domenica 30 giugno 2019

Incredibile! L’it. sprec-are è fratello di ted. sprech-en ‘parlare’. E tante altre sorprese.







Nei nostri dialetti il verbo spiccicà o spëccë (in italiano si ha spiccicare) significa da una parte ‘staccare’ qualcosa di appiccicato, e dall’altra ‘pronunciare con chiarezza’ parole o sillabe.  Se il primo significato si può considerare proprio, in quanto indica concretamente l’azione materiale del separare una cosa da un’altra, il secondo significato, in quanto ricavabile metaforicamente dal primo, mi suscita qualche perplessità.  Il mio fiuto, derivato da annosa esperienza, mi fa arricciare il naso, almeno un po’.  I significati figurati in realtà, se li si va ad osservare bene da vicino raschiandone via le solitamente abbondanti incrostazioni, rivelano sempre una base diretta, concreta, anche nel caso in cui i significati figurati calzino a pennello. 

   Qui, quale sarebbe questo fondamento diretto? Senza girarci intorno io penso che esso sia identico  a  quello di ingl. to speak ‘parlare’. So benissimo che questo verbo è ritenuto derivare da una forma simile a quella del ted. sprech-en ‘parlare’ con la perdita della /r/, ma secondo me questa supposizione è errata. Si incontra infatti in danese la voce spage dal valore di ‘scoppiettare, crepitare’ usato anche nel senso gergale di ‘parlare’. L’azione del parlare si configura come un ‘es-prim-ere’ ,  cioè un ‘buttar fuori’ un ‘erompere’ o ‘prorompere’ che si manifesta solitamente con l’emissione di suoni.  E non sarà un mero caso il fatto che nel dialetto di Gallicchio -Pt  l’espressione spacch’u taliiànë significa ‘ostenta il saper parlare bene in italiano’, dove il verbo spaccà non significa semplicemente ‘parlare’, ma ‘parlare con ostentazione’, come fa lo spacc-one italiano perché, a mio parere, all’antico significato si è aggiunto quello di spacc-are, fatto derivare da voce longobarda di identico valore. Ma probabilmente la parola preesisteva già in qualche dialetto all’arrivo dei Longobardi. 

  Se lo spacc-one  in italiano è chiamato anche spacca-monti o spacca-montagne non dobbiamo lasciarci intimidire dalla presenza di quei –monti che sembrano avvalorare la psicologia del gradasso che crede di essere capace di tutto e di più. Perché nei dialetti si incontrano anche altre denominazioni che apparentemente vanno nella direzione opposta, quella della ridicolizzazione della sua capacità di spaccare. Nel dialetto di Gallicchio-Pt si incontra, infatti, la forma spacca-frëttàtë[1] ‘spaccone, persona che si vanta sfacciatamente di poter compiere azioni incredibili’, ma letter. ‘spacca-frittata(e)’; in abruzzese si incontrano le denominazioni spacca-lòffë ‘spaccone, millantatore ridicolo’; spacca-mannàggë ‘spocchione’ e  spacch’-e- ppésë ‘tronfione’[2].

   E’ chiaro, secondo il mio modo di considerare la Lingua, che qui siamo di fronte a composti tautologici per cui dietro –monti bisogna scorgere piuttosto  una radice germanica come quella di ted. Mund ‘bocca’, ingl. mouth ‘bocca’, ingl. to mouth ’dire con enfasi, ecc.’, significato dal quale è facile passare a quello di ‘fare lo sbruffone, lo spaccone’.  Ma c’è anche la possibilità che i monti  siano una banalizzazione della radice dell’it. montarsi (la testa) detto di chi prende a comportarsi da esaltato e da superbo, per cui viene considerato un montato, appunto. In questo caso si avrebbe la facile specializzazione nel senso di ‘tronfio, gonfio, minaccioso della radice mon,men, min che indica lo sporgere (in altezza), il crescere, l’inturgidirsi, il sormontare e il minacciare (cfr. lat. min-as ‘merli degli edifici’ ma anche ‘minacce’).  La –frëttatë sembra un termine sarcastico usato nei confronti di simili smargiassi, ma non lo è: la lingua è sempre seria in questi casi, nel senso che le sue parole mirano a mettere in rilievo direttamente la natura delle cose, non attraverso parole usate figurativamente. Infatti, cercando il significato etimologico di it. fritt-ata si scopre che esso era molto adatto ad in dicare uno sbruffone rumoroso, visto che il lat. frig-ĕre indica sia il friggere nella sua accezione di ‘bruciare, tostare’ ma anche tutto il crepitio e rumorio connesso a tale operazione, tanto  è vero che il verbo frig-ĕre ‘frignare, strillare (dei bambini)’ viene considerato un verbo a parte, rispetto all’altro.  La radice, in effetti, offriva anche altre prestazioni come quella di ‘brillare’: ognuno credo sappia, per via di famose canzoni, che fricc-ico de luna, in romanesco, vale ‘brillio di luna’, anche se la voce friccico significa pure ‘briciolo’.  Il verbo esisteva anche in greco, nella forma phrýg-ein ‘arrostire, abbrustolire’ e nella forma bucolica phrýtt-ein <*phrýkt-ein ‘arrostire, abbrustolire’, cfr. part. passato phrykt-όs ‘arrostito, fritto’.  Ora in greco, partendo da questa base, si poteva avere benissimo un sostantivo-aggettivo *phrykt-át-ēs riferibile ad un tipo ‘scoppiettante, sbuffante’ nel senso negativo di ‘orgoglioso, borioso, spocchioso’, come avviene per gr. dorico poli-át-ēs ‘cittadino’ usato al posto del normale polí-tēs ‘cittadino’.  Insomma, nel composto tautologico lucano spacca-frëttàtë il secondo componente –frëttàtë non indica la ‘frittata’ ma designa un tipo scoppienttante, fanfarone, spaccone come il primo membro spacc-a-, probabilmente a suffisso zero. Un’altra utile osservazione si può fare per questo composto.  Se il secondo membro reclama parentele col greco (ma non perché esso ci giunga dalla lingua greca in epoca storica) allora è evidente che anche il primo membro spacca- non può derivare da un it. spacc-are considerato un presunto apporto longobardo dell’alto medioevo, ma deve essere di origine altrettanto profonda che si immerge nella preistoria.

   Che questo mio modo di spiegare questi nomi composti sia giusto è confermato dall’ altra sopra citata denominazione spacca-loffë  ‘spaccone, millantatore  ridicolo’ il cui secondo membro significa  già di per sé ‘spocchioso’ nella forma siciliana lof-uru ‘spocchioso’[3] ma anche ‘ladruncolo, spia, fannullone, ecc.’ messo in relazione con l’ingl. loaf-er ‘fannullone, vagabondo’, voce che sarebbe stata riportata dagli emigranti d’America.  Ma nel suo significato di ‘spocchioso’ la parola, abbinata a spacca-, deve aver vissuto da migliaia di anni su suolo italico proveniente da una base col significato di aria e quindi di boria, non avendo rapporti con quella di loaf-er ‘vagabondo’, di cui mi taccio.   La radice deve essere la stessa di it. loffa, ted. Luft ‘aria’ e anche ingl loft-y ‘alto, elevato (di edificio)’ ma anche ‘ superbo, altezzoso, borioso’.  Se la radice di questo termine con questo significato si ritrova nel suddetto abr. spacca-lòffë ‘spaccone’ non si può assolutamente supporre che essa ci sia stata riportata dagli emigranti d’America.

   Per il secondo membro di spacca-mannàggë non riesco a trovare qualcosa di meglio del lat. mantic-a(m) ‘bisaccia’ che poi dové assumere il significato di mantice ma non è detto che esso  non esitesse già in qualche forma dialettale. Il mantice è noto anche come mantaco da cui si sarebbe potuto avere una forma mandaco ed eventualmente *mànnaco (e) se il mutamento dalla sorda /t/ alla sonora /d/ avvenne già dai primordi (dial. aiellese mandac-éttë ‘mantice’).  Sappiamo infatti come il nesso /nd/ abbia dato /nn/ per assimilazione progressiva in molte parti del meridione d’Italia.   Il fatto è che numerose dovevano essere talora le varianti di un termine, andate però spesso perdute a tutto vantaggio di quella o quelle dominanti.    Il dizionario etimologico del Pianigiani  in rete dà un gr. mandákē ‘pelle’ come possibile origine di lat. mantic-a(m) ‘bisaccia’, termine che calzerebbe a pennello, anche se il suo valore etimologico resta oscuro, per una sua trasformazione in *mannàce(cia) prima che quest’ultimo si incrociasse con l’inevitabile, a questo punto, imprecazione dialettale mannàggia < malann’aggia ‘malanno abbia! sia maledetto!’. Così il composto di cui si parla assumerebbe la forma di spacca-soffione volendo designare sempre uno che non è ponderato, calmo e serio, ma scoppietta, esplode, sbuffa di boria e vanità.

   Non è infatti un caso che l’ultima denominazione abruzzese spacch’-e- ppésē ‘tronfione’ ha, secondo me, a che fare sempre con il mantice.  Essa è sciolta in due verbi che significano letter. spacca e pesa di cui il secondo sembrerebbe entrarci come i cavoli a merenda per designare uno spaccone pieno di sé.  La forma originaria quasi sicuramente  era *spacca-pisa il cui secondo membro, incrociatosi successivamente col verbo ‘pesare’, doveva combaciare con il gr. phýsa ‘soffietto, mantice, alito, ventosità, bolla, vescica’ proveniente da una radice considerata onomatopeica (per me l’onomatopea non esiste nella lingua) pu, phu da cui anche il lat. pust-ul-a(m) ‘pustola’, lat. pus-ul-a(m) ‘erisipela’.  Il sostantivo gr. phýsē-ma ripete i precedenti significati della radice, cioè ‘alito, soffio, pustola, bolla’ ma anche, si dice, quello figurato di ‘superbia, ostentazione,  millanteria’. Se ben si riflette, infatti, sia l’alito, sia la bolla, sia l’ostentazione e compagnia bella sono espressione di una forza che si realizza in vari modi non dipendenti necessariamente l’uno dall’altro: la forza dell’alito o del  vento l’avvertiamo fisicamente, anche se con minore o maggiore intensità, la forza della bolla la vediamo e possiamo anche toccarla nella sua turgida rotondità, la forza dei significati cosiddetti figurati ci investe anch’essa con i suoi vari modi: volontà di apparire più dotato di altri, ostentando la propria singolarità (vera o falsa che sia) e magnificando le proprie capacità e doti. Si tratta sempre di una volontà di imporre la propria presenza.  La radice, poi, ha ali talmente grandi ed estese da abbracciare diversi campi semantici come quello di gr. phý-ein ‘generare, essere generato’ in quanto dotato, secondo me, di soffio vitale proprio della Natura animata.  La radice è quella di lat. fu-i   ‘io fui’, di lat. fu-turu(m) ‘futuro’ e di lat. fi-eri ‘essere fatto, avvenire’.

   Ora, tornando al dialett.  spëccëcà ‘pronunciare con chiarezza le parole o sillabe’ oppure ‘staccare’, come bisogna intendere l’espressione abruzzese[4] spiccëca-sèndë ‘bacchettone’? Come ‘pronuncia santi’ o come ‘stacca santi (da qualche parte)’? A me pare parzialmente evidente la prima interpretazione di ‘pronuncia santi’ nel senso di qualcuno che pronuncia giaculatorie con i nomi di molti santi. Questa interpretazione potrebbe aver generato il significato dispregiativo di ‘bacchettone’, uomo dedito formalmente alle pratiche religiose.  Ma, più in fondo, l’espressione doveva indicare solo l’azione del ‘pronunciare, emettere suoni, ecc.’ e il suo secondo membro doveva ricordare l’ingl. to sound ‘risuonare, pronunciare, proclamare’ o finanche l’ingl. send ’impulso, spinta’ necessario per ‘inviare’ qualcosa o semplicemente per esprimere qualcosa. La forma ‘spiccicare’ nel significato di ‘pronunciare’ deve essere ampliamento di ingl. speak ‘parlare’. 

  Un’altra difficoltà però, è costituita dal partic.-aggettivo spiccicato nel significato di ‘perfettamente uguale, tale e quale’ usato solitamente per mettere in rilievo una somiglianza eccezionale in genere tra due parenti.   E’ lo stesso significato espresso dal participio pass. di sput-are, cioè sput-ato ‘identico’: questa particolarità deve risalire alla notte dei tempi se l’ingl. spit ‘sputo, sputare’ si presta ad analogo uso.  Per cercare di risolvere realmentela questione, senza dare spiegazioni più o meno fantasiose, bisogna a mio avviso calarsi negli strati profondi dei significati della radice.  Comincio col far notare che in tedesco si incontra un verbo spuck-en ‘sputare’ vicino formalmente all’ingl. speak, spoke, spoken ‘parlare, parlai, parlato’ che quindi ci suggerisce che i due diversi significati storici di ‘parlare, dire’ e di ‘sputare’ debbono all’origine incontrarsi con quello comune di ‘cacciar fuori’, in un caso lo ‘sputo’ nell’altro un ‘suono o parola’.  Si ripete qui lo stesso identico fenomeno che abbiamo registrato ed analizzato a proposito del verbo cac-are nell’articolo di circa una settimana fa intitolato Cacalèste (cfr. mio blog, giugno 2019).  Avevo in quell’articolo dimenticato di dire che nel nostro dialetto esso ha anche il significato di ‘generare (bambini)’ in senso un po’ dispregiativo, inevitabile a causa del significato più diffuso di cacare che si intromette a modificare in tal senso il significato originario neutro di generare (E’ cacatë trè fijjë, unë appressë a jj’atrë ‘Ha fatto tre figli, uno dietro l’altro).  Ebbene io credo che sia nel caso di spëccëcàtë ‘identico, tale e quale’ sia in quello di sputàtë ‘identico, tale e quale’  ci sia dietro proprio il concetto di ‘generato, nato’. Infatti si sente dire anche, ad esempio, E’ suo padre nato e sputato, in cui sputato inizialmente doveva indicare proprio l’essere stato generato, prodotto e riprodotto (identico).  Spicc-ic-are in questo caso non è da intendere come verbo simmetrico e contrario di appiccic-are (da *ad-picc-icare con riferimento a lat. pic-em ‘pece’) e cioè *ex-piccic-are > spiccicare, ma come ampliamento della radice di ingl. speak in un significato scomparso di ‘cacciare fuori, produrre, erompere’.  Meraviglia delle meraviglie, esiste infatti anche un it. spacc-ato ‘identico, tale e quale’ che, vedi caso, vale anche ‘evidente, patente’ perché, a mio parere, conserva ancora, in questo caso, il valore di ‘dichiarare, acclarare’ scaturente da quello di ‘dire, esplicitare’. Anche l’it. spicc-are ha il significato di ‘pronunciare chiaramente le parole’ e l’aggettivo spicc-ato è sinonimo di ‘evidente, marcato’ come il sopracitato  spacc-ato ’evidente, patente’. Che dall’idea di “parlare, pronunciare” si passi a quella di ‘evidenziare, marcare’ è dimostrato proprio dal verbo pronunciare che nel rispettivo part. pass. - agg. pronunci-ato  significa ‘spiccato, marcato, sporgente’ come nell’espressione: Ha un mento molto pronunciato. Il che conferma, a mio parere, che il valore di fondo di questi verbi era quello generico  di ‘spingere, spingere fuori’, da cui il verbo poteva prendere una direzione o un’altra, tra sé autonome, nel processo di specializzazione, per cui è in fondo errato parlare di linguaggio figurato, anche se apparentemente sembra che sia così. Ricordiamoci l’espressione lucana di Gallicchio-Pt sopra citata: Spacch’u taliiànë ‘Ostenta il saper parlare bene in italiano’.   A volte non è così facile ritrovare il bandolo che nel corso dei millenni si è molto intrecciato. Per il lat. pro-nunci-are o pro-nunti-are si mette in rilievo giustamente la radice di gr. néu-ein ‘accennare, piegare’, di lat. nu-ĕre, ingl. nod ‘cenno’, ecc., ma nel frattempo si trascura qualche significato, attestato magari solo una volta.  Secondo taluni questa radice è simile  a quella di ant.indiano nava-te ‘muoversi’ e questa considerazione potrebbe aiutarci a rendere più generico il significato  di ‘accennare’. Ma in un passo di Tucidide (v. il vocab. di Rocci) il verbo néu-ein  rivela, quasi incredibilmente,  il significato di ‘sporgere’: ecco perché, allora, in italiano un ‘mento pronunciato (sporgente)’ è tale! Di conseguenza non si può pensare che questo significato sia ad un certo momento improvvisamente apparso in italiano dal verbo pronunciare, dietro la spinta della metafora: quel significato ha covato piuttosto per millenni sotto la cenere di qualche dialetto anche per tutto il periodo della latinità, rispuntando poi all’improvviso in italiano e facendo credere di essere nuovo di zecca, grazie a quello che sembra un semplice fenomeno metaforico, figurato.   

    Il francese tout craché ‘pretto sputato’ ripropone, per quanto concerne il verbo crach-er ‘sputare’, gli stessi meccanismi sopra analizzati sviluppatisi intorno ad una radice simile all’ingl. crack ‘scoppiettare, spaccare, prorompere, cacciar fuori’ produttiva di molti significati, tra cui quelli del ‘dire, dichiarare, chiarire’ o di ‘produrre, riprodurre’. Cfr. l’espressione C’est son père tout craché ‘E’ suo padre spiccicato, spaccato, pretto sputato, nato sputato’.  E così spero di essere arrivato alla fine, ma c’è ancora qualcosa da aggiungere. 

   Uno potrebbe giustamente meravigliarsi della presenza su suolo italico di tante parole germaniche,  ma a mio avviso non a ragione. Perché i dialetti soprattutto non finiscono mai di stupirmi in tal senso.  Donde mai potrebbero derivare verbi come l’abr. spell ‘pronunciare bene le parole, scolpirle, spiccicarle’ e l’ abr. spuldallo stesso significato? Io non vedo altro che l’ingl. to spell ‘compitare’, da una radice che rimanda ai significati di ‘lingua, il racconto, le parole, ecc.’. 

    E’ in certo senso una meraviglia, non avendoci pensato bene prima, che la radice del ted. sprech-en   ‘parlare’, ted. Sprache ‘lingua’  la usiamo anche noi in italiano senza accorgercene.  Il verbo it. sprec-are, infatti, ne condivide la radice insieme al verbo  sparg-ere, dove essa si presenta in forma metatetica. Insomma la radice spreg-, sprag-, sparg- ha il valore essenziale di ‘spargere, spingere, cacciar fuori (di tutto: parole ed altro), buttare in giro’ o, meglio, più che l’emissione specifica, ad esempio,  di parole, essa indica la forza e lo sforzo connesso a queste operazioni di espulsione. Cfr. ingl. spark ‘scintilla’, danese spark ‘calcio’, gr. sparg-an ‘essere turgido’. Questo è il motivo per cui noi, abituati ormai da sempre ai significati specializzati delle parole, non ne riconosciamo più le parentele ed ascendenze, e magari ci meravigliamo di questa operazione compiuta del resto da noi stessi ma quasi inconsapevolmente, per dar vita al linguaggio chiaro e differenziato dei nostri tempi, ma che cominciò a specializzarsi in epoche preistoriche lontanissime. Oddio, il linguaggio è sempre complicato, nonostante tutto, e lo sanno bene i nostri studenti alle prese con i suoi molti trabocchetti. Ma tant’è! nella vita nulla è perfetto.
 
  
   
 




[2]Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese , A.Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.

[3] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani , UTET, Torino, 1998.

[4] Cfr. D. Bielli, cit.





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