martedì 21 luglio 2020

L’indoeuropeo: una ricostruzione verosimile?



 Propongo la lettura di due brani di un saggio di Silvia Biselli sulla verisimiglianza o meno dell'indoeuropeo ricostruito, seguiti da mie osservazioni.

 1) «Lo stesso discorso è valido per *bhagó-s, che ha dato origine a ‘faggio’ in germanico (a.a.t.buohha) e in latino (fāgus). Poiché in greco tale radice ha finito per denominare la quercia (φηγός) e in russo il sambuco (buz ), si è pensato a una migrazione dei popoli indoeuropei da zone  in   cui crescevano faggi a zone in cui essi non esistevano; tale radice sarebbe dunque stata assegnata ad alberi popolari nei nuovi terreni. Date le differenze di significato assunto nelle varie lingue, non v’è ragione di credere che l’albero inizialmente conosciuto dagli indoeuropei fosse il faggio e non la quercia, e che dunque la migrazione verso aree in cui crescevano faggi avrebbe portato Latini e Germani a designare con *bhagó-s il faggio.  La presenza del significato ‘faggio’ in latino e germanico non è sufficiente ad attribuire alla radice quello stesso significato; esso sarà allargato e disperso in un più ampio e generico panorama che assegna alla radice *bhagó-s il senso universale di ‘albero’». (pag. 37-8)


 2) «In base a quest’esempio si potrebbe rivedere il concetto di arbitrarietà del segno. Esso si presenta “arbitrario” quando le parole giungono a noi prive di trasparenza semantica e sono ormai diventate nomi-etichetta, senza più alcun rapporto giustificato con il denotato. Il caso del lat. exāmen ‘sciame’, analizzato da Belardi, illustra in modo ineccepibile questo concetto. Se per noi la parola
Exāmen non ha alcun motivo d’essere collegata al suo denotato, la ricostruzione di una forma protolatina*eks-ag-s-men (funzionale alla spiegazione del latino classico exāmen) sulla base di iouxmento,
forma arcaica attestata per iūmentum permette di far luce su quello che era ormai diventato un segno arbitrario: la parola *eksagsmen risulta così formata da:
-        Un prefisso *eks, con il significato di ‘uscire, andar via da’ (vedi
anche gr.ἐκ).
-       Una radice *ag- con il significato di ‘condurre’ (lat.ago, exigo;gr.ἄγω);
    -  Un suffisso -s-, forse usato per nomi che indicano il risultato di un agire, o per separare unità morfologiche;
    - Un secondo suffisso –men  che indica nome di cosa.  Così analizzata, la parola prende il significato di ‘ciò che esce fuori da’, locuzione che indica perfettamente l’azione di uno sciame di api che fuoriesce dal nido. L’evoluzione della parola avrebbe poi determinato la sua classificazione come parola immotivata. Sta di fatto, però, che l’analisi etimologica, come nel caso di ‘malaria’, non ci dà concrete informazioni sul referente cui si riferiscono i termini. Qualsiasi cosa può ‘uscire fuori da’: tutto ciò che sappiamo, possedendo il significato della forma classica exāmen, è
l’idea che i primi parlanti si erano fatti di uno sciame di api». (pag. 39-40)


               


    Si tratta, come ho detto, di due brani tratti dal saggio L’indeuropeo: una ricostruzione verosimile? di Silvia Biselli, apparso su Academia. edu, un sito dedicato alla condivisione di scritti di natura generalmente scientifica.  Sia ben chiaro che quello che sto per dire non è per mostrare quanto sono bravo, ma solo per evidenziare il fatto che fin dagli inizi della mia ricerca linguistica, pur non essendo un linguista di professione e non conoscendo la posizione di linguisti al riguardo, ero arrivato alla convinzione che il lat. fag-um ‘faggio’, ted. Buche ‘faggio’ e gr. phēg-όs ‘tipo di quercia’ dovevano rimandare ad una radice originaria col significato generico di ‘albero’.  La cosa l’ho dichiarata ripetutamente in alcuni articoli del mio blog. Grazie a questo saggio sono venuto a conoscenza del russo buz ‘sambuco’, sempre della stessa radice generica per ‘albero’.  Ho sicuramente, pertanto, qualche possibilità di cogliere nel segno se affermo che la stessa radice si ritrova nel secondo membro del  lat. sam-buc-u(m)  ‘sambuco’. Secondo un canone fondamentale della mia linguistica le parole sono formate da composti tautologici.  Per quanto riguarda,poi, il significato generico di fondo il greco stesso ci offre anche il caso di drỹs ‘albero, quercia’ e talora anche ‘olivo, pino’, che si ritrova nell’ingl. tree ‘albero’: la sua radice, agli inizi, non poteva che indicare l’albero in genere. Il greco ci offre anche altri casi di incertezza del significato di qualche  fitonimo.  A Pero dei Santi-Aq, un paese della valle Roveto, l’olmo è chiamato stranamente albero.
 
     Per quanto riguarda il lat. examen ‘sciame’  c’è da osservare che quasi tutti i termini, quando si può arrivare alla loro etimologia, indicano qualcosa di molto generico che riguarda anche tante altre entità oltre a quella del referente. Di conseguenza è vano credere che le cose abbiano ricevuto, all’inizio del linguaggio, il loro bel battesimo con un nome esclusivo che magari ne descrivesse l’essenza. Però è anche vero che ogni segno linguistico non era totalmente immotivato, nel senso che quel significato generico riguardava comunque il suo referente, anche se in maniera molto generica. Lo sciame era indicato in latino anche col termine ag-men ‘sciame (Virgilio), schiera, colonna di soldati in marcia, corso, stormo, ecc.’ senza nemmeno la precisazione dell’ex- ‘fuori da’ iniziale, sicchè  il significato originario di ag-men (dal verbo ag-ere ‘spingere, muoversi, ecc.’ era solo il ‘muoversi (di qualcosa, qualsiasi cosa)’. Il termine generico naturalmente tendeva, nel corso del tempo, a specializzarsi nel contesto di una locuzione e finiva magari per indicare, più o meno stabilmente, qualche referente particolare: se poi il significato della radice, nel frattempo, scompariva dall’orizzonte di una lingua (cosa che spesso capitava), quel termine finiva per restare strettamente appiccicato al suo referente, come se fosse nato solo per esso,  ma senza mostrarci il perché di quella stretta unione che sembrava immotivata. Queste sono riflessioni importantissime, a mio modesto avviso, perché ci portano dritto dritto all’origine del linguaggio, che a mio parere era costituito di parole genericissime nel significato, tanto che esse erano praticamente omosemantiche e potevano poi via via passare ad indicare le cose più diverse, per l’influenza e l’incrocio con altre parole simili nella forma, ma che avevano assunto altri significati. Ad esempio il lat. ag-men ‘sciame, frotta, stormo’, basato all’origine sul significato del verbo lat. ag-ĕre ‘spingere, muoversi’,  assunse quello di ‘gruppo in movimento’ perché dovette incrociarsi con termini come il gr. ag-élē ‘gregge, schiera, torma’ che io preferisco ricondurre, piuttosto che alla radice greca di ág-ein ‘spingere, condurre’ uguale a quella latina di ag-ĕre ‘spingere’, alla radice di gr. ag-eír-ein ‘adunare, raccogliere’, per la quale ultima i linguisti danno una spiegazione a mio avviso alquanto complicata, e, anche per questo, meno sicura.
   O forse è la nostra notevole miopia, generata dall’inveterata abitudine a distinguere, dividere, separare (abitudine assorbita dal linguaggio così come esso si presenta nel suo stadio maturo) a non farci vedere la sostanziale e primordiale uguaglianza tra il concetto di “spingere” e quello di “spingere (insieme), adunare, raccogliere in un luogo, ecc.”.  Di conseguenza, come in latino abbiamo la coppia *ex-ag-men / ag –men per ‘sciame’ (ma la lingua già operava delle scelte in vista di una maggiore precisazione e chiarezza, preferendo magari *ex-ag-men ―cfr.it. sciame, fr. essaim ‘sciame’, sp. en-jambre ‘sciame’―  al semplice ag-men ‘sciame’), così in uno stadio anteriore del latino poteva aversi, a fianco del noto co-g-ĕre < *co-ag-ĕre  ‘radunare, costringere’, il semplice ag-ĕre con lo stesso significato di ‘spingere (insieme, in un luogo)’, cioè ‘radunare, raccogliere’.
   Mi sembra, inoltre, che Silvia Biselli, nel suo saggio, abbia trascurato di confrontare il lat. ex-a-men ‘sciame, frotta’ con l’omofono lat. ex-a-men ‘ago della bilancia, bilancia’ di tutt’altro significato: anche questo termine presuppone un precedente *ex-ag-s-men, sostantivo prodotto dalla radice di ag-ĕre ‘spingere’, uguale al gr. ág-ein ‘spingere’.  Si tratta sempre, all’origine, di una non meglio identificata spinta, la quale può prestarsi (specializzandosi) ad indicare il movimento dello sciame d’api, tra i tanti movimenti possibili, come visto sopra. Nel significato di ‘ago della bilancia’ o semplicemente ‘bilancia’ evidentemente la radice AG-  è partita, agli inizi, con l’indicare il movimento o la spinta del giogo della bilancia, che può oscillare pendendo da una parte o dall’altra. Il lat. ex-ig-ĕre <* ex-ag-ĕre significa anche ‘pesare, valutare, giudicare’ (tra i tanti altri significati specifici) come del resto anche il sopracitato gr. ág-ein, il quale presenta il significato fondamentale di ‘spingere’, ma anche quello di ‘pesare’.
   Nel corso del tempo sarà avvenuto l’incrocio tra il significato di giogo  (asticciola metallica della bilancia da cui pendono i due piatti) con un’altra asticciola più piccola: la lancetta che serve ad indicare i vari pesi degli oggetti posti su uno dei piatti della bilancia, e questo incrocio sarà stato favorito proprio dal significato che la radice AG- aveva assunto, cioè 'valutare, misurare, giudicare'.
   E’ veramente stupendo constatare sempre lo stesso meccanismo all’origine del linguaggio, meccanismo che fa sì che, partendo da nozioni molto generiche di fondo, le parole acquisiscano, soprattutto mediante incroci con altre, significati sempre più particolari e specifici, i quali ingannevolmente ci inducono a credere che ogni parola sia nata per il referente che si trova ad indicare, nello strato superiore del linguaggio o anche in uno strato intermedio. Grossissimo abbaglio.
  







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