A Marcellina-Rm il nome della lucciola è luccica-penna: ricompare l’elemento –penna adombrato già nelle voci per la lucciola -penta, venn-ola dell’articolo
precedente, ma non solo: una filastrocca di Cerchio-Aq recita Lucë-capp-èlla, penna
penna/mittë le salë alla jummèlla (trad. ‘Lucciola, penna penna/metti il sale nella
giumella’). A Subiaco-Rm si ha lucc-ica
‘lucciola’, a Rocca di Botte-Aq compare lucc-ic-arèlla ‘lucciola’. Più che
derivati diretti dal verbo lucc-ic-are considero queste voci,
compreso il verbo lucc-ic-are,
ampliamenti tautologici della base luc-‘luce’: il secondo membro –ic-
dovrebbe avere qualche rapporto con lat. ig-n-e(m) ‘fuoco’; il membro –ar-èlla
comprene due radici che abbiamo già inteso come ‘luce, fuoco, ecc.’: basta
ricordare lat. ar-a(m) ‘altare (per
i sacrifici)’.
Interessantissime sono le filastrocche per la lucciola. Una nota a tutti (credo) recita al primo
verso lucciola, lucciola, vien da me: mi sembra molto probabile che l’espressione vien
da sia frutto di una rietimologizzazione di un precedente venda,
uno dei tanti nomi della lucciola, come abbiamo visto.
A Celano-Aq la filastrocca per la
lucciola inizia con Luce-cappèllë, bèllë bèllë,/ mittë la sèllë alla cavallë (trad. ‘lucciola, bella bella/metti la sella alla cavalla’) . Ora,
bell-ina è altro nome per la lucciola, nome che è in
rapporto con la festa di Bel-taine, cioè del dio celtico Bel o Bel-enos, la cui radice vale ‘brillare’, cfr. serbo-croato bijel
‘bianco’. Abbiamo visto che altri nomi
per la lucciola sono car-ina e picc-ol-ina, nomi che ricorrono in varianti della filastrocca. In questo contesto, la voce sèllë non può essere a mio avviso che la
radice del gr. sél-as ‘splendore,
raggio, lampo, scintille’, gr. sel-ḗne ‘luna’. La stessa voce compare come sale nella filastrocca di Cerchio, più sopra citata. La cav-àllë presenta un primo membro simile a
quello di gr. kap-nόs ‘fumo’,
radice kaw- di gr. kái-ein ‘bruciare, ardere’. Esisteva in Siria il dio del sole Gabal di cui ho parlato in riferimento alla voce
dialettale marsicana cavajjë ‘cavallo’ che ad Avezzano
indicava il covone posto in cima ad un mucchio di covoni, e con le spighe
rivolte ad oriente. Si prega vivamente
di leggere il mio articolo intitolato Il
“covone” ed altro tra linguistica ed antropologia, presente nel mio blog (2
luglio 2017). L’articolo, più comodamente, appare anche
in internet.
La
filastrocca di Celano termina con la
cavalla degi re,/lucecappellë vittënë a mmì. Il re,
insieme alla regina, compare in altre
filastrocche per le lucciole. Credo che
la radice latina reg-e(m) ‘re’ si sia sovrapposta quella precedente che doveva essere quella
del ted. rege ‘vivace, vivido, sveglio’ e quindi, in questo caso, luminoso. Anche in vittënë bisogna scorgere l’it. viente-ne, o vien da (me) di altre filastrocche, forme che
rimandano a vent-ola, vend-ola come
detto più sopra.
Concludendo, affermo che queste filastrocche che presentano diverse
varianti di paese in paese assomigliano molto all’antica poesia cosiddetta
catalogica che si basava sull’elencazione di cose come, ad esempio, il famoso catalogo
delle navi nell’Iliade. Le società
primitive, mancando di scrittura, si servivano di elencazioni come quelle che
si vedono in trasparenza (almeno credo) nelle suddette filastrocche che avevano
la funzione di archiviare e trasmettere di generazione in generazione la
conoscenza del passato. Naturalmente, molte erano le variazioni che avvenivano
strada facendo, a contatto con lingue e parole diverse per il significato da
quelle originarie.
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