20ciega%20beccaccia&f=false
[2] Cfr.
sito Web: https://www.intagri.com/articulos/fitosanidad/manejo-integrado-de-la-gallina-ciega
[3] Cfr. per
caglinella ‘lucciola’ l’articolo “Le
sviste di personalità eminenti” presente nel mio blog pietromaccallini.blogspot
.com (sett.2018)
[4] Cfr. D.
Bielli, Vocabolario abruzzese, A.
Polla edit., Cerchio-Aq. 2004.
[5] Cfr. Buzzelli-Pitoni, Vocabolario del dialetto avezzanese, 2002, (senza casa editrice).
[6] Cfr. D. Bielli, cit.
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