Nei nostri dialetti il verbo spiccicà
o spëccëcà (in
italiano si ha spiccicare) significa
da una parte ‘staccare’ qualcosa di
appiccicato, e dall’altra ‘pronunciare con chiarezza’ parole o
sillabe. Se il primo significato si può
considerare proprio, in quanto indica concretamente l’azione materiale del
separare una cosa da un’altra, il secondo significato, in quanto ricavabile
metaforicamente dal primo, mi suscita qualche perplessità. Il mio fiuto, derivato da annosa esperienza, mi
fa arricciare il naso, almeno un po’. I
significati figurati in realtà, se li si va ad osservare bene da vicino raschiandone
via le solitamente abbondanti incrostazioni, rivelano sempre una base diretta,
concreta, anche nel caso in cui i significati figurati calzino a pennello.
Qui, quale sarebbe questo fondamento diretto? Senza girarci intorno io
penso che esso sia identico a quello di ingl. to speak ‘parlare’. So benissimo che questo
verbo è ritenuto derivare da una forma simile a quella del ted. sprech-en ‘parlare’ con la perdita della /r/,
ma secondo me questa supposizione è errata. Si incontra infatti in danese la
voce spage
dal valore di ‘scoppiettare, crepitare’ usato anche nel senso gergale di
‘parlare’. L’azione del parlare si configura come un ‘es-prim-ere’ , cioè un ‘buttar fuori’ un ‘erompere’ o
‘prorompere’ che si manifesta solitamente con l’emissione di suoni. E non sarà un mero caso il fatto che nel dialetto
di Gallicchio -Pt l’espressione spacch’u taliiànë significa ‘ostenta il saper parlare
bene in italiano’, dove il verbo spaccà non significa semplicemente
‘parlare’, ma ‘parlare con ostentazione’, come fa lo spacc-one italiano perché, a mio parere, all’antico significato si è
aggiunto quello di spacc-are, fatto
derivare da voce longobarda di identico valore. Ma probabilmente la parola
preesisteva già in qualche dialetto all’arrivo dei Longobardi.
Se lo spacc-one in
italiano è chiamato anche spacca-monti o spacca-montagne non dobbiamo lasciarci intimidire dalla presenza di quei –monti che sembrano avvalorare la
psicologia del gradasso che crede di essere capace di tutto e di più. Perché
nei dialetti si incontrano anche altre denominazioni che apparentemente vanno
nella direzione opposta, quella della ridicolizzazione della sua capacità di spaccare. Nel dialetto di Gallicchio-Pt
si incontra, infatti, la forma spacca-frëttàtë[1] ‘spaccone, persona che si vanta
sfacciatamente di poter compiere azioni incredibili’, ma letter.
‘spacca-frittata(e)’; in abruzzese si incontrano le denominazioni spacca-lòffë
‘spaccone, millantatore ridicolo’; spacca-mannàggë ‘spocchione’ e spacch’-e- ppésë ‘tronfione’[2].
E’
chiaro, secondo il mio modo di considerare la Lingua, che qui siamo di fronte a
composti tautologici per cui dietro –monti
bisogna scorgere piuttosto una
radice germanica come quella di ted. Mund ‘bocca’, ingl. mouth ‘bocca’, ingl. to
mouth ’dire con enfasi, ecc.’, significato dal quale è facile passare a
quello di ‘fare lo sbruffone, lo spaccone’.
Ma c’è anche la possibilità che i
monti siano una banalizzazione della
radice dell’it. montarsi (la testa)
detto di chi prende a comportarsi da
esaltato e da superbo, per cui
viene considerato un montato,
appunto. In questo caso si avrebbe la facile specializzazione nel senso di
‘tronfio, gonfio, minaccioso della radice mon,men, min
che indica lo sporgere (in altezza),
il crescere, l’inturgidirsi, il sormontare
e il minacciare (cfr. lat. min-as ‘merli degli edifici’ ma anche
‘minacce’). La –frëttatë sembra un
termine sarcastico usato nei confronti di simili smargiassi, ma non lo è: la
lingua è sempre seria in questi casi, nel senso che le sue parole mirano a
mettere in rilievo direttamente la natura delle cose, non attraverso parole
usate figurativamente. Infatti, cercando il significato etimologico di it. fritt-ata si scopre che esso era molto adatto
ad in dicare uno sbruffone rumoroso,
visto che il lat. frig-ĕre indica sia
il friggere nella sua accezione di
‘bruciare, tostare’ ma anche tutto il crepitio
e rumorio connesso a tale operazione,
tanto è vero che il verbo frig-ĕre
‘frignare, strillare (dei bambini)’ viene considerato un verbo a parte,
rispetto all’altro. La radice, in
effetti, offriva anche altre prestazioni come quella di ‘brillare’: ognuno
credo sappia, per via di famose canzoni, che fricc-ico de luna, in
romanesco, vale ‘brillio di luna’, anche se la voce friccico significa pure ‘briciolo’.
Il verbo esisteva anche in greco, nella forma phrýg-ein ‘arrostire, abbrustolire’ e nella forma bucolica phrýtt-ein <*phrýkt-ein ‘arrostire, abbrustolire’, cfr.
part. passato phrykt-όs
‘arrostito, fritto’. Ora in greco,
partendo da questa base, si poteva avere benissimo un sostantivo-aggettivo *phrykt-át-ēs riferibile ad un tipo
‘scoppiettante, sbuffante’ nel senso
negativo di ‘orgoglioso, borioso, spocchioso’, come avviene per gr. dorico poli-át-ēs ‘cittadino’ usato al posto del
normale polí-tēs
‘cittadino’. Insomma, nel composto
tautologico lucano spacca-frëttàtë il secondo componente –frëttàtë non indica la ‘frittata’ ma
designa un tipo scoppienttante, fanfarone, spaccone come il primo membro
spacc-a-, probabilmente a suffisso zero. Un’altra utile osservazione si
può fare per questo composto. Se il
secondo membro reclama parentele col greco (ma non perché esso ci giunga dalla
lingua greca in epoca storica) allora è evidente che anche il primo membro spacca- non può derivare da un it. spacc-are considerato un presunto apporto
longobardo dell’alto medioevo, ma deve essere di origine altrettanto profonda che
si immerge nella preistoria.
Che
questo mio modo di spiegare questi nomi composti sia giusto è confermato dall’
altra sopra citata denominazione spacca-loffë ‘spaccone, millantatore ridicolo’ il cui secondo membro significa già di per sé ‘spocchioso’ nella forma
siciliana lof-uru ‘spocchioso’[3]
ma anche ‘ladruncolo, spia, fannullone, ecc.’ messo in relazione con l’ingl. loaf-er ‘fannullone, vagabondo’, voce che
sarebbe stata riportata dagli emigranti d’America. Ma nel suo significato di ‘spocchioso’ la
parola, abbinata a spacca-, deve aver
vissuto da migliaia di anni su suolo italico proveniente da una base col
significato di aria e quindi di boria, non avendo rapporti con quella di
loaf-er ‘vagabondo’, di cui mi taccio. La radice deve essere la stessa di it. loffa, ted. Luft ‘aria’ e anche ingl loft-y ‘alto, elevato (di edificio)’ ma anche ‘ superbo, altezzoso,
borioso’. Se la radice di questo termine
con questo significato si ritrova nel suddetto abr. spacca-lòffë ‘spaccone’ non
si può assolutamente supporre che essa ci sia stata riportata dagli emigranti d’America.
Per
il secondo membro di spacca-mannàggë non riesco a trovare qualcosa
di meglio del lat. mantic-a(m)
‘bisaccia’ che poi dové assumere il significato di mantice ma non è detto che esso
non esitesse già in qualche forma dialettale. Il mantice è noto anche come mantaco
da cui si sarebbe potuto avere una forma mandaco
ed eventualmente *mànnaco (e) se il
mutamento dalla sorda /t/ alla sonora /d/ avvenne già dai primordi (dial.
aiellese mandac-éttë ‘mantice’). Sappiamo infatti come il nesso /nd/ abbia
dato /nn/ per assimilazione progressiva in molte parti del meridione
d’Italia. Il fatto è che numerose
dovevano essere talora le varianti di un termine, andate però spesso perdute a
tutto vantaggio di quella o quelle dominanti. Il dizionario etimologico
del Pianigiani in rete dà un gr. mandákē ‘pelle’ come possibile origine di lat. mantic-a(m) ‘bisaccia’, termine che calzerebbe
a pennello, anche se il suo valore etimologico resta oscuro, per una sua
trasformazione in *mannàce(cia) prima
che quest’ultimo si incrociasse con l’inevitabile, a questo punto, imprecazione
dialettale mannàggia < malann’aggia ‘malanno abbia! sia
maledetto!’. Così il composto di cui si parla assumerebbe la forma di spacca-soffione volendo designare sempre
uno che non è ponderato, calmo e serio, ma scoppietta,
esplode, sbuffa di boria e vanità.
Non è
infatti un caso che l’ultima denominazione abruzzese spacch’-e- ppésē ‘tronfione’ ha, secondo me, a che fare
sempre con il mantice. Essa è sciolta in due verbi che significano
letter. spacca e pesa di cui il
secondo sembrerebbe entrarci come i cavoli a merenda per designare uno spaccone pieno di sé. La forma originaria quasi sicuramente era *spacca-pisa il cui secondo membro, incrociatosi successivamente col verbo
‘pesare’, doveva combaciare con il
gr. phýsa
‘soffietto, mantice, alito, ventosità, bolla, vescica’ proveniente da una
radice considerata onomatopeica (per
me l’onomatopea non esiste nella lingua) pu, phu da cui anche il lat. pust-ul-a(m) ‘pustola’, lat. pus-ul-a(m) ‘erisipela’. Il sostantivo gr. phýsē-ma ripete i precedenti significati della radice, cioè ‘alito,
soffio, pustola, bolla’ ma anche, si dice, quello figurato di ‘superbia, ostentazione, millanteria’. Se ben si riflette, infatti,
sia l’alito, sia la bolla, sia l’ostentazione e compagnia bella sono espressione di una forza che si realizza in vari modi non
dipendenti necessariamente l’uno dall’altro: la forza dell’alito o del vento l’avvertiamo fisicamente, anche se con
minore o maggiore intensità, la forza della bolla la vediamo e possiamo anche
toccarla nella sua turgida rotondità, la forza dei significati cosiddetti
figurati ci investe anch’essa con i suoi vari modi: volontà di apparire più
dotato di altri, ostentando la propria singolarità (vera o falsa che sia) e
magnificando le proprie capacità e doti. Si tratta sempre di una volontà di
imporre la propria presenza. La radice,
poi, ha ali talmente grandi ed estese da abbracciare diversi campi semantici come
quello di gr. phý-ein ‘generare,
essere generato’ in quanto dotato, secondo me, di soffio vitale proprio della Natura animata. La radice è quella di lat. fu-i ‘io
fui’, di lat. fu-turu(m) ‘futuro’ e
di lat. fi-eri ‘essere fatto,
avvenire’.
Ora,
tornando al dialett. spëccëcà ‘pronunciare
con chiarezza le parole o sillabe’ oppure ‘staccare’, come bisogna intendere
l’espressione abruzzese[4]
spiccëca-sèndë ‘bacchettone’? Come ‘pronuncia
santi’ o come ‘stacca santi (da qualche parte)’? A me pare parzialmente
evidente la prima interpretazione di ‘pronuncia santi’ nel senso di qualcuno
che pronuncia giaculatorie con i nomi di molti santi. Questa interpretazione potrebbe
aver generato il significato dispregiativo di ‘bacchettone’, uomo dedito
formalmente alle pratiche religiose. Ma,
più in fondo, l’espressione doveva indicare solo l’azione del ‘pronunciare,
emettere suoni, ecc.’ e il suo secondo membro doveva ricordare l’ingl. to sound ‘risuonare, pronunciare,
proclamare’ o finanche l’ingl. send ’impulso, spinta’ necessario
per ‘inviare’ qualcosa o semplicemente per esprimere
qualcosa. La forma ‘spiccicare’ nel significato di ‘pronunciare’ deve essere
ampliamento di ingl. speak ‘parlare’.
Un’altra difficoltà però, è costituita dal partic.-aggettivo spiccicato
nel significato di ‘perfettamente uguale, tale e quale’ usato solitamente per
mettere in rilievo una somiglianza eccezionale in genere tra due parenti. E’ lo
stesso significato espresso dal participio pass. di sput-are, cioè sput-ato ‘identico’: questa
particolarità deve risalire alla notte dei tempi se l’ingl. spit
‘sputo, sputare’ si presta ad analogo uso.
Per cercare di risolvere realmentela questione, senza dare spiegazioni
più o meno fantasiose, bisogna a mio avviso calarsi negli strati profondi dei
significati della radice. Comincio col
far notare che in tedesco si incontra un verbo spuck-en ‘sputare’ vicino formalmente all’ingl. speak, spoke, spoken ‘parlare, parlai, parlato’ che
quindi ci suggerisce che i due diversi significati storici di ‘parlare, dire’ e
di ‘sputare’ debbono all’origine incontrarsi con quello comune di ‘cacciar
fuori’, in un caso lo ‘sputo’ nell’altro un ‘suono o parola’. Si ripete qui lo stesso identico fenomeno che
abbiamo registrato ed analizzato a proposito del verbo cac-are nell’articolo di circa una settimana fa intitolato Cacalèste (cfr. mio blog, giugno
2019). Avevo in quell’articolo
dimenticato di dire che nel nostro dialetto esso ha anche il significato di
‘generare (bambini)’ in senso un po’ dispregiativo, inevitabile a causa del
significato più diffuso di cacare che
si intromette a modificare in tal senso il significato originario neutro di generare (E’ cacatë trè fijjë, unë appressë a jj’atrë ‘Ha fatto tre figli,
uno dietro l’altro). Ebbene io credo che
sia nel caso di spëccëcàtë ‘identico,
tale e quale’ sia in quello di sputàtë
‘identico, tale e quale’ ci sia dietro
proprio il concetto di ‘generato, nato’. Infatti si sente dire anche, ad esempio,
E’ suo padre nato e sputato, in cui sputato inizialmente doveva indicare
proprio l’essere stato generato, prodotto e riprodotto (identico). Spicc-ic-are in questo caso non è da intendere come verbo simmetrico e
contrario di appiccic-are (da *ad-picc-icare con riferimento a lat. pic-em ‘pece’) e cioè *ex-piccic-are > spiccicare,
ma come ampliamento della radice di ingl. speak in un significato scomparso di
‘cacciare fuori, produrre, erompere’.
Meraviglia delle meraviglie, esiste infatti anche un it. spacc-ato ‘identico, tale e quale’ che, vedi
caso, vale anche ‘evidente, patente’ perché, a mio parere, conserva ancora, in
questo caso, il valore di ‘dichiarare, acclarare’ scaturente da quello di
‘dire, esplicitare’. Anche l’it. spicc-are ha il significato di ‘pronunciare chiaramente le parole’ e
l’aggettivo spicc-ato è sinonimo
di ‘evidente, marcato’ come il sopracitato
spacc-ato ’evidente,
patente’. Che dall’idea di “parlare, pronunciare” si passi a quella di
‘evidenziare, marcare’ è dimostrato proprio dal verbo pronunciare che nel rispettivo part. pass. - agg. pronunci-ato significa ‘spiccato, marcato, sporgente’ come
nell’espressione: Ha un mento molto pronunciato. Il che conferma, a mio
parere, che il valore di fondo di questi verbi era quello generico di ‘spingere, spingere fuori’, da cui il verbo
poteva prendere una direzione o un’altra, tra sé autonome, nel processo di
specializzazione, per cui è in fondo errato parlare di linguaggio figurato,
anche se apparentemente sembra che sia così. Ricordiamoci l’espressione lucana
di Gallicchio-Pt sopra citata: Spacch’u taliiànë ‘Ostenta il saper parlare bene in italiano’. A volte
non è così facile ritrovare il bandolo che nel corso dei millenni si è molto
intrecciato. Per il lat. pro-nunci-are o pro-nunti-are si mette
in rilievo giustamente la radice di gr. néu-ein ‘accennare, piegare’, di lat. nu-ĕre, ingl. nod ‘cenno’, ecc., ma nel frattempo
si trascura qualche significato, attestato magari solo una volta. Secondo taluni questa radice è simile a quella di ant.indiano nava-te ‘muoversi’ e questa considerazione potrebbe aiutarci a rendere
più generico il significato di
‘accennare’. Ma in un passo di Tucidide (v. il vocab. di Rocci) il verbo néu-ein
rivela, quasi incredibilmente,
il significato di ‘sporgere’: ecco perché, allora, in italiano un ‘mento
pronunciato
(sporgente)’ è tale! Di conseguenza non si può pensare che questo significato
sia ad un certo momento improvvisamente apparso in italiano dal verbo pronunciare, dietro la spinta della metafora: quel significato ha covato
piuttosto per millenni sotto la cenere di qualche dialetto anche per tutto il
periodo della latinità, rispuntando poi all’improvviso in italiano e facendo
credere di essere nuovo di zecca, grazie a quello che sembra un semplice fenomeno
metaforico, figurato.
Il
francese tout craché ‘pretto sputato’ ripropone, per quanto concerne il
verbo crach-er ‘sputare’, gli stessi
meccanismi sopra analizzati sviluppatisi intorno ad una radice simile all’ingl.
crack
‘scoppiettare, spaccare, prorompere, cacciar fuori’ produttiva di molti
significati, tra cui quelli del ‘dire, dichiarare, chiarire’ o di ‘produrre,
riprodurre’. Cfr. l’espressione C’est son
père tout craché ‘E’ suo padre spiccicato, spaccato, pretto sputato, nato
sputato’. E così spero di essere
arrivato alla fine, ma c’è ancora qualcosa da aggiungere.
Uno
potrebbe giustamente meravigliarsi della presenza su suolo italico di tante
parole germaniche, ma a mio avviso non a
ragione. Perché i dialetti soprattutto non finiscono mai di stupirmi in tal
senso. Donde mai potrebbero derivare
verbi come l’abr. spell-ì ‘pronunciare
bene le parole, scolpirle, spiccicarle’ e l’ abr. spul-ì dallo stesso significato? Io non vedo altro che l’ingl. to spell ‘compitare’, da una radice che rimanda
ai significati di ‘lingua, il racconto, le parole, ecc.’.
E’
in certo senso una meraviglia, non avendoci pensato bene prima, che la radice
del ted. sprech-en ‘parlare’, ted. Sprache ‘lingua’ la usiamo anche noi in italiano senza
accorgercene. Il verbo it. sprec-are, infatti, ne condivide la radice insieme al verbo sparg-ere, dove essa si presenta in forma metatetica. Insomma la radice spreg-, sprag-, sparg-
ha il valore essenziale di ‘spargere, spingere, cacciar fuori (di tutto: parole
ed altro), buttare in giro’ o, meglio, più che l’emissione specifica, ad
esempio, di parole, essa indica la forza e lo sforzo connesso a queste operazioni di espulsione. Cfr. ingl. spark
‘scintilla’, danese spark ‘calcio’, gr. sparg-an ‘essere turgido’. Questo è il motivo
per cui noi, abituati ormai da sempre ai significati specializzati delle
parole, non ne riconosciamo più le parentele ed ascendenze, e magari ci
meravigliamo di questa operazione compiuta del resto da noi stessi ma quasi
inconsapevolmente, per dar vita al linguaggio chiaro e differenziato dei nostri
tempi, ma che cominciò a specializzarsi in epoche preistoriche lontanissime.
Oddio, il linguaggio è sempre complicato, nonostante tutto, e lo sanno bene i
nostri studenti alle prese con i suoi molti trabocchetti. Ma tant’è! nella vita
nulla è perfetto.
[2]Cfr. D.
Bielli, Vocabolario abruzzese ,
A.Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.
[3] Cfr.
Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani ,
UTET, Torino, 1998.
[4] Cfr. D.
Bielli, cit.
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