1) «Lo stesso discorso è valido per *bhagó-s, che
ha dato origine a ‘faggio’ in germanico (a.a.t.buohha) e in
latino (fāgus).
Poiché in greco tale radice ha finito per denominare la quercia (φηγός) e in russo il sambuco (buz ), si è pensato a una migrazione dei popoli indoeuropei da zone
in cui crescevano faggi a zone in
cui essi non esistevano; tale radice sarebbe dunque stata assegnata ad alberi
popolari nei nuovi terreni. Date le differenze di significato assunto nelle
varie lingue, non v’è ragione di credere che l’albero inizialmente conosciuto
dagli indoeuropei fosse il faggio e non la quercia, e che dunque la migrazione
verso aree in cui crescevano faggi avrebbe portato Latini e Germani a designare
con *bhagó-s il faggio. La presenza del significato ‘faggio’ in latino e germanico non è sufficiente ad attribuire alla radice quello
stesso significato; esso sarà allargato e disperso
in un più ampio e generico panorama che assegna alla radice *bhagó-s il senso universale di ‘albero’». (pag. 37-8)
2) «In base a quest’esempio si potrebbe
rivedere il concetto di arbitrarietà del segno. Esso si presenta “arbitrario”
quando le parole giungono a noi prive di trasparenza
semantica e sono ormai diventate nomi-etichetta, senza più alcun rapporto
giustificato con il denotato. Il caso del lat. exāmen ‘sciame’, analizzato da Belardi, illustra in modo ineccepibile questo
concetto. Se per noi la parola
Exāmen non ha
alcun motivo d’essere collegata al suo denotato, la ricostruzione di una forma
protolatina*eks-ag-s-men (funzionale alla spiegazione del latino classico exāmen) sulla
base di iouxmento,
forma arcaica
attestata per iūmentum permette di far luce su quello che era ormai
diventato un segno arbitrario: la parola *eksagsmen risulta così formata da:
-
Un
prefisso *eks, con
il significato di ‘uscire, andar via da’ (vedi
anche gr.ἐκ).
-
Una radice *ag- con il
significato di ‘condurre’ (lat.ago, exigo;gr.ἄγω);
- Un suffisso -s-, forse usato per nomi che indicano il risultato di un
agire, o per separare unità morfologiche;
- Un secondo suffisso –men che indica nome di cosa. Così analizzata, la parola prende il
significato di ‘ciò che esce fuori da’, locuzione che indica perfettamente l’azione
di uno sciame di api che fuoriesce dal nido. L’evoluzione della parola avrebbe
poi determinato la sua classificazione come parola immotivata.
Sta di fatto, però, che l’analisi etimologica, come nel caso di
‘malaria’, non ci dà concrete informazioni sul referente cui si riferiscono
i termini. Qualsiasi cosa può ‘uscire fuori da’: tutto ciò che sappiamo, possedendo il significato della
forma classica exāmen, è
l’idea che i primi parlanti si erano fatti di uno
sciame di api». (pag. 39-40)
Si tratta,
come ho detto, di due brani tratti dal saggio L’indeuropeo: una ricostruzione verosimile? di Silvia Biselli,
apparso su Academia. edu, un sito dedicato alla condivisione di scritti di
natura generalmente scientifica. Sia ben
chiaro che quello che sto per dire non è per mostrare quanto sono bravo, ma
solo per evidenziare il fatto che fin dagli inizi della mia ricerca linguistica,
pur non essendo un linguista di professione e non conoscendo la posizione di
linguisti al riguardo, ero arrivato alla convinzione che il lat. fag-um ‘faggio’, ted. Buche ‘faggio’ e gr. phēg-όs ‘tipo di quercia’ dovevano rimandare
ad una radice originaria col significato generico di ‘albero’. La cosa l’ho dichiarata ripetutamente in
alcuni articoli del mio blog. Grazie a questo saggio sono venuto a conoscenza
del russo buz ‘sambuco’, sempre della
stessa radice generica per ‘albero’. Ho
sicuramente, pertanto, qualche possibilità di cogliere nel segno se affermo che
la stessa radice si ritrova nel secondo membro del lat. sam-buc-u(m) ‘sambuco’. Secondo un
canone fondamentale della mia linguistica le parole sono formate da composti
tautologici. Per quanto riguarda,poi, il
significato generico di fondo il greco stesso ci offre anche il caso di drỹs
‘albero, quercia’ e talora anche ‘olivo, pino’, che si ritrova nell’ingl. tree
‘albero’: la sua radice, agli inizi, non poteva che indicare l’albero in
genere. Il greco ci offre anche altri casi di incertezza del significato di
qualche fitonimo. A Pero dei Santi-Aq, un paese della valle
Roveto, l’olmo è chiamato stranamente albero.
Per quanto riguarda il lat. examen ‘sciame’ c’è da osservare che quasi tutti i termini,
quando si può arrivare alla loro etimologia, indicano qualcosa di molto
generico che riguarda anche tante altre entità oltre a quella del referente. Di
conseguenza è vano credere che le cose abbiano ricevuto, all’inizio del
linguaggio, il loro bel battesimo con un nome esclusivo che magari ne
descrivesse l’essenza. Però è anche vero che ogni segno linguistico non era
totalmente immotivato, nel senso che quel significato generico riguardava
comunque il suo referente, anche se in maniera molto generica. Lo sciame era indicato
in latino anche col termine ag-men ‘sciame (Virgilio), schiera, colonna di soldati in marcia,
corso, stormo, ecc.’ senza nemmeno la precisazione dell’ex- ‘fuori da’ iniziale, sicchè
il significato originario di ag-men (dal verbo ag-ere ‘spingere, muoversi, ecc.’ era solo il ‘muoversi (di qualcosa,
qualsiasi cosa)’. Il termine generico naturalmente tendeva, nel corso del
tempo, a specializzarsi nel contesto di una locuzione e finiva magari per
indicare, più o meno stabilmente, qualche referente particolare: se poi il
significato della radice, nel frattempo, scompariva dall’orizzonte di una
lingua (cosa che spesso capitava), quel termine finiva per restare strettamente
appiccicato al suo referente, come se fosse nato solo per esso, ma senza mostrarci il perché di quella
stretta unione che sembrava immotivata. Queste sono riflessioni
importantissime, a mio modesto avviso, perché ci portano dritto dritto
all’origine del linguaggio, che a mio parere era costituito di parole
genericissime nel significato, tanto che esse erano praticamente omosemantiche
e potevano poi via via passare ad indicare le cose più diverse, per l’influenza
e l’incrocio con altre parole simili nella forma, ma che avevano assunto altri
significati. Ad esempio il lat. ag-men ‘sciame, frotta, stormo’, basato all’origine sul significato
del verbo lat. ag-ĕre ‘spingere,
muoversi’, assunse quello di ‘gruppo in
movimento’ perché dovette incrociarsi con termini come il gr. ag-élē ‘gregge, schiera, torma’ che io
preferisco ricondurre, piuttosto che alla radice greca di ág-ein ‘spingere, condurre’ uguale a quella latina di ag-ĕre ‘spingere’, alla radice di gr. ag-eír-ein ‘adunare, raccogliere’, per la quale ultima i linguisti danno
una spiegazione a mio avviso alquanto complicata, e, anche per questo, meno
sicura.
O
forse è la nostra notevole miopia, generata dall’inveterata abitudine a
distinguere, dividere, separare (abitudine assorbita dal linguaggio così come esso si presenta nel suo stadio maturo) a non farci vedere la sostanziale e
primordiale uguaglianza tra il concetto di “spingere” e quello di “spingere
(insieme), adunare, raccogliere in un luogo, ecc.”. Di conseguenza, come in latino abbiamo la
coppia *ex-ag-men / ag –men per
‘sciame’ (ma la lingua già operava delle scelte in vista di una maggiore
precisazione e chiarezza, preferendo magari *ex-ag-men ―cfr.it. sciame, fr. essaim ‘sciame’, sp. en-jambre
‘sciame’― al semplice ag-men ‘sciame’), così in uno stadio
anteriore del latino poteva aversi, a fianco del noto co-g-ĕre < *co-ag-ĕre ‘radunare, costringere’, il semplice ag-ĕre con lo stesso significato di
‘spingere (insieme, in un luogo)’, cioè ‘radunare, raccogliere’.
Mi sembra, inoltre, che Silvia Biselli, nel suo saggio, abbia trascurato
di confrontare il lat. ex-a-men ‘sciame, frotta’ con
l’omofono lat. ex-a-men ‘ago della bilancia, bilancia’ di tutt’altro significato:
anche questo termine presuppone un precedente *ex-ag-s-men, sostantivo
prodotto dalla radice di ag-ĕre ‘spingere’, uguale al gr. ág-ein ‘spingere’. Si tratta
sempre, all’origine, di una non meglio identificata spinta, la quale può
prestarsi (specializzandosi) ad indicare il
movimento dello sciame d’api, tra i tanti movimenti possibili, come visto
sopra. Nel significato di ‘ago della bilancia’ o semplicemente ‘bilancia’
evidentemente la radice AG- è partita, agli inizi, con l’indicare il movimento o la spinta del giogo della bilancia, che può oscillare pendendo da una
parte o dall’altra. Il lat. ex-ig-ĕre <* ex-ag-ĕre significa anche ‘pesare, valutare, giudicare’ (tra i
tanti altri significati specifici) come del resto anche il sopracitato gr. ág-ein, il quale presenta il significato
fondamentale di ‘spingere’, ma anche quello di ‘pesare’.
Nel corso del tempo sarà avvenuto l’incrocio tra il significato di giogo (asticciola metallica della bilancia da cui
pendono i due piatti) con un’altra asticciola più piccola: la lancetta che
serve ad indicare i vari pesi degli oggetti posti su uno dei piatti della
bilancia, e questo incrocio sarà stato favorito proprio dal significato che la
radice AG- aveva assunto,
cioè 'valutare, misurare, giudicare'.
E’ veramente stupendo constatare sempre lo stesso meccanismo all’origine
del linguaggio, meccanismo che fa sì che, partendo da nozioni molto generiche
di fondo, le parole acquisiscano, soprattutto mediante incroci con altre,
significati sempre più particolari e specifici, i quali ingannevolmente ci
inducono a credere che ogni parola sia nata per il referente che si trova ad
indicare, nello strato superiore del linguaggio o anche in uno strato intermedio. Grossissimo abbaglio.
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