Cacalèste ‘chi parla
subito imprudentemente’[1] è voce abruzzese apparentemente composta
dalla radice del verbo cac-àre usato anche in italiano e dall’avverbio-aggett. lèstë ‘lèsto’,
aiellese léstë con la prima /é / acuta. Non c’è linguista, credo, famoso e no, che
non sottoscriva il significato etimologico sopra indicato. Una parola, dunque, che potrebbe essere stata
generata l’altro ieri secondo loro, visto che in dialetto il verbo cac-à significa anche ‘rivelare cose nascoste’
, ad esempio alla polizia, magari non appena si è stati da essa fermati. “E’
cacatë tuttë“ ‘Ha rivelato tutto per filo e per segno’ o ‘Ha cantato’,
usando un’ altra espressione. Fine del
problema? Ma nemmeno per sogno!
Non ci
si può accontentare di ciò se solo si riflette che esistono verbi abruzzesi (e
non solo) quali cacalïà, cachëlëjà,
cachilïà ‘lo schiamazzare della gallina che ha fatto l’uovo’ e cacàjjë ‘balbuziente’ per cominciare a
pensare che l’abr. caca-lèstë dovrebbe essere messo in rapporto, anche per la
legge dell’economia linguistica, con una forma originaria *cacal-èstë il cui suffisso, presente già in latino e greco (lat. ista, gr. istēs) indica in genere l’agente o la persona che segue una certa
Scuola o teoria o ha certe abitudini. Futur-ista, animal-ista, opportun-ista.
Ora seguendo il significato già specializzato dei suddetti verbi abruzzesi
dovremmo spiegare cacal-èstë come ‘schiamazzatore,
schiamazzante’ e simili, ma il significato originario della radice era quasi
sicuramente più generico, quello di ‘emettere un suono’ e quindi ‘parlare,
rivelare’. Così il cacal-èstë non è
altro che un ‘parlante, parlatore, rivelatore’ come volevasi dimostrare.
I
linguisti, beati loro, si cavano subito d’impaccio, supponendo per la radice cacal- una origine onomatopeica, imitativa
(cf. fr. cacaill-er ’tartagliare’ ,
ingl. cackle ‘schiamazzo, coccodè
ridacchiamento’, lat. cach-inn-um ‘risata’, ecc.), non ponendosi nemmeno il problema che la
lingua, secondo me e altri studiosi più preparati di me , come Konrad Lorenz,
ha un’origine concettuale. Forte di questa convinzione dirò di più: se la voce cacal-èstë si incrocia con il verbo cac-à ‘evacuare’, non è per caso ma perché
il significato di fondo delle due radici cacal- ‘parlare, schiamazzare’ e cak- ‘evacuare’
era uguale in ambedue: ‘espellere, cacciar fuori, esprimere’, il quale ultimo
vale, come è evidente, ‘cacciare fuori premendo’. Allora si comprende benissimo
che l’espressione dialettale di cui sopra (E’ cacàtë tuttë ‘ha cantato’) non
può essere intesa come metaforica sin dalla sua origine: lo è diventata quando
si è incrociata col verbo dialettale cac-à il quale era metaforico
anch’esso rispetto ad significato originario di ‘cacciare fuori’. Allora nella
Lingua tutto è metafora di alcunchè o
nulla lo è! Inoltre, in questo modo, si risolvono con una certa facilità
espressioni come quella del dialetto di Apricena-Fg che suona caca-mentë ‘seccatura’, la quale si
configura in genere come una pressione
fisica o psichica non gradita esercitata nei confronti di qualcuno. Trovo una corrispondenza nell'inglese del Midland hack che significa 'disturbare, importunare imbarazzare'. Anche l’uso
gergale giovanile di cacare, nel
senso di interessarsi di qualcuno,
usato spesso nella forma negativa (non ti
caca più quella tizia) può essere comodamente inteso come espressione di
una premura usata nei confronti di
qualcuno. Quasi tutto diventa comprensibile e spiegabile, quando il significato
di un termine allarga le sue grandi ali man mano che si avvicina alle sue origini.
Ordunque, se i linguisti non riescono ad abbandonare gli strati
superficiali delle parole o quelli prossimi ad essi, rimarranno sempre
inesorabilmente impigliati in un visione
fortemente dispersiva e superficiale della lingua, fatta di un numero
enorme di concetti diversi, e non potranno mai toccare con mano il fondo solido
ed unitario della somiglianza profonda di tutti i concetti, perché derivanti
dall’unico concetto di anima, essere, vita ecc. E’ il fondo che
sta alla base di ogni lingua, come Chomsky, Lorenz ed altri hanno già
capito. Naturalmente questi studiosi
sanno che esiste un fondo comune, di cui però non sono arrivati a delineare tutte
le caratteristiche empiriche, mi pare, soprattutto per ciò che concerne il
significato.
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