mercoledì 20 gennaio 2021

La formula omerica “parole volanti, alate”.

 

          

  

 

   Si sa che Omero, o chi per lui in tempi più antichi, usava un linguaggio formulare, che ripeteva spesso epiteti esornativi fissi, relativi ad un personaggio, ad un oggetto o alle stesse parole, indicate appunto come épea pteróentaparole(épea) alate’.  Ora, che io sappia, tutti i commentatori, antichi e moderni,  spiegano questa formula osservando che le parole sono paragonate dal poeta a frecce volanti, scoccate dalla bocca di chi parla.  A parte la considerazione che non sempre le parole escono dalla bocca con la stessa veemenza di una freccia scoccata dall’arco e che Omero usando quest’epiteto non lo riferisce a questo tipo di parole, credo, ma soprattutto alle parole in genere,  mi pare opportuno fare la seguente osservazione: le parole sono composte di suoni uscenti dalla bocca e diretti a qualcuno, esse sono semplicemente  suoni la cui natura è quella di espandersi e fluire nell'aria, non importa se in modo pacato o violento.  Non per nulla il lat. son-u(m) ’suono’ significa anche ‘parola’ come il gr. phō-n- ‘suono, voce, parola, espressione, lingua’ apparentato con gr. phá-sthai  ‘dire, parlare’, gr. phmē (dor. pháma) ‘voce, parola, fama’, lat. fam-a(m) ‘fama, voce, notizia, diceria’. C’è da notare en passant che questa radice indicante il ‘suono’ combaciava con quella di gr. phaín-ein ‘portare alla luce, mostrare, rendere noto, annunziare’ ma anche, intransitivamente ‘ apparire, brillare, splendere’. Esisteva anche una forma secondaria phá-ein ‘splendere’. Io sono dell’avviso che il significato di ‘rendere noto, annunziare’ richiami quello di ‘suono’ della radice suddetta di phá-sthai ‘dire, parlare’, la quale poteva prestarsi però anche ad indicare la ‘luce’, in quanto emanzazione (di fotoni, diremmo oggi) uguale all’emanazione del suono di cui ho parlato prima. Infatti Omero (Od. 8,499), parlando del cantore Demodoco nella reggia di Alcinoo, usa l’espressione phaîne d’aoidn che letteralmente varrebbe ‘fece vedere, mostrò il suo canto’ ma che logicamente vale ‘espresse, spiegò, intonò,  fece risonare il suo canto, in quanto bisogna dare al verbo un significato sonoro, non visivo.    

   Inoltre la radice di gr. pter-ón ‘penna, piuma, ala, freccia, ecc.’ è la stessa, ridotta, di gr. pét-esthai ‘volare, sfuggire, cadere’, gr. pí-pt-ein ‘cadere’, pot-am-ós ‘fiume, corrente’, lat. pet-ĕre che ha sia un significato per così dire normale di ‘andare, dirigersi, rivolgersi, chiedere’ sia uno violento di ‘assalire, aggredire’. In verità il valore originario doveva essere quello del semplice  ’movimento’ senza specificazioni, come avviene, secondo me, anche nelle parole greche citate. 

   Ora, senza andare troppo per le lunghe, tornando alle omeriche épea pter-óenta parole volanti’ credo che bisogna intendere quel pter-óenta come aggettivo riferito, all’origine, proprio e solo alle parole stesse, di cui indica la natura profonda di emanazione, espansione: la parola, insomma è un suono che si espande, si diffonde, significati ben esprimibili dalla radice suddetta pet- per ‘movimento’.  Omero, o i cantori a lui precedenti vissuti nella preistoria, non avevano voluto istituire insomma un paragone, che poi è parso facile e, direi, obbligato nello stadio successivo della lingua, tra le parole e le frecce volanti  ma solo definire le parole stesse.  Un’altra possibilità, forse quella vera, è che il termine pter-óenta significasse proprio ‘parole’, in qualche dialetto del passato, e fosse unito tautologicamente alla parola precedente (come, ad esempio, nell’it. gira-volta) finito poi come forma aggettivale aggiunta per ornamento ad épea ‘parole’.  A me non pare troppo casuale, infatti, la somiglianza della radice pet, pt con quella aspirata di gr. phth-éng-esthai ‘risuonare, parlare’, gr. phth-óng-os ‘suono’. E non è da sottovalutare la radice dell’importante dio egizio Ptah o Peteh, gr. Phthá, protettore degli artigiani ed artisti, creatore di tutte le cose del mondo: gli bastò pronunciare il nome delle cose perché esse acquisissero forma e vita.  Ci dovrà essere stato, quindi, l’incrocio della radice del nome di questa divinità che è quella del verbo pth ’plasmare, formare, creare’ con qualche altro termine per ‘lingua, parola’ corrispondente alla suddetta radice greca phth- il cui etimo è molto incerto.

  

 

 





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