mercoledì 5 giugno 2019

Filastrocca veneta sulla lumaca.



La filastrocca veneta in cui ricorre il tema dell’impiccagione del padre della chiocciola è la seguente (n.105):

Buta, buta corni,
che tô mari la te ciama,
che tô pari l’è ‘mpiccà
sulla porta del podestà.

Traduzione: butta, butta (fuori) le corna,/ché tua madre ti chiama,/ ché tuo padre è stato impiccato/sulla porta del Podestà.

La madre della lumaca qui, invece di essere dichiarata morta (come avviene nella filastrocca di Aielli-Aq e Pagliara dei Marsi), chiamerebbe invece la lumaca, e il padre non si sarebbe impiccato volontariamente ma sarebbe stato impiccato sulla porta del Podestà.

   Ora la voce ciama (chiama) potrebbe richiamare il nome ciamma della lumaca presente nelle filastrocche abruzzesi e nella parola abruzzese e meridionale ciam-marùca ’lumaca’, come abbiamo assodato in articoli precedenti.  Ma la considerazione che né nel Veneto né in altre parti del settentrione d’Italia mi pare essere attestato il suddetto termine, e che il verbo veneto ciamar ‘chiamare’ deriva dal lat. clam-are ‘gridare, chiamare a gran voce’ mi spinge a trovare un termine  attinente alla chiocciola con la radice clam-.  Dopo un po’ di riflessione mi si è parato innanzi l’ingl. clam ‘mollusco bivalve, vongola’, termine che va a pennello per indicare il guscio della lumaca e che si è successivamente incrociato con la voce del verbo lat. clam-are ‘chiamare’, diventato in Veneto ciam-ar.  Ma esiste in greco un poco noto termine klemmý-s ‘testuggine’, che conferma la mia supposizione.  In tedesco l’aggettivo klamm vale ‘stretto’ e il sostantivo Klamm significa ‘gola, vallata stretta’.  A me pare che il sostantivo contenga il concetto di “cavità” incrociatosi con quello dell’aggettivo corrispondente. Quando il significato di un termine ha bisogno di due concetti per essere chiarito è certo, secondo la mia esperienza, che nel termine convivono due diverse radici uguali o simili nella forma. 

   Il ted. Klamm, secondo le regole della rotazione consonantica nelle lingue germaniche, potrebbe derivare da un protoindeuropeo *Glamm, vicino a mio parere al lat. glomus, -eris ‘gomitolo’ e contenere, nel fondo, il significato di avvolgimento adatto sia per designare l’azione dell’avvolgere e coprire, sia quella dell’ammassare in una forma più o meno rotondeggiante.  E così penso che anche il lat. glum-a(m) ‘gluma, invoglio del grano ed altre graminacee, pula’ attinga al medesimo concetto, e non derivi, come si sostiene, dalla nozione di incidere  presente nel gr. glýph-ein ‘incidere, intagliare’.

   In ultimo, l’accenno al Podestà non è naturalmente da riferire né alla massima autorità comunale del fascismo né a quella del medioevo. Cominciamo con l’osservare, per allontanare il pensiero dalle figure politiche su accennate, che un termine podestà con varianti come patestò, ecc. si incontra nel calabrese e che esso significa ‘legno del telaio che mantiene la cassa’[1].  Secondo il Rohlfs il termine deriverebbe da un greco bizantino *patestόs a sua volta connesso col greco antico patássō ’batto con rumore’, ma la cosa non mi convince per niente.  Di primo acchito io proporrei per il nostro podestà un membro iniziale pot-, pod- con valore di cavità, buccia come nei rispettivi termini inglesi pot’vaso’ e pod ’baccello’ e un membro finale -ista imparentata col gr. hist-όs ‘albero della nave, telaio’ ma anche ‘cella delle api’ in Aristotele.  È quest’ultimo significato che ripeterebbe quello del primo membro formando un composto tautologico *pot-ist-όs trasformabile facilmente in podestà dall’etimologia popolare.  Ma c’è un’altra strada, forse preferibile alla prima, che parte dalla costatazione che in veneto bo significa ‘bue’, nome con cui in alcune filastrocche viene indicata la chiocciola anche per via delle corna. Allora si potrebbe supporre un composto di partenza *bo-tèsta, trasformabile sempre in podestà dalla folketymology  , termine che d’altronde al nom. sing. suona in latino potestas, con l’accento tonico sulla /e/. Il secondo membro tèsta non sarebbe altro che la parola latina test-a(m) dai vari significati di ‘tegola, vaso di terra cotta, pignatta, guscio di crostacei, ecc.’. Essa è alla base anche di lat. test-udin-e(m) tartaruga, guscio di tartaruga, ecc.’. La componente –udin- è tutta da studiare, ma ripeterà certamente il valore dell’altra.

   L’it. calamàro, il noto cefalopode simile alla seppia, deriverebbe il nome, secondo tutti i linguisti, dal fatto che l’animaletto, quando si sente in pericolo, emette un liquido nero come fa la seppia. Il nome quindi sarebbe stato suggerito dal termine calamaio che inizialmente però indicava l’astuccio che conteneva le penne (gr. kálam-os ‘canna, penna’. Io penso che il nome dipenda, come quello della seppia di cui ho parlato nell’articolo La cantilena per la chiocciola ad Aielli (maggio 2019), dal fatto che questi animali hanno il corpo rinchiuso in una specie di sacco (mantello) da cui fuoriescono la testa e i tentacoli. Ora la voce kálam-os, specializzatasi a designare la canna, che ha un fusto vuoto, in realtà è apparentata, a mio avviso, con gr. kaliá ‘luogo destinato alla dispensa, granaio, capanna’, con ingl. hall ‘atrio, salone’ e con la radice di lat. cel-are ‘celare, nascondere’.  Il termine quindi era adatto ad esprimere l’idea di ‘avvolgimento, sacco, copertura’ relativa al mantello dell’animale. 



[1] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET, Torino, 1998.

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