martedì 24 dicembre 2019

Ambiguità di una espressione dialettale.




   Credo che in quasi tutti i dialetti abruzzesi ricorra l’espressione (chë) scì mbìsë!  la quale viene solitamente spiegata come che tu sia impiccato! Ma siccome l’espressione è usata in tono bonario e scherzoso (come tutti sottolineano nelle loro spiegazioni), ed è rivolta solitamente a qualche  ragazzo, essa ha  bisogno, a mio avviso, di ulteriori indagini.  Ma perché mai, in effetti, dall’idea forte di impiccare si passa ad indicare un qualcosa di molto meno grave? Non mi pare che la frase possa avere un valore antifrastico e significare che tu non sia impiccato! Perché semplicemente non avrebbe senso. 

   Esiste anche l’espressione chë sci mbìsë chi t’à fattë! intesa come che sia impiccato chi t’ha fatto!  Sembra un voler far ricadere la colpa di un comportamento di un ragazzo maleducato sui suoi genitori! Ma anche qui mi pare eccessiva l’impiccagione richiesta.  Io suppongo, tagliando la testa al toro,  che quel mbìsë  non sia il participio passato del verbo mbènnë, mpènne ‘appendere’, in uso anche a Trasacco-Aq[1], dal lat. im-pend-ēre ‘appendere’,ma sia la forma dialettale abruzzese dell’aggettivo  lat. in-vis-u(m) ‘inviso, odiato, odioso, sgradito’, coincidente col participio passato di lat. in-vid- ēre  ‘invidiare, essere mal disposto (verso qualcuno)’.  Nel vocabolario del Bielli l’aggettivo-participio mpisë significa infatti, oltre ad ‘impiccato’ anche ‘malizioso, briccone, impertinente’. In dialetto il nesso consonantico –nv- si trasforma in –mm- per cui da lat. invidi-a(m) si passa a mmìdia e quindi da invis-u(m) si dovette avere *mmisë e poi mb-isë per influsso di mpìsë, mbìsë ‘appeso’ dal verbo im-pend-ēre ‘appendere’. 

   Secondo me, allora, il significato di (chë) scì mbìsë  chi t’à fattë doveva significare all’origine ‘che sia odiato, maledetto chi t’ha fatto’ e successivamente, usandosi essa in modo incompleto nei riguardi di un ragazzo,  il participio mbìsë  si caricò di un valore negativo riferito al ragazzo, tanto è vero che nel Bielli il termine in questione ha anche il significato, come ho detto sopra, di ‘malizioso, briccone, impertinente’.  In diversi dialetti scì è anche la seconda pers. dell’indicativo presente tu sei,  sicchè l’espressione poteva anche significare semplicemente ‘tu sei impertinente, briccone, maleducato’ . Una volta scomparso dal vocabolario dialettale il lat. invis-u(m) ‘odiato, odioso, (maledetto)’ era fatale che la forma dialettale corrispondente cadesse in braccio a mbìsë ‘appeso’.  Destino di un termine!
     
      Ambiguità di una espressione dialettale.

 

   Credo che in quasi tutti i dialetti abruzzesi ricorra l’espressione (chë) scì mbìsë!  la quale viene solitamente spiegata come che tu sia impiccato! Ma siccome l’espressione è usata in tono bonario e scherzoso (come tutti sottolineano nelle loro spiegazioni), ed è rivolta solitamente a qualche  ragazzo, essa ha  bisogno, a mio avviso, di ulteriori indagini.  Ma perché mai, in effetti, dall’idea forte di impiccare si passa ad indicare un qualcosa di molto meno grave? Non mi pare che la frase possa avere un valore antifrastico e significare che tu non sia impiccato! Perché semplicemente non avrebbe senso. 

   Esiste anche l’espressione chë sci mbìsë chi t’à fattë! intesa come che sia impiccato chi t’ha fatto!  Sembra un voler far ricadere la colpa di un comportamento di un ragazzo maleducato sui suoi genitori! Ma anche qui mi pare eccessiva l’impiccagione richiesta.  Io suppongo, tagliando la testa al toro,  che quel mbìsë  non sia il participio passato del verbo mbènnë, mpènne ‘appendere’, in uso anche a Trasacco-Aq[1], dal lat. im-pend-ēre ‘appendere’, ma sia la forma dialettale abruzzese dell’aggettivo  lat. in-vis-u(m) ‘inviso, odiato, odioso, sgradito’, coincidente col participio passato di lat. in-vid- ēre  ‘invidiare, essere mal disposto (verso qualcuno)’.  Nel vocabolario del Bielli l’aggettivo-participio mpisë significa infatti, oltre ad ‘impiccato’ anche ‘malizioso, briccone, impertinente’. In dialetto il nesso consonantico –nv- si trasforma in –mm- per cui da lat. invidi-a(m) si passa a mmìdia e quindi da invis-u(m) si dovette avere *mmisë e poi mb-isë per influsso di mpìsë, mbìsë ‘appeso’ dal verbo im-pend-ēre ‘appendere’. 

   Secondo me, allora, il significato di (chë) scì mbìsë  chi t’à fattë doveva significare all’origine ‘che sia odiato, maledetto chi t’ha fatto’ e successivamente, usandosi essa in modo incompleto nei riguardi di un ragazzo,  il participio mbìsë  si caricò di un valore negativo riferito al ragazzo, tanto è vero che nel Bielli il termine in questione ha anche il significato, come ho detto sopra, di ‘malizioso, briccone, impertinente’.  In diversi dialetti scì è anche la seconda pers. dell’indicativo presente tu sei,  sicchè l’espressione poteva anche significare semplicemente ‘tu sei impertinente, briccone, maleducato’ . Una volta scomparso dal vocabolario dialettale il lat. invis-u(m) ‘odiato, odioso, malvisto,(maledetto)’ era fatale che la forma dialettale corrispondente cadesse in braccio a mbìsë ‘appeso’.  Destino di un termine!

    L’altra espressione indicante, come la precedente, un blando rimprovero verso un ragazzo è “chë scì mmallìttë!”, letteral. ‘che tu sia maledetto!’.



[1] Q.Lucarelli, Biabbà F-P,grafiche Di Censo, Avezzano-Aq, 2002. 



[1] Q.Lucarelli, Biabbà F-P,grafiche Di Censo, Avezzano-Aq, 2002.

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