Ad Antrosano-Aq la lucciola è chiamata luci-penta mentre a
Sant’Elpidio-Ri, non lontano dalla Marsica, essa porta il nome di cuccia-penta. A San Pelino-Aq è chiamata luci-vennola
il cui secondo membro discende chiaramente da un precedente vent-ola, vend-ola
variante di –penta.
Io suppongo che questi nomi abbiano molto in comune col
celtico vindo ‘bianco, bello, biondo, sacro’, col dio Vintius
Pollux venerato nelle regioni ad ovest del fiume Loira
in Francia, e con Bendis, dea lunare traco-frigia.
Ad Ovindoli-Aq si ha il nome marìa per la lucciola, la quale
rimanda alla grande dea della luna chiamata in Asia Minore Ay-Mari (cfr. turco ay 'luna'), Mari-an, Mari-anne, Mari-enne, Mir-ina,
nonché al primo membro di ted. Marien-glas ‘mica’, minerale lucente. La radice è presente nel celtico,
germanico, greco e latino mer-u(m) ‘mero, puro, schietto’.
In greco si ha il verbo mar-maír-ein ‘brillare, splendere’ con radice
raddoppiata.
Ora, tutte queste connessioni e
sovrapposizioni che a non pochi sembreranno forse improbabili, imprecise,
varroniane, credo che abbiano, invece, al di là di ogni formalismo teorico, una
tale forza di concretezza e verità che con può essere passata sotto
silenzio. Le parole usate dagli uomini
sono, a mio avviso, come particelle pulviscolari di una nube gigantesca, le
quali continuamente si agitano, trasaliscono e trascolorano a seconda dei
sistemi linguistici entro cui vengono a trovarsi fin dai tempi più remoti,
perdendo il contatto con le molte particelle-sosia finite all’interno di altre
lingue: non se ne può capire la natura e il significato profondo fermandole e
ritagliando per esse dei significati, per quanto ampi, sempre più o meno
specifici e limitati a questa o quella lingua, a questo o quello strato. Il
significato di fondo è, secondo me, uguale per tutte; di conseguenza, anche il
loro aspetto formale (il significante) per il quale spesso si incrociano le
spade dei linguisti, perde molto della sua importanza perché, detto con tutta
semplicità, l’uno vale l’altro, l’uno è variante dell’altro. Se non si capisce, per esempio, che il gr. astr-agal-ȋnos ‘cardellino’ (ma non perché
l’uccello abbia gli stessi colori della pianta corrispondente) è la stessa
cosa, con i primi due membri invertiti, di ant. tedesco agal-astra ‘uccello
crocidante’ (incrociatosi con la radice gall ‘suono’) non si faranno, a mio
avviso, grandi passi in avanti in linguistica.
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