Mi pare molto chiara la derivazione del sostantivo aiellese acréjjë ‘pungiglione’ dalla radice ak,
ampliata in –r-, del lat. ac-er, acr-is, acr-e ‘acuto, penetrante, fiero, violento’,
lat. ac-u(m) ‘ago’, lat. ac-i-e(m) ‘punta, filo tagliente di spada, linea di soldati schierati
in battaglia, battaglia, ecc.’, aggett. lat. ac-id-u(m) ‘acido, pungente’, lat. ac-et-u(m) ‘aceto’, ecc. E’ una radice molto produttiva e diffusa in ambito
indoeuropeo. La voce aiellese è l’esito
finale di un originario *acr-éll-, oppure *acr-íll- con un suffisso, appunto, abbastanza diffuso anche in latino,
in genere con valore diminutivo. Nel dialetto di Trasacco-Aq si ha ach-ìjjë ‘pungiglione’, termine in cui il
suffisso –ill- è stato aggiunto direttamente alla radice ak.
L’espressione na cria non è propria di Aielli, dove si ha na
ponta ‘un pochino’, letteralmente ‘una punta’, ma è presente in altri
paesi nella Marsica. A me pare possibile
che essa sia l’esito di un originario *una
acr-il(l)a, una ‘piccola punta o
puntino’, divenuta normalmente prima un’acr-ìja e poi —forse per influsso
del regionale cria ‘ultimo nato di una nidiata’, spagn. cria (masch. crio)‘allevamento, bambina, cucciolo, piccolo’— una cria > na cria, con
la deglutinazione della –a- iniziale di *a-crìa la quale si confondeva con la –a- finale
dell’indeterminativo femminile una che nei nostri dialetti, per
aferesi dell’iniziale –u-, diventa
normalmente na. In Oppiano,
inoltre, si incontra un vocabolo neutro plurale ákria equivalente al
femminile sing. gr. ákra ‘punta, cima, promontorio,
ecc.’. Ora, in latino il neutro plurale talora si è confuso per analogia con il
singolare femminile, dando, ad esempio, in italiano il singolare foglia dal neutro plurale latino folia ‘le foglie’.
Ma, nel
vocabolario Treccani in rete, dopo l’indicazione del significato suddetto del
regionale cria se ne dà un altro
figurato, nell’espressione non avere la cria di una cosa col valore di “non
averne affatto, nemmeno in piccolissima misura”. Questa cria
è fatta derivare dal verbo antiquato cri-are ‘creare’, cosa che potrebbe andare bene per il significato di
‘creatura, piccolo (di una covata)’ ma che mi risulta piuttosto ostica nel
significato di una piccolissima o
inesistente quantità di qualche cosa.
In effetti, in questo caso, a me pare più adeguata l’idea di una “punta”
o “puntino” di qualcosa, anche perché la definizione della parola regionale cria
indica chiaramente l’ultimo nato della nidiata: una precisazione non di poco
conto, se l’etimo fosse da ritenere, anche qui, rispondente a quello di it. cri-are ‘creare’, etimo che potrebbe avere solo il significato di
‘creatura’ e non di ‘ultimo’. Per di più si dà il caso che l’aggettivo gr. ákr-os significhi non solo ‘che sta in
punta, supremo’ ma anche ‘che sta in fine, ultimo’. Allora è più realistico, a
mio avviso, che ci sia stato il solito incrocio, per quanto riguarda cria, tra una nozione di “nascita” della
radice di cri-are, e un’altra
di ‘punta, quantità insignificante’ della radice ak-r di cui si è parlato più sopra.
Trovo nel Bielli[1]
la voce crìë ‘nulla’ usata come
avverbio. Il significato di ‘nulla,
niente’ sarà senz’altro scaturito dalla presenza della negazione it. non, dialettale nën, prima del verbo, come in una frase, ad esempio, di questo tipo: nën më piacë crìë ‘non mi piace punto, affatto, per niente’. Anche nel dialetto di Trasacco-Aq[2]
si incontra crìa con i due significati di ‘pochettino’ e ‘niente, nessuno’.
A
Trasacco-Aq esistono altre voci
appartenenti a questa prolifica radice; una
è àch-ëmë ‘frangizolle,
erpice’ la quale è, a mio avviso, pari pari il gr. ak-mḗ ‘apice, punta, filo, taglio’, termine atto ad indicare uno strumento fatto di punte
di ferro che tagliano e sbriciolano le zolle del campo. L’accento spostato dalla sillaba finale alla prima sillaba non fa nessuna
difficoltà perché esso potrebbe essere dovuto alla legge della penultima, come
in latino, anche se io preferisco pensare che sia dovuto al ben noto fenomeno dell’accentazione
della prima sillaba di una parola, fenomeno verificatosi nel latino arcaico,
per influsso, pare, partito proprio dalle lingue italiche osco-umbre nonché
dall’Etruria. E’ evidente che nella voce
trasaccana si è avuto anche l’inserimento di una –ë- indistinta tra la –k-
e la –m-, forse per renderla più rispondente ai nostri gusti, come
nel caso simile di chi pronuncia il termine psicologia di origine
greca, come se fosse scritto pisicologia: ma a mio parere non è
certo che il termine sia giunto bello e confezionato dalla lingua greca, bensì
da un poco identificabile dialetto italico che magari manteneva una forma
primitiva del termine, prima che intervenisse il greco ad innovare spostando
l’accento sull’ultima e facendo cadere qualche vocale esistente tra il -k-
e la –m-. Bisogna pertanto abbandonare
in molti casi la visione grecocentrica della diffusione linguistica.
Un’altra voce del dialetto di Trasacco proveniente dalla radice -ak- è a io avviso aclittë ‘orgasmo sessuale, desiderio
sessuale, culmine erotico’ che io suddividerei in ac-l-ìttë, e spiego perché. Il primo membro
costituisce la solita radice ak ‘punta, apice, colmo’: il secondo
membro –l- ha perduto in realtà la vocale iniziale –i- (oppure
–e-) che abbiamo incontrata nella voce trasaccana ach-ìjjë
‘pungiglione’ < ach-il(l); l’ultimo membro -ìttë
è un diminutivo come d’altronde lo era anche il precedente –il(l). C’ è da osservare, comunque, che questi a
noi sembrano diminutivi anche se all’origine forse non lo erano. Può succedere di tutto nel corso del tempo.
Nell’it. frat-ello, ad esempio, noi non avvertiamo più il diminutivo di uso
volgare del lat. fratr-e(m) ‘fratello’. Il diminutivo classico era
frater-cul-u(m) ‘fratellino’. Sicchè se si vuole essere pignoli e razionali
fino alla nausea, noi non dovremmo usare la forma frat-ell-ino composta da due diminutivi. Ma la lingua se ne impipa giustamente
della nostra razionalità in questi casi e tira avanti dritto.
Questa parola achijje < *achille mi offre la possibilità di fare
delle considerazioni interessanti che chiariscono il mio modo di intendere la
genesi dei miti: come ho detto
diverse altre volte, esso, in genere antichissimo, si nutre e cresce sugli incroci
a cui via via sono andati incontro le parole che lo costituiscono. Il trasaccano ach-ijjë ‘pungiglione’ è fatto apposta per assumere il valore di
‘freccia’, ad esempio, per cui sarebbe stato inevitabile che il nome del più
grande eroe greco, nella guerra di Troia, cioè Ach-ille, si incrociasse
con quell’eventuale termine omofono per
‘freccia’. In greco non è attestata una variante simile proveniente dalla
radice ak, se non si considera gr. ák-ōn ‘dardo, freccia’, ma non è detto che essa non abbia circolato
nel lunghissimo periodo della preistoria e anche della storia, senza che sia
arrivata agli onori dell’ufficialità. Ne
è in qualche modo una prova, a mio parere, proprio la leggenda riportata dal
poeta latino Papinio Stazio (I° sec. d.
C.), secondo cui Achille morì per una freccia
lanciata da Paride che colpì il suo tallone destro, l’unico punto vulnerabile dell’eroe. Ma non è tutto. Sempre secondo il mio modo di
vedere il mito, si parla del tallone
di Achille, perché esso non è altro che una sorta di rigonfiamento, una protuberanza:
questo concetto più generale è secondo me alla base anche di quello di “punta,
apice, aculeo”. Una protuberanza porta al
concetto di “monte, sommità, prominenza, sporgenza” ma anche a quello di
“punta, pungiglione, asta, freccia, ecc.’
Questa è la ragione per cui nasce e si sviluppa il mito del tallone di Achille colpito da una freccia. E quasi sicuramente non è nemmeno un caso che
la tomba di Achille si trovasse, secondo la leggenda, nei pressi del promontorio
Sigeo sulla punta nord-ovest dell’Asia minore.
Nelle vicinanze, l’idea di “promontorio” riappare nell’Akhill-ḗios drόmos ‘pista, ippodromo di
Achille’, dove esisteva veramente una racecourse,
ma inizialmente il toponimo poteva senz’altro riferirsi alla suddetta lingua di
terra, nei pressi della foce del fiume Boristene, nel Mar Nero.
Last but not least anche l’espressione
italiana tendine d’Achille deve essere intesa non come facente riferimento
al “tallone di Achille” ma semplicemente al tallone:
il detto tendine collega infatti i muscoli del polpaccio al tallone permettendo la flessione della
gamba e del piede per un’equilibrata locomozione dell’essere umano.
Il
significato geografico di ‘punta, promontorio’ è confermato a mio avviso dal toponimo irlandese Achill Head ‘Capo Achill’ nel nord dell’Irlanda e, perdonatemi la macabra immagine,
dalla testa di Cicno, alleato dei Troiani, tagliata da Achille e orribilmente infilata,
secondo una versione del mito, sulla punta della sua lancia, ricevuta dal padre
Peleo, per mostrarla minacciosamente alle schiere nemiche. Ora, punta, testa (capo), lancia sono
tutti concetti estraibili dalla radice ach-ill contenuta, almeno apparentemente, nel nome Achille.
Il toponimo Achill è abbastanza
diffuso in quella parte d’Irlanda: esso indica anche l’isola dove è, appunto,
il Capo Achill. Un altro
minuscolo isolotto della zona porta il nome di Achill-beg (piccola Achill ): il che suggerisce che all’origine la
parola Achill doveva significare in questo caso ’isola’ e Achill-beg semplicemente ‘isoletta, isolotto’ (l’isola, agli occhi dell’uomo primitivo
non è altro che una protuberanza, un’altura più o meno elevata sul piano del
mare, contrariamente a quello che ne possano pensare gli etimologi). Achill è, ancora, un nome aggiuntivo della penisoletta
di Corraun
situata nella parte, diciamo così, continentale dell’Irlanda, collegata da un
ponte girevole con la sponda opposta nell’isola Achill. Gli abitanti di quest’isola Achill chiamano infatti Achill
la penisoletta e gli stessi suoi abitanti vengono chiamati Achill people ‘gente, popolo di Achill’. La questione si spiega, secondo me, con la
considerazione che il concetto di “isola” e quello di “penisola, capo,
promontorio” coincidevano nella mente dell’uomo delle origini, come ho mostrato
in altro articolo scritto anni fa. E poi mi sembra chiaro che gli strati
linguistici che si sono succeduti in questa parte estrema dell’Irlanda sono
stati piuttosto pochi. In gaelico
irlandese il toponimo suona Acaill oppure Oileàn (isola) Acla: la struttura consonantica del
vocabolo resta, comunque, invariata. In Italia questa radice credo sia stata in
gran parte assorbita da un’altra, riferita in genere ad alture, che vanno sotto
il nome di Agello, Aielli, ecc.
apparentemente dal lat. agell-u(m) ‘campicello’. Per l’etimo di Aielli, il mio paese, si legga
il sostanzioso articolo Il nome del paese
di Aielli […] presente nel mio blog (2 agosto 2010).
Da
non dimenticare lo scoglio di Achille nell’isola greca di Leucade
nel mar Ionio e probabilmente altrove in Grecia.
[1] Cfr. D.
Bielli, Vocabolario abruzzese, A.Polla
Editore, Cerchio-Aq, 2004.
[2] Cfr. Q.
Lucarelli, Biabbà A-E, Grafiche Di
Censo, Avezzano-Aq, 2002.
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