Il termine in abruzzese (anche ad
Aielli) indica una giovane puledra dell’asina. Esiste anche il maschile stacchë, diminutivo staccùccë, accrescitivo staccònë. La voce viene riferita anche ad una donna
alta e bella: è na bèlla stacca ‘è una
donna alta e formosa’, direi giunonica.
Una volta, tanti anni fa, mi fecero conoscere, quando ero in Sardegna,
una collega abruzzese che insegnava in un paese vicino al mio. “E’ una
bella stacca abruzzese” dissi, scherzando, ai miei amici quando lei se ne
fu andata. Naturalmente loro non
capirono il significato del termine stacca
che subito spiegai.
Ora, la
solita domanda: da dove ci può venire la parola stacca ’puledra dell’asina’ che appare anche nel meridione d’Italia,
col significato di ‘puledro/a’ [1]? Un legame l’ho trovato, e abbastanza forte,
con il termine ingl. stag che significa però ‘cervo maschio’. Io credo che,
come al solito, questo significato sia il prodotto di una specializzazione
della parola che anteriormente doveva valere ‘animale, rampollo, ecc.’ La
specializzazione si è avuta in questo caso attraverso l’incrocio, credo, con
l’ingl. stake ’palo, asta,
paletto’, equivalente delle corna del cervo. Il termine si riferisce anche ad
altri animali maschi, come il gallo. Ma
il significato più vicino a quello abruzzese e lucano è lo scozzese stag
‘giovane cavallo, specialmente non domato’.
La
radice germanica di ingl. stake ‘palo, paletto, pertica’ si
ritrova in diversi dialetti italiani nella forma staccia[2] (calabrese,
siciliano) ‘pertica per sostenere i rami ricolmi di frutti’, da cui anche l’it.
stacci-on-ata.
Anche ad Arcevia-An le voci stacca, staccona, staccotta stanno
per ‘donna grossa ed alta’. Non credo che in quel dialetto ci sia la voce stacca
per ‘puledra d’asina’, di conseguenza la ‘donna alta e grossa’ verrà
accostata all’idea di “pertica”. Ora, qual è la condizione giusta e
originaria, quella della donna/puledra
o della donna/pertica? Nessuna delle
due o tutte e due! Inizialmente il valore della parola stacca e simili doveva
essere quello di ‘rampollo, germoglio, piantina’ il quale poteva essere
utilizzato ad indicare qualsiasi rampollo
del regno vegetale e del regno animale, compreso naturalmente anche l’uomo:
insomma la stacca abruzzese (giovane donna) è tale non perché viene
paragonata alla puledra dell’asina, ma perché essa era già di per sé un ‘essere
giovane in fiore’, prima magari che si incontrasse casualmente, nei nostri
dialetti, con lo stesso termine che era già di per sè un ‘giovane animale’ o un
‘giovane virgulto’. I significati di
lat. pull-u(m) ‘germoglio, pulcino, puledro,
piccolo di ogni animale’ insegnano.
La
regola che si desume da questo è che tutti i significati che sembrano dipendere
da altri, in realtà erano già presenti, anche se in forma occulta, nella radice
d’origine uguale per tutti. Da questo deriva un’altra regola importante nella mia
linguistica: che i significati specialistici, che sembrano derivare da una
radice particolare, in realtà presuppongono una radice comune con tanti altri
termini. E così procedendo si arriva per forza alla constatazione, come altre
volte ho sottolineato, che i milioni di parole che costituiscono le varie
lingue, presenti e passate, scaturiscono tutte da un unico concetto, quello di
“anima, forza, spinta”, così generico da sfuggire quasi ad ogni definizione la
quale ne è già una specializzazione, ma così importante per l’uomo primitivo
che riusci a concepirlo, esprimendolo in vario modo e piegandolo ad esprimere
con esso le diversità di significato via via da esso ricavate.
Si
può essere annebbiati fino a tal punto da non capire la limpida verità?
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