Il detto, che tradotto significa
‘E’ rimasto come don Falcuccio, senz’asino e senza asinello’ risuona in molte
parti d’Abruzzo e nel Meridione, con qualche leggera variante. A dire il vero nel Lazio, e anche in Abruzzo,
si sente piuttosto un modo di dire ibrido, perché risultante dall’incrocio di
due detti, il precedente mescolato con quello relativo a Pietro l’Aretino, lo
studioso famoso e bizzarro del Cinquecento toscano. “E’
rimasto come l’Aretino Pietro, con una mano davanti e l’altra dietro”,
essendo stato colto in flagrante adulterio con una compiacente signora, e
costretto ad abbandonare l’alcova in quel modo per coprire le pudenda. L’ibridazione dà questo risultato: E’ rimasto come don Falcuccio, con una mano
davanti e l’altra dietro. Si
descrive sempre una situazione incresciosa, ma l’altra sembra essere quella
originaria, confermata anche dalla rima.
Don Falcuccio pare fosse un religioso caduto vittima di briganti, ma il
nome Falco compare nei paesi germanici ed era
già un gentilizio ai tempi dei Romani.
Quindi non bisogna pensare che il detto sia di origine più o meno
recente. Tutt’altro. A me pare che esso
si sia sviluppato intorno ad un unico concetto, quello di “ pianta, pertica’ e
simili, come abbiamo visto succedere per l’abruzz. stacca ‘puledra d’asina’
, sviluppatosi dall’idea di “rampollo, staccia, pertica”. Ora stacc-ùccë è diminutivo del maschile stacchë
‘puledro d’asina, asinello’. La
voce às-ënë è ampliamento della radice di ingl.
ass
‘asino’ e dall’alto della nostra conoscenza possiamo affermare che il termine
lat. as-in-u(m)
doveva nascondere in sé anche il significato di ‘rampollo, trave, ecc.’. Infatti il gr. às-illa significa ‘bastone, pertica’ e combacia col lat. as-ell-a (m) ‘asinella’.
Arrivati a dun Falc-ùccë il pensiero vola verso termini
come il gr. phál-ang-s ‘falange, fusto, bastone cilindrico,
ecc.’ in cui si nota l’inserzione della nasale /n/ nel secondo membro. C’è anche il ted. Balk-en ‘trave’ nonché il
secondo membro dell’it. cata-falco il cui primo membro cata- non
può derivare dal gr. katà- ‘giù’,
secondo le norme tautologiche della mia linguistica. Esso piuttosto richiama
termini come l’abruzz. cat-èllë ‘stanghetta del chiavistello’. Il quale mostra il suo lato animale col lat. cat-ell-u(m) ‘cagnolino’ diminutivo di lat. cat-ul-u(m) ‘cagnolino’ a sua volta diminutivo di cat-u(m) che però vale ‘gatto’, ma come si può facilmente dedurre si
tratta solo di specializzazioni di un originario significato di ‘animale,
animaletto’, sia esso cane o gatto. Si passa facilmente dal regno animale a
quello vegetale se, come pare, l’it. cacchio
‘rampollo, getto, tralcio’ deriva dal lat. cat-ul-u(m) ‘cagnolino’. In
abruzzese vale anche ‘spicchio, la quarta parte del gheriglio della noce’: a
mio avviso è segno che la parola, strada facendo, deve essersi incrociata anche
con altro termine, tipo l’ingl.cut ‘tagliare’, svedese dial. cata
‘tagliare’. Infatti ad Aielli, il mio
paese, e in molte altre parti d’Abruzzo la ‘ngacchiatόra è il punto in cui il
tronco si divide in due o tre rami più piccoli o il punto in cui le gambe
si biforcano, il cavallo dei pantaloni. Ma il significato della radice era ancora
più complesso se essa indicava anche il congiungersi nell’atto sessuale,
specialmente dei cani, ad Aielli. Essa si riferiva comunque ad un intersecarsi
tra loro di due o più parti. E non
poteva mancare il significato di ‘ragazzo, marmocchio’ dell’abr. scacchiàtë
< *scat(u)l-àtë con la /s/ rafforzativa
iniziale[1].
Anche
il lat. falcon-e(m) deve
avere il suo sosia vegetale che mi pare rappresentato dall’abr. falgë
‘felce’, lat. felῐc-e(m) o filῐc-e(m)‘felce’. Gli accostamenti con lat. falc-e(m) ‘falce’ per via della curvatura del
becco dell’uccello o delle stesse ali mi sembra totalmente fuori strada. A meno
che non si voglia fare un salto verso l’originario significaro dalla radice falk
che doveva essere ‘spinta, forza, anima’, in mancanza di un termine più
vicino. Io penso che anche il lat. fulic-a(m) ‘folaga’ sia della stessa natura,
in quanto ‘animale’ e non in quanto ‘nera’ di colore.
Non
crediamo di essere arrivati alla fine, giacchè resta da interpretare anche il dun o dum di dum Falcùccë. A mio
parere esso potrebbe trovar pace nel lat.
dum-u(m) ‘sespuglio’, nell’abr. tùmë ‘timo’ o abr. tùm-ulë ‘catafalco’. Una cosa è certa: esso non è una invenzione
casuale avvenuta nel corso della tradizione del modo di dire.
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