martedì 14 gennaio 2020

L'aiellese acréjje 'pungiglione' e il marsicano na cria 'un pochino'.


    

    Mi pare molto chiara la derivazione del sostantivo aiellese acréjjë ‘pungiglione’ dalla radice ak, ampliata in –r-,  del lat. ac-er, acr-is, acr-e ‘acuto, penetrante, fiero, violento’, lat. ac-u(m) ‘ago’, lat. ac-i-e(m) ‘punta, filo tagliente di spada, linea di soldati schierati in battaglia, battaglia, ecc.’, aggett. lat. ac-id-u(m) ‘acido, pungente’, lat. ac-et-u(m) ‘aceto’, ecc. E’ una radice molto produttiva e diffusa in ambito indoeuropeo.   La voce aiellese è l’esito finale di un originario *acr-éll-, oppure *acr-íll- con un suffisso, appunto, abbastanza diffuso anche in latino, in genere con valore diminutivo. Nel dialetto di Trasacco-Aq si ha ach-ìjjë ‘pungiglione’, termine in cui il suffisso –ill- è stato aggiunto direttamente alla radice ak.

   L’espressione na cria  non è propria di Aielli, dove si ha na ponta ‘un pochino’, letteralmente ‘una punta’, ma è presente in altri paesi nella Marsica.  A me pare possibile che essa sia l’esito di un originario *una acr-il(l)a, una ‘piccola punta o puntino’, divenuta normalmente prima un’acr-ìja e poi —forse per influsso del regionale cria ‘ultimo nato di una nidiata’, spagn. cria (masch. crio)allevamento, bambina, cucciolo, piccolo’—  una cria > na cria, con la deglutinazione della –a- iniziale di *a-crìa la quale si confondeva con la –a- finale dell’indeterminativo femminile una che nei nostri dialetti, per aferesi dell’iniziale –u-, diventa normalmente na.  In Oppiano, inoltre, si incontra un vocabolo neutro plurale ákria equivalente al femminile sing. gr. ákra ‘punta, cima, promontorio, ecc.’. Ora, in latino il neutro plurale talora si è confuso per analogia con il singolare femminile, dando, ad esempio, in italiano il singolare foglia dal neutro plurale latino folia ‘le foglie’.

   Ma, nel vocabolario Treccani in rete, dopo l’indicazione del significato suddetto del regionale  cria se ne dà un altro figurato, nell’espressione non avere la cria di una cosa col valore di “non averne affatto, nemmeno in piccolissima misura”.  Questa cria è fatta derivare dal verbo antiquato cri-are ‘creare’, cosa che potrebbe andare bene per il significato di ‘creatura, piccolo (di una covata)’ ma che mi risulta piuttosto ostica nel significato di una piccolissima o inesistente quantità di qualche cosa.  In effetti, in questo caso, a me pare più adeguata l’idea di una “punta” o “puntino” di qualcosa, anche perché la definizione della parola regionale cria indica chiaramente l’ultimo nato della nidiata: una precisazione non di poco conto, se l’etimo fosse da ritenere, anche qui, rispondente a quello di  it. cri-are ‘creare’, etimo che potrebbe avere solo il significato di ‘creatura’ e non di ‘ultimo’. Per di più si dà il caso che l’aggettivo gr. ákr-os significhi non solo ‘che sta in punta, supremo’ ma anche ‘che sta in fine, ultimo’. Allora è più realistico, a mio avviso, che ci sia stato il solito incrocio, per quanto riguarda cria, tra una nozione di “nascita” della radice di cri-are, e un’altra di ‘punta, quantità insignificante’ della radice ak-r di cui si è parlato più sopra.

  Trovo nel Bielli[1] la voce  crìë ‘nulla’ usata come avverbio.  Il significato di ‘nulla, niente’ sarà senz’altro scaturito dalla presenza della negazione it. non, dialettale nën, prima del verbo, come in una frase, ad esempio,  di questo tipo: nën më piacë crìë ‘non mi piace punto, affatto, per niente’.  Anche nel dialetto di Trasacco-Aq[2] si incontra crìa con i due significati di ‘pochettino’ e ‘niente, nessuno’.

    A Trasacco-Aq esistono altre  voci appartenenti a questa prolifica radice; una  è àch-ëmë ‘frangizolle, erpice’ la quale è, a mio avviso, pari pari il gr. ak-mḗ ‘apice, punta, filo, taglio’, termine  atto ad indicare uno strumento fatto di punte di ferro che tagliano e sbriciolano le zolle del campo.  L’accento spostato dalla sillaba  finale alla prima sillaba non fa nessuna difficoltà perché esso potrebbe essere dovuto alla legge della penultima, come in latino, anche se io preferisco pensare che sia dovuto al ben noto fenomeno dell’accentazione della prima sillaba di una parola, fenomeno verificatosi nel latino arcaico, per influsso, pare, partito proprio dalle lingue italiche osco-umbre nonché dall’Etruria.  E’ evidente che nella voce trasaccana si è avuto anche l’inserimento di una –ë- indistinta tra la –k- e la –m-, forse per renderla più rispondente ai nostri gusti, come nel caso simile di chi pronuncia il termine psicologia di origine greca, come se fosse scritto pisicologia: ma a mio parere non è certo che il termine sia giunto bello e confezionato dalla lingua greca, bensì da un poco identificabile dialetto italico che magari manteneva una forma primitiva del termine, prima che intervenisse il greco ad innovare spostando l’accento sull’ultima e facendo cadere qualche vocale esistente tra il -k-  e la –m-.  Bisogna pertanto abbandonare in molti casi la visione grecocentrica della diffusione linguistica.

   Un’altra voce del dialetto di Trasacco proveniente dalla radice -ak- è a io avviso aclittë  ‘orgasmo sessuale, desiderio sessuale, culmine erotico’ che io suddividerei in ac-l-ìttë, e spiego perché. Il primo membro costituisce la solita radice ak ‘punta, apice, colmo’: il secondo membro –l- ha perduto in realtà la vocale iniziale –i-  (oppure  –e-) che abbiamo incontrata nella voce trasaccana ach-ìjjë ‘pungiglione’ < ach-il(l); l’ultimo membro -ìttë è un diminutivo come d’altronde lo era anche il precedente –il(l)C’ è da osservare, comunque, che questi a noi sembrano diminutivi anche se all’origine forse non lo erano.  Può succedere di tutto nel corso del tempo. Nell’it. frat-ello, ad esempio, noi non avvertiamo più il diminutivo di uso volgare del lat. fratr-e(m) ‘fratello’. Il diminutivo classico era frater-cul-u(m) ‘fratellino’.  Sicchè se si vuole essere pignoli e razionali fino alla nausea, noi non dovremmo usare la forma frat-ell-ino composta da due diminutivi. Ma la lingua se ne impipa giustamente della nostra razionalità in questi casi  e tira avanti dritto. 

   Questa parola achijje < *achille mi offre la possibilità di fare delle considerazioni interessanti che chiariscono il mio modo di intendere la genesi dei miti: come ho detto diverse altre volte, esso, in genere antichissimo, si nutre e cresce sugli incroci a cui via via sono andati incontro le parole che lo costituiscono.  Il trasaccano ach-ijjë ‘pungiglione’ è fatto apposta per assumere il valore di ‘freccia’, ad esempio, per cui sarebbe stato inevitabile che il nome del più grande eroe greco, nella guerra di Troia, cioè Ach-ille, si incrociasse con quell’eventuale  termine omofono per ‘freccia’. In greco non è attestata una variante simile proveniente dalla radice ak, se non si considera gr. ák-ōn ‘dardo, freccia’, ma non è detto che essa non abbia circolato nel lunghissimo periodo della preistoria e anche della storia, senza che sia arrivata agli onori dell’ufficialità.  Ne è in qualche modo una prova, a mio parere, proprio la leggenda riportata dal poeta latino Papinio  Stazio (I° sec. d. C.), secondo cui Achille morì per una freccia lanciata da Paride che colpì il suo tallone destro, l’unico punto  vulnerabile dell’eroe.  Ma non è tutto. Sempre secondo il mio modo di vedere il mito, si parla del tallone di Achille, perché esso non è altro che una sorta di rigonfiamento, una protuberanza: questo concetto più generale è secondo me alla base anche di quello di “punta, apice, aculeo”.  Una protuberanza porta al concetto di “monte, sommità, prominenza, sporgenza” ma anche a quello di “punta, pungiglione, asta, freccia, ecc.’  Questa è la ragione per cui nasce e si sviluppa il mito del tallone di Achille colpito da una freccia.  E quasi sicuramente non è nemmeno un caso che la tomba di Achille si trovasse, secondo la leggenda, nei pressi del promontorio Sigeo sulla punta nord-ovest dell’Asia minore.  Nelle vicinanze, l’idea di “promontorio” riappare nell’Akhill-ḗios drόmos ‘pista, ippodromo di Achille’, dove esisteva veramente una racecourse, ma inizialmente il toponimo poteva senz’altro riferirsi alla suddetta lingua di terra, nei pressi della foce del fiume Boristene, nel Mar Nero.

   Last but not least anche l’espressione italiana tendine d’Achille deve essere intesa non come facente riferimento al “tallone di Achille” ma semplicemente al tallone: il detto tendine collega infatti i muscoli del polpaccio al tallone permettendo la flessione della gamba e del piede per un’equilibrata locomozione dell’essere umano.

   Il significato geografico di ‘punta, promontorio’ è confermato a mio avviso  dal toponimo irlandese Achill Head ‘Capo Achill’ nel nord dell’Irlanda e, perdonatemi la macabra immagine, dalla testa di Cicno, alleato dei Troiani,  tagliata da Achille e orribilmente infilata, secondo una versione del mito, sulla punta della sua lancia, ricevuta dal padre Peleo, per mostrarla minacciosamente alle schiere nemiche. Ora, punta, testa (capo), lancia sono tutti concetti estraibili dalla radice ach-ill contenuta, almeno apparentemente, nel nome Achille.  Il toponimo Achill è abbastanza diffuso in quella parte d’Irlanda: esso indica anche l’isola dove è, appunto, il Capo Achill. Un altro minuscolo isolotto della zona porta il nome di Achill-beg (piccola Achill ): il che suggerisce che all’origine la parola Achill doveva significare in questo caso ’isola’ e Achill-beg semplicemente ‘isoletta, isolotto’ (l’isola, agli occhi dell’uomo primitivo non è altro che una protuberanza, un’altura più o meno elevata sul piano del mare, contrariamente a quello che ne possano pensare gli etimologi).  Achill  è, ancora, un nome aggiuntivo della penisoletta di Corraun situata nella parte, diciamo così, continentale dell’Irlanda, collegata da un ponte girevole con la sponda opposta nell’isola Achill. Gli abitanti di quest’isola Achill chiamano infatti Achill la penisoletta e gli stessi suoi abitanti vengono chiamati Achill people ‘gente, popolo di Achill’.  La questione si spiega, secondo me, con la considerazione che il concetto di “isola” e quello di “penisola, capo, promontorio” coincidevano nella mente dell’uomo delle origini, come ho mostrato in altro articolo scritto anni fa. E poi mi sembra chiaro che gli strati linguistici che si sono succeduti in questa parte estrema dell’Irlanda sono stati piuttosto pochi.  In gaelico irlandese il toponimo suona Acaill oppure Oileàn (isola) Acla: la struttura consonantica del vocabolo resta, comunque, invariata. In Italia questa radice credo sia stata in gran parte assorbita da un’altra, riferita in genere ad alture, che vanno sotto il nome di Agello, Aielli, ecc.  apparentemente dal lat. agell-u(m) ‘campicello’. Per l’etimo di Aielli, il mio paese, si legga il sostanzioso articolo Il nome del paese di Aielli […] presente nel mio blog (2 agosto 2010).

    Da non dimenticare lo scoglio di Achille nell’isola greca di Leucade nel mar Ionio e probabilmente altrove in Grecia.

 

 

 



[1] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A.Polla Editore, Cerchio-Aq, 2004.

 

[2] Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà A-E, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq, 2002.

    


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