venerdì 12 febbraio 2021

Le nozioni latine di "immergere" ed "emergere" come quelle di "salire" e "scendere" non mi pare che siano state ben comprese dai linguisti.

 


    In latino i due verbi merg-ĕre ed  in-merg-ĕre hanno lo stesso significato di ‘immerger(si), tuffar(si), affondare, ecc,’  mentre e-merg-ĕre ha  quello di  ‘emergere, venire a galla, uscire, ecc.’.  I vocabolari etimologici in genere si limitano ad osservare seccamente che e-merg-ere è l’opposto di merg-ĕre ‘immergere, tuffare’ come se il fatto fosse evidente di per sé.  Ma non lo è affatto!  Come si può, di grazia, ricavare la nozione di venire a galla da quella di affondare  semplicemente premettendo una –e- di moto da luogo alla radice merg- che, ripeto, in latino significa ‘affondare’? Come può essere logicamente valido un passaggio semantico, ad esempio, dalla nozione di cadere  a  quella di sorgere, alzarsi semplicemente premettendo un prefisso di moto da luogo al verbo cadere? Al massimo, con quel prefisso potrei ottenere una nozione di cadere da (un punto non meglio precisato) ma   non potrei affatto ribaltare la nozione in quella di mettersi in piedi, alzarsi.  Lapalissiano! ma talora i linguisti tirano dritto e scivolano sopra queste osservazioni perché d’altronde non avrebbero nemmeno una risposta pronta alla questione, ma finiscono per assimilare erroneamente il fatto ai moltissimi casi di verbi preceduti dalle varie preposizioni, dove però non avviene mai un ribaltamento di significato, ma solo una messa a fuoco del significato di fondo.

    La soluzione a questa impasse si ottiene solo  supponendo, a mio parere, che il significato originario della radice merg- fosse non specifico ma generico, in questo caso quello di ‘movimento’, come avviene abbastanza spesso. Allora sì che e-merg-ĕre potrebbe significare senza difficoltà un ‘muoversi (da sotto verso la superficie)’ e il merg-ĕre potrebbe aver significato, all’origine, un ‘muoversi’ e basta specializzatosi poi, come chiaramente è avvenuto in in-merg-ĕre, nel ‘muoversi verso, nell’interno di qualcosa’.  Un indizio, per quanto vago, si può scorgere nel termine latino com-merc-iu(m) ‘commercio, traffico, ecc.’ ma che significa, un po’ stranamente, anche ‘cammino, via’ in Lucano, Plinio e altri.  E forse è proprio questa idea di “movimento” ribadita da quella di “mutamento” e “scambio” ad essere alla base dei termini latini ruotanti intorno alla nozione di commercio.  Del resto anche marcia, parola derivante dal francese, a sua  volta da un presunto franco *mark-ōn ‘lasciare una traccia, un segno’, viene connessa o ad un’idea di “calpestare, premere i piedi” o a quella di ‘camminare’ tout court , idee che chiaramente, a mio modesto avviso, ne presuppongono una di “spingere”, per lasciare un’ impronta, appunto, o semplicemente per spingersi in avanti, muoversi. La marca ‘territorio’ e ‘paese di confine’ è sempre un prodotto di questa radice che si ritrova nel ted. Mark ‘confine, territorio’. Nel latino ha dato margo, inis ‘margine, riva, confine’. 

   Ad Aielli c’è una contrada chiamata Màrjënë< *margine(m) ‘margine’(italianizzata in Le margini al femminile ma potrebbe trattarsi anche di un singolare neutro ), una fascia che si svolge lungo la linea di confine tra una costa piuttosto brulla e un terreno più o meno pianeggiante, ai suoi piedi, il quale si estende fino a quella che fu  la riva del lago Fucino, a circa un chilometro di distanza.  Così, questo toponimo non può significare altro che ‘margine, confine’, ma non in riferimento all’ex  lago abbastanza distante, bensì proprio rispetto alla costa di cui si è detto.  A meno che il termine si riferisse inizialmente proprio alla costa e indicasse, quindi, il suo emergere dal piano sottostante: nella Sardegna centro-occidentale c’è il noto territorio del Margh-ine così chiamato, molto probabilmente, proprio dalla catena de Margh-ine che l’attraversa. Esistevano ad Aielli i cosiddetti Casareni di San Marco sulla sommità del monte Sécine, ma  anche la chiesetta di San Marco dei Celestini, all’interno delle famose Gole di Aielli-Celano. In questo caso mi viene facile ricondurre la denominazione di questa chiesetta a quello che dové essere stato uno dei nomi delle Gole nel lontano passato, per questo passaggio montano che collegava la zona antistante le Gole o Foci di Aielli-Celano (ricadente interamente nel territorio di Aielli) al paese di Ovindoli.  In Sardegna la radice ricorre anche per indicare promontori come Capo  San Marco (Oristano) e Punta Margin-etto  nell’isola della Maddalena. 

    Ed ora viene il bello, con l’analisi delle nozioni di salire e di scendere , apparentemente opposte soprattutto per la mentalità di noi uomini d’oggi abituati alle sottigliezze scientifiche della  modernità. Ma il nostro cervello ha agganci, non eliminabili, col lontano passato della sua vita.   Come per le nozioni di merg-ĕre ‘affondare, immergere’ e di e-merg-ĕre ‘emergere, affiorare’ sopra esaminate, così in latino abbiamo uno scand-ĕre ‘salire’ e un de-scend-ĕre ‘scendere’. I soliti linguisti naturalmente si limitano a far notare la indiscutibile presenza deila stessa radice nei due verbi senza lontanamente accennare a come mai sia stato possibile il ribaltamento attuato dal significato di discendere, fatto che , se appena ci si riflette un po’ su, dovrebbe suscitare almeno una nostra insoddisfatta perplessità.  A dire il vero il Devoto, nel suo Avviamento all’etimologia italiana,  rimanda anche a Scala dove egli afferma che la radice scand- aveva un significato originario di ‘mettersi in movimento’, attestato anche nell’area celtica ed indiana.  Ma il De Mauro, nel suo vocabolario, dando l’etimo di it. di-scend-ere, si lascia andare ad un’osservazione che non sta né in cielo né in terra:  il de- del latino de-scendere avrebbe valore di azione contraria! Ma la prep. de, che regge l’ablativo, non assume mai una simile valore dinanzi a nomi e nemmeno dinanzi a verbi, dove al massimo può assumere una funzione privativa, ma non di suscitatrice di significati opposti a quelli della radice base! Inoltre il discendere come bisognerebbe intenderlo alla luce della logica della sua affermazione, forse come un contro-salire? Ma che modo barbaro dispiegare le cose! E’ mai possibile che una lingua, che pure non è nata ieri ma esiste  da molti millenni, non abbia saputo trovare la radice semplice e diretta per il concetto di “scendere”?

     Anche  in questo caso, come per il precedente, la soluzione più naturale e vera si trova convincendosi, dati alla mano, che il valore primitivo di lat. scand-ĕre ‘salire’ era quello di ‘mettersi in moto’ verso qualsiasi direzione. La specializzazione successiva già presente nel lat. scand-ĕre ‘salire’ ha finito per confondere la mente di chi ha una visione sostanzialmente sincronica della lingua, e non sospetta nemmeno che in una fase diacronica precedente a quella del latino classico, i significati potevano essere diversi e, soprattutto, che le relazioni tra le parole potevano non essere le stesse dell’ultima fase. 

    Comunque, per non farla troppo lunga, in latino esiste anche il verbo e-scend-ĕre ‘salire’, con il prefisso –e- che indica sostanzialmente il luogo o il punto da cui si esce o ci si allontana. Ora, da Cornelio Nepote prendiamo un e-scend-ĕre in navem  che significa ‘salire sulla nave, imbarcarsi’ e questo sembrerebbe confermare la visione dei linguisti ma, sorprendentemente  in latino si incontra anche il sostantivo e-scensi-on(em) che significa il contrario, cioè ‘approdo,sbarco, discesa dalla nave’: è di Livio la frase escensionem facere ab navibus in terram ‘scendere in terra dalle navi’.  Ecco dimostrato, col latino stesso, che il valore originario di questa radice scand-, scend- era quello di generico ‘movimento’.  E tutto, finalmente, torna ad essere più logico. E’ vero la radice scand-, scend- in latino si era specializzata ad indicare il movimento in salita ma qualcosa le era sfuggito con quell’e-scension-e(m) ‘sbarco’ di significato opposto. Come mai? Le vie della Lingua sono molte: la parola con radice di senso opposto poteva, ad esempio, essere affiorata nello strato superiore della lingua emergendo da quelli inferiori, o addirittura poteva essere pervenuta in essa come imprestito da qualche parlata vicina o lontana. E’ bene  così dare una scossa, senza presunzione, ai linguisti che non vogliono capire, o forse dimenticano spesso, quanto mobili siano i significati delle radici delle parole, non ancora sclerotizzate dalla più o meno rigida trama di rapporti che una Lingua ha pur dovuto tessere intorno a loro per poterle indurre mano mano a significati più precisi ed esclusivi, necessari per una più chiara comprensione del pensiero degli uomini.  

   E passiamo al gr. kόlymb-os ‘mergo’. La parola è interessante perché è la stessa del lat. col-umb-u(m) ‘colombo’ i linguisti continuano a prediligere per essa una radice indicante il colore grigiastro o nerastro delle penne del colombo e dello smergo.  Ma, come al solito, io penso che il significato originario del nome fosse quello di ‘animale, uccello’ e simili.  Nel greco il nome si incrociò con la radice del verbo kolymbá-ein  ‘tuffarsi, nuotare’ e la sua sorte fu segnata, diventando senz’altro un ‘mergo’ o smergo’, l’uccello degli anatidi che è solito tuffarsi nelle acque di fiumi, laghi e mare per agguantare i pesci.  A me pare che questa radice possa coincidere con quella dell’ingl. climb (con sincope della –o- atona) che da sola, o seguita dall’avverbio up ’su’, vale ‘salire, arrampicarsi’  mentre, se accompagnata dall’avverbio down ‘giù’, vale ‘discendere, calarsi’. Addirittura il verbo può indicare il mettersi o il togliersi un indumento con un certo sforzo come se si trattasse di entrare o uscire da esso : le relative espressioni sono infatti climb into (dentro) e climb out (fuori).  Ci risiamo! Allora il significato primitivo doveva essere quello di ‘mettersi in moto, muoversi, spingersi’, come è successo per i precedenti verbi.

   L’italiano palombaro, che dà filo da torcere ai linguisti, potrebbe risolversi molto più facilmente se solo si  conoscessero capillarmente tutti i dialetti italiani, dove si troverebbero certamente termini interessanti al riguardo.  Ora, c’è il verbo ingl. plump il cui significato ruota intorno a quello di ‘cadere, abbattersi pesantemente, sbattere’ che certamente fa al caso nostro. Si potrebbe supporre un originario *p(a)lump ‘cadere abbattersi’ con la caduta (sincope) della –a- atona.  Anzi, andando su internet e cercando il dizionario etimologico inglese online, mi  sono trovato con enorme sorpresa dinanzi ad un significato, per plump, come questo: ‘cadere (in acqua) o colpire qualcosa con forza’. La radice è abbastanza comune tra quelle germaniche del passato e presente.  Forse lo stesso italiano piombare, nel senso di ‘abbattersi dall’alto su qualche preda da parte di uccelli predatori’, deve essere considerato un rampollo di questa radice incrociatasi con quella di lat. plumb-u(m) ‘piombo’ e con l’espressione filo a piombo, nel senso di ‘filo a perpendicolo’.  Comunque è certamente straordinario un termine calabrese, non so di quale zona della regione, tratto dal web, cioè palumm-are che significa, a detta di un calabrese, ‘vomitare’. 

    Ora per cercare di capire l’origine del significato di ‘vomitare ‘ della radice suddetta è utile, a mio avviso, riflettere un po’ sui significati che in spagnolo presenta la parola palom-illa ’farfallina notturna, tignola del grano, staffa triangolare per mensole, groppa (di cavallo), onde schiumose (al plurale)’.  Ora, la staffa triangolare per mensole si ritrova, tale e quale, nella voce dialettale aiellese,  e di altri paesi, palummèlla,  la quale indica il travicello, aggettante dal muro e ancorato alle travi del tetto, con la funzione di sostenere la gronda di una casa.  Io credo che la parola esistesse già nel latino parlato e che non derivi quindi dallo spagnolo.  Si tratta, dunque, di qualcosa che protrude, aggetta, e che può pertanto indirettamente, ma sorprendentemente, spiegare anche il palumm-are ‘vomitare’ calabrese che è, appunto, un rigettare. La nozione di spinta anima queste parole, compresa la groppa (di cavallo) che è una sorta di protuberanza come   l’onda schiumosa. E allora l’it. palombaro  non può intendersi, secondo me, che come colui che si ‘protende, si spinge, si getta  immergendosi  nell’acqua.

Pal-umb-u(m), pal-umb-e(m), pal-umb-a(m) sono i termini latini   per ‘palombo, colombo’ che probabilmente sostituiscono con la radice pal- quella di col- del lat. col-umb-u(m) ‘colombo’, sempre con lo stesso valore primitivo di ‘animale’ e non di ‘colore grigiastro’ della sua livrea. A Napoli la palummella è appunto la ‘farfalla’: presa dallo spagnolo o autoctona? Ambedue le ipotesi sono valide, fino a prova contraria.  C’è una nota canzoncina napoletana di origine popolare intitolata Palummella zompa e vola, ‘Farfallina salta e vola’. Anche qui appare un ‘saltare’ che potrebbe essersi inserito nel testo dal significato di un verbo, corradicale di palummella, già esistente nel dialetto e simile a quello di ‘tuffarsi, immergersi’.

   

  

    

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