Leggo sul Vocabolario abruzzese del Bielli le seguenti voci: vër-lésë ‘guidalesco’, vërr-ésë ‘guidalesco’, vër-nόïsë ’guidalesco’ e vër-lëssà ‘scottare con acqua bollente, bruciare’. In italiano il
termine letterario guidalesco indica
una fiaccatura o una piaga causata dall’attrito dei finimenti sul corpo di
animali da soma. Naturalmente nella
forma vërr-ése si ha l’assimilazione
progressiva della –l- alla –r-.
Mi
pare che in queste voci si possa individuare una sillaba iniziale vër-
con lo stesso valore del lat. per ‘attraverso’ ma anche con un valore spesso negativo di ‘di
traverso, male’. Infatti vër-lésë può essere inteso come sostantivo composto della detta
preposizione ver/per e dal participio passato laes-u(m) ‘leso’ del verbo lat. laed-ĕre ‘danneggiare, ledere, ferire’.
Qualcuno potrebbe sostenere che in latino non esiste un verbo composto *per-laed-ĕre ma vedremo subito che questo fatto
non è determinante e che esso, anzi, è indice di qualcos’altro
interessante. La voce vër-nόïsë ‘guidalesco’ è secondo me
composto sempre dalla stessa preposizione ver/per e dalla radice del verbo lat. noc-ēre ‘nuocere, danneggiare’. Ora, in latino ugualmente non si ha una forma
*per-noc-ēre ma si dà il caso che essa si
riscontri nel dialetto di Trasacco-Aq
dove si incontra për-nòcë ‘nuocere’. Questo
fatto dimostra, a mio parere, che esisteva un latino diverso da quello di Roma
non solo nelle diverse località del Lazio ma anche altrove, come sostiene Mario
Alinei, illustre linguista ora scomparso.
Il Latino chiaramente non può essere stato catapultato nel Lazio da
regioni celesti: esso deve aver attraversato in qualche modo la penisola.
Per
la voce vër-lëssà ‘scottare
con acqua bollente, bruciare’ si ha, in Apicio (IV sec. d. C.), una molto
simile corrispondenza: per-elix-are ‘far bollire a lungo, bene’. Ma esiste nel Bielli anche la voce për-lëssà ‘scottare con acqua bollente le carni vive’, esatta
corrispondenza di quella latina.
La
seconda componente del citato vër-nόïsë
ha subito il fenomeno chiamato frangimento vocalico, molto diffuso e variegato
nell’abruzzese del Chietino e del Pescarese, la cui forza espansiva si è fatta
sentire fino ad alcuni dialetti di qualche paese della Marsica orientale, come Ortona dei Marsi, nome che arcaicamente veniva
pronunciato Ortàuna.
Se in
latino non esiste un *per-noc-ēre esiste però per-nici-e(m)
‘rovina, peste, flagello’ ricollegato
alla radice di lat. nex, nec-is ‘uccisione’, oltre che al lat. noc-ēre ‘nuocere, danneggiare’. Pertanto da un precedente per-nici-e(m)
si poteva passare all’abruzz. ver-nόïsë con lo stesso frangimento
della vocale –i- trsformata in –oi- come avviene per il termine lat.
fil-u(m) ‘filo’ diventato fòilë
in alcuni dialetti abruzzesi. La pronuncia sibilante di quella
che doveva essere la sillaba finale della componente -*nόïcë, diventata così nόïsë, mi pare di sapore celtico. Resta il
problema, in queste voci abruzzesi, della presenza del prefisso ver- che dovrebbe corrispondere al
lat. per. Probabilmente si tratta solo di una variante prelatina
dell’altra o di un fenomeno di sonorizzazione della sorda –p- (divenuta prima –b- e poi passata a fricativa sonora –v-
come succede spesso) che comunque segnava una differenza fra il latino di Roma e
un latino ad esso precedente.
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