sabato 21 dicembre 2019

Un’altra espressione aiellese-abruzzese da conservare come un cimelio: “të chënόscë pirë!”



     

    L’espressione è usata  (era usata) da parte di chi, di fronte a qualcuno che vuole sembrare diverso da come effettivamente è, esclama ,invece, di ‘conoscerlo bene’.   Ma la traduzione letterale dà lo strano ‘ti conosco pero!’.  Cosa c’entra il pero? Nulla, a mio avviso.  Infatti, dietro di esso, si deve nascondere il gr. perí ‘intorno’, gr.  péri, avverbio-preposizione, talora in anastrofe, anche col significato di molto, assai, grandemente, in sommo grado.  La radice è la stessa di quella del lat. per ‘attraverso’, usato talora in anastrofe come nel lat. parum-per  ‘per poco (tempo)’.  In latino la preposizione per, preposta all’aggettivo, ne  formava anche il superlativo in alternativa alla forma normale col suffisso issimus, a , um.  La forma per-ralt-us ‘altissimo, molto alto’, ad esempio, equivaleva ad alt-issim-us ‘altissimo, molto alto’.  Quel per- , insomma, assumeva in questi casi il valore di ‘molto’.  Nei molti verbi a cui si premetteva aggiungeva l’idea di perfezione, completamento, oltre che di durata.   Non poteva mancare il lat. per-cognosc-ĕre, lat. per-nosc-ĕre ‘conoscere bene, alla perfezione’ che fa al caso nostro, in qualche modo.

   Nel Bielli[1] leggo questa frase: t’ajjë cunusciùtë pérë!  rivolta a chi per un po’ di fortuna si fa grande quando invece era stato abbastanza misero per l’innanzi.  Anche qui, secondo me, si esprime lo stesso concetto di “bene, alla perfezione” con il termine pérë.  Solo che ci deve essere stato anche l’incrocio con un aggettivo *pérë che doveva significare ‘povero’ e che corrisponde alla seconda parte del lat. pau-per ‘povero’.  Secondo i linguisti, però, questo –per aveva la stessa radice del lat, par-ĕre ‘produrre, partorire’, e l’aggettivo significherebbe ‘che produce poco’, perché il pau-  sarebbe, ed è vero, lo stesso di lat. pau-c-u(m) ‘poco’, lat. pau-l-u(m) ‘poco, piccolo’, gr. paύ-ein ‘smettere, cessare’, gr. paû-r-os ‘piccolo, poco, scarso’. Ma c’è anche il lat. par-u(m) che secondo me, non è metatesi dal suddetto  gr. paûr-os > lat. parv-u(m) ‘piccolo’ > lat. par-u(m) ‘poco’, ma forma autonoma variante di –per di lat. pau-per ‘povero’ il quale ripeteva tautologicamente nei due membri il valore di ‘piccolo, poco, scarso’.   E questo  conferma quello che ho detto già in altro articolo di cui non ricordo il titolo.   Faccio notare che la radice pau- è presente anche nell’ingl. few ‘poco, pochi’.   La radice par, per  col valore di ‘scarso’ credo sia presente anche nel verbo lat. par-c-ĕre ‘risparmiare’, lat. parc-u(m) ‘parco, moderato, spilorcio, taccagno’ e nel dialettale (abruzzese-meridionale) pìr-chië ‘gretto, spilorcio, tirchio’ oppure piérchië  da un precedente *pirc-ul-u (m) ‘spilorcio’ o pierc-ul-u(m) (cfr.perfetto  lat. pe-perc-i ).   In abruzzese abbiamo anche li fiche[2] ‘i faggi’ (non gli alberi del fico, il quale veniva e viene in genere chiamato ficura come il frutto), probabilmente dal lati. fag-u(m), che in greco era phēg-όs ‘faggio, quercia’, dorico phag-όs. Io preferisco pensare che si trattasse di forme indipendenti, che invece erano considerate derivanti l’una dall’altra. 

   Interessante è l’espressione luchese  a ttì të conoscë da quandë ivë pirë [3]letter.  ‘ti conosco da quando eri pero’ per significare ‘ ti conosco bene, non mi inganni’.  Il Proia riferisce quanto segue per spiegare il significato della frase: “ (detto del contadino che aveva tagliato un albero di pero perché a lungo infruttuoso e non aveva alcuna fiducia di ricevere grazie dal crocefisso che era stato ricavato dal legno di quell’albero)”.  E’ evidente che la frase in questione aveva dato il via, all’epoca lontana del suo originarsi, ad una storiella in cui l’albero era diventato un crocifisso: in abruzzese pirë  significa ‘piolo, cavicchio’ ma anche ‘grosso bastone’[4]; si può  pensare allora che un’idea di ”palo” fosse insita in quella voce, idea da cui scaturì il significato di croce , allo stesso modo in cui dal gr. staur-όs ‘bastone, palo’ si ebbe il significato di ‘croce’. La storiella, con qualche variante, è nota anche nel napoletano, dove il piro ‘pero’ si trasforma in statua  da tutti pregata tranne dal contadino che l’aveva conosciuta come pero improduttivo nel suo orto. La statua, secondo l’etimo, è un qualcosa che si erge dritto: la parola in latino vale anche ‘colonna’, molto vicina a ‘palo’. Credo che anche il valore  di ‘attraverso’ della radice per abbia contribuito a formare l’idea di traversa, il palo incrociato con quello di sostegno in una croce.  Sempre a proposito dell’alternanza a/i in abruzzese faccio notare che ad Aielli-Aq, il mio paese, esisteva il termine parë ‘paletto’ (ribadito nell’abr. par-acchi-àtë[5] ‘bastonatura’) che si usava soprattutto come sostegno delle viti.  Si dirà che questa forma sia un allotropo di it. palo , dato il frequente scambio l/r nei dialetti, ma sta di fatto che nel nostro dialetto esiste anche palë ‘palo’; che quest’ultimo sia antichissimo è dimostrato , a mio avviso, dalla palatalizzazione della –l-  di questo vocabolo nel dialetto di Luco dei Marsi, dove si ha pajë ‘palo’. La palatalizzazione è fenomeno antichissimo, addirittura prelatino.

   Ora che ci penso, anche l’infruttosità dell’albero del pero nell’aneddoto citato è un altro aspetto del concetto di “avarizia, scarsezza, spilorceria, povertà’ insito nella radice per, perc, par, parc, di cui sopra, e nella frase abruzzese  del Bielli più sopra citata: t’ajjë cunusciùtë pérë! diretta a chi si vantava e si fa grande per un po’ di fortuna senza ricordarsi di quando se la passava invece male; questo è la conferma che tutti i racconti mitici o leggendari sono il risultato dell’incrociarsi delle radici fondamentali di ogni racconto con altre uguali o simili avvenuto nel corso dei millenni precedenti.

  L’it. par-ecchio  deve essere un prodotto della stessa radice di cui sopra col valore iniziale di ‘poco, non molto, pochi, non molti’, ma che, come l’ingl. a few ‘qualche, alcuni’ se preceduto dall’avverbio quite ‘completamente, addirittura, proprio, ecc.’ assume il significato di ‘parecchi (cfr. a few people ‘poca gente’ ma quite a few people ‘molta gente, un bel po’ di gente’) così esso è passato da ‘qualche, qualcosa, qualcuno’ al significato di ‘una qualche quantità, una certa quantità,  una più che sufficiente quantità di uomini o cose’.  C’è chi sostiene che par-ecchio sia dal lat. par-e(m) ‘pari, paio’ pensando, forse, al ted. Paar ‘paio, coppia, che ha anche il valore di ‘alcuni’, come in ein paar Tage ‘alcuni giorni’. Ma in questo caso , secondo me, o si è avuto un incrocio col germanico bar ‘nudo, scoperto’, ingl. bare ‘nudo, scoperto, scarso, sprovvisto, povero’ o, all’origine, paar significava ‘poco’ incrociatosi con ted. Paar ‘paio’, proveniente forse da antica data dal latino.  A me sembra che anche l’ingl. pare ‘spuntare, pareggiare, sbucciare, pelare, assottigliare, ridurre’ ricondotto, attraverso il francese, al verbo lat. par-are ‘preparare, adornare’  sia invece una forma della radice  di cui si discute: soprattutto il significato di ‘sbucciare’ non riesco a farlo rientrare in quello di ‘adornare’ bensì in quello di ‘denudare, spogliare’ dell’allotropo ingl. bare ‘nudo’. Certamente sarà avvenuto l’incrocio col medio francese par-er ‘preparare, ornare’. 

  Anche l’it. par-eggiare  nel significato, ad esempio, di pareggiare l’erba d’un prato credo che debba ricondursi al significato iniziale di ridurre, tagliare prima che si incrociasse con il lat. par-e(m) ‘pari’, come nell’ingl. pare the nails ‘spuntare le unghie’, ad esempio.

  Ma non ho finito. In greco esiste l’aggettivo pēr-όs ‘ storpio, mutilo, privo di qualche organo o senso’ (sostantivo: pêros, eolico pȃros) che doveva avere il significato di fondo di ‘manchevole, monco, privo, debole, scarso, difettoso’ e quindi passibile di rientrare nel concetto di ‘povero, impotente, ecc.’.    

  Ma non ho finito. E’ straordinario!  Nel dialetto di Gallicchio-Pz si incontra l’espressione scì péra pérë ‘barcollare’, letter. ‘andare pera pera’[6].   Che cosa è questo pera pera? Secondo me si tratta della stessa radice del gr. pēr-όs di cui sopra dal significato di ‘storpio, manchevole’ e quindi il significato originario della frase gallicchiese doveva essere ‘andare, procedere da storpio, ciondolando’ (la ripetizione di uno stesso aggettivo o avverbio è comunissima nel linguaggio soprattutto dialettale e parlato, come ad esempio nelle espressioni ricchë ricchë ‘molto ricco, ricchissimo’, léstë léstë ‘molto lestamente, lestissimamente’).  Il composto greco pēro-mel-ḗs vale, infatti, ‘rilasciato nelle membra (mélos=membro)’, esso è quindi prossimo al valore di ‘con le membra ciondoloni, flosce, cascanti’.  Non si scappa.  La radice in questo caso equivaleva al concetto di “dinoccolato”, quasi spezzato, rotto nelle membra, allo stesso modo in cui un frutto molto maturo si corrompe, si disfa, si guasta: questo è il motivo per cui il lat. per-coqu-ĕre secondo me aveva all’origine il significato di ‘rendere morbido, molle, maturo’ (il cibo) in ciascuno dei due elementi tautologici (per- e coqu-). Ma, una volta scomparso nella coscienza del parlante questo significato originario di per, non mantenuto con chiarezza nella lingua, il valore durativo o perfettivo di per ‘attraverso’ subentrò al suo posto. La cosa è confermata dal lat. per-ire con i suoi vari significati di ‘perire, andare in malora o in rovina, scomparire, disfarsi, morire’ che traevano la loro linfa dal significato primordiale di ‘divenire maturo, fatto, sfatto, marcio, guasto’. Allora il lat. per-ire non è altro che la versione latina, appunto, di un antico italico ire per, con l’aggettivo-avverbio in anastrofe.  Naturalmente a Gallicchio pensano che l’espressione derivi proprio dal frutto della pera , che quando è matura cade facilmente, come una pera cotta, come si dice appunto, nel senso di mela morbida, maturata dal sole. Esiste a Gallicchio anche l’altra espressione sta péra pérë ‘sta malissimo, gravemente ammalato’, “sul punto di cadere come una pera dall’albero” chiosa, un po’ artificiosamente, la curatrice del dizionario dialettale di Gallicchio.  Anche qui io vedrei dietro l’espressione sempre la stessa radice che indicava il disfarsi dei frutti e, figurativamente, degli uomini.  Usiamo anche oggi l’espressione è cotto riferendoci ad un uomo stremato e distrutto.

 E’ curioso, ma il lat. pir-u(m) ‘pera’ veniva quasi a coincidere con questa radice per ‘morbido, molle, maturo’, comunque sta di fatto che le pere mature cadono dai rami più facilmente di altri frutti maturi.

 

               With this paper I think I’ve outdone myself!



[1] D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A.Polla Editore, Cerchio-Aq, 2004

[2] Cfr. Bielli, cit.

 

[3] G. Proia, La parlata di Luco dei Marsi, Grafiche Cellini,A vezzano-Aq, 2006

 

[4] Cfr. Bielli, cit.

[5] Cfr. Bielli, cit.


    







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