In latino i due verbi merg-ĕre ed in-merg-ĕre hanno lo stesso significato di ‘immerger(si),
tuffar(si), affondare, ecc,’ mentre e-merg-ĕre ha quello
di ‘emergere, venire a galla, uscire,
ecc.’. I vocabolari etimologici in
genere si limitano ad osservare seccamente che e-merg-ere è l’opposto
di merg-ĕre ‘immergere, tuffare’ come se il fatto fosse evidente
di per sé. Ma non lo è affatto! Come si può, di grazia, ricavare la nozione
di venire a galla da quella di affondare semplicemente premettendo una –e- di moto da luogo alla radice merg-
che, ripeto, in latino significa ‘affondare’? Come può essere logicamente
valido un passaggio semantico, ad esempio, dalla nozione di cadere a
quella di sorgere, alzarsi semplicemente premettendo un
prefisso di moto da luogo al verbo cadere?
Al massimo, con quel prefisso potrei ottenere una nozione di cadere da (un punto non meglio precisato) ma
non potrei affatto ribaltare la nozione in quella di mettersi in piedi, alzarsi. Lapalissiano! ma talora i linguisti
tirano dritto e scivolano sopra queste osservazioni perché d’altronde non
avrebbero nemmeno una risposta pronta alla questione, ma finiscono per
assimilare erroneamente il fatto ai moltissimi casi di verbi preceduti dalle
varie preposizioni, dove però non avviene mai un ribaltamento di significato,
ma solo una messa a fuoco del significato di fondo.
La soluzione a questa impasse
si ottiene solo supponendo, a mio
parere, che il significato originario della radice merg- fosse non specifico
ma generico, in questo caso quello di ‘movimento’, come avviene abbastanza
spesso. Allora sì che e-merg-ĕre potrebbe significare senza difficoltà un ‘muoversi (da
sotto verso la superficie)’ e il merg-ĕre potrebbe aver significato, all’origine, un ‘muoversi’
e basta specializzatosi poi, come chiaramente è avvenuto in in-merg-ĕre, nel ‘muoversi verso, nell’interno di qualcosa’. Un indizio, per quanto vago, si può scorgere
nel termine latino com-merc-iu(m) ‘commercio, traffico,
ecc.’ ma che significa, un po’ stranamente, anche ‘cammino, via’ in Lucano,
Plinio e altri. E forse è proprio questa
idea di “movimento” ribadita da quella di “mutamento” e “scambio” ad essere
alla base dei termini latini ruotanti intorno alla nozione di commercio. Del resto anche marcia, parola derivante
dal francese, a sua volta da un presunto
franco *mark-ōn ‘lasciare una traccia, un segno’, viene connessa o ad un’idea
di “calpestare, premere i piedi” o a quella di ‘camminare’ tout court , idee
che chiaramente, a mio modesto avviso, ne presuppongono una di “spingere”, per lasciare un’ impronta, appunto, o
semplicemente per spingersi in avanti,
muoversi. La marca ‘territorio’ e ‘paese di confine’ è sempre un prodotto di
questa radice che si ritrova nel ted. Mark ‘confine, territorio’. Nel
latino ha dato margo, inis ‘margine, riva, confine’.
Ad Aielli c’è una contrada chiamata Màrjënë< *margine(m) ‘margine’(italianizzata
in Le margini al femminile ma
potrebbe trattarsi anche di un singolare neutro ), una fascia che si svolge
lungo la linea di confine tra una costa piuttosto brulla e un terreno più o
meno pianeggiante, ai suoi piedi, il quale si estende fino a quella che fu la riva del lago Fucino, a circa un chilometro
di distanza. Così, questo toponimo non
può significare altro che ‘margine, confine’, ma non in riferimento all’ex lago abbastanza distante, bensì proprio rispetto
alla costa di cui si è detto. A meno che il termine si riferisse
inizialmente proprio alla costa e
indicasse, quindi, il suo emergere dal piano sottostante:
nella Sardegna centro-occidentale c’è il noto territorio del Margh-ine così chiamato, molto probabilmente,
proprio dalla catena de Margh-ine che l’attraversa.
Esistevano ad Aielli i cosiddetti Casareni
di San Marco sulla sommità del monte Sécine, ma anche la chiesetta di San Marco dei Celestini, all’interno delle famose Gole di
Aielli-Celano. In questo caso mi viene facile ricondurre la denominazione di
questa chiesetta a quello che dové essere stato uno dei nomi delle Gole nel
lontano passato, per questo passaggio montano che collegava la zona antistante
le Gole o Foci di Aielli-Celano (ricadente interamente nel territorio di
Aielli) al paese di Ovindoli. In
Sardegna la radice ricorre anche per indicare promontori come Capo San Marco (Oristano) e Punta Margin-etto
nell’isola della Maddalena.
Ed ora
viene il bello, con l’analisi delle nozioni di salire e di scendere ,
apparentemente opposte soprattutto per la mentalità di noi uomini d’oggi
abituati alle sottigliezze scientifiche della
modernità. Ma il nostro cervello ha agganci, non eliminabili, col
lontano passato della sua vita. Come per
le nozioni di merg-ĕre ‘affondare,
immergere’ e di e-merg-ĕre ‘emergere, affiorare’ sopra esaminate, così in latino
abbiamo uno scand-ĕre ‘salire’ e
un de-scend-ĕre ‘scendere’. I soliti linguisti naturalmente si
limitano a far notare la indiscutibile presenza deila stessa radice nei due
verbi senza lontanamente accennare a come mai sia stato possibile il
ribaltamento attuato dal significato di discendere,
fatto che , se appena ci si riflette un po’ su, dovrebbe suscitare almeno una nostra
insoddisfatta perplessità. A dire il vero
il Devoto, nel suo Avviamento
all’etimologia italiana, rimanda
anche a Scala dove egli afferma che
la radice scand- aveva un significato originario di ‘mettersi in
movimento’, attestato anche nell’area celtica ed indiana. Ma il De Mauro, nel suo vocabolario, dando
l’etimo di it. di-scend-ere, si lascia andare ad un’osservazione che non sta né
in cielo né in terra: il de- del latino de-scendere avrebbe valore di azione contraria! Ma la prep. de, che regge l’ablativo, non assume
mai una simile valore dinanzi a nomi e nemmeno dinanzi a verbi, dove al massimo
può assumere una funzione privativa, ma non di suscitatrice di significati
opposti a quelli della radice base! Inoltre il discendere come bisognerebbe intenderlo alla luce della logica della
sua affermazione, forse come un contro-salire?
Ma che modo barbaro dispiegare le cose! E’ mai possibile che una lingua, che
pure non è nata ieri ma esiste da molti millenni,
non abbia saputo trovare la radice semplice e diretta per il concetto di
“scendere”?
Anche in questo caso, come per il precedente, la
soluzione più naturale e vera si trova convincendosi, dati alla mano, che il
valore primitivo di lat. scand-ĕre ‘salire’ era quello di ‘mettersi in moto’ verso qualsiasi
direzione. La specializzazione successiva già presente nel lat. scand-ĕre ‘salire’ ha finito per confondere
la mente di chi ha una visione sostanzialmente sincronica della lingua, e non
sospetta nemmeno che in una fase diacronica precedente a quella del latino
classico, i significati potevano essere diversi e, soprattutto, che le
relazioni tra le parole potevano non essere le stesse dell’ultima fase.
Comunque, per non farla troppo lunga, in latino esiste anche il verbo e-scend-ĕre
‘salire’, con il prefisso –e- che indica sostanzialmente il
luogo o il punto da cui si esce o ci si allontana. Ora, da Cornelio Nepote prendiamo
un e-scend-ĕre
in navem che significa ‘salire sulla
nave, imbarcarsi’ e questo sembrerebbe confermare la visione dei linguisti ma,
sorprendentemente in latino si incontra
anche il sostantivo e-scensi-on(em) che significa il
contrario, cioè ‘approdo,sbarco, discesa dalla nave’: è di Livio la frase escensionem facere ab navibus in terram
‘scendere in terra dalle navi’. Ecco
dimostrato, col latino stesso, che il valore originario di questa radice scand-,
scend-
era quello di generico ‘movimento’.
E tutto, finalmente, torna ad essere più logico. E’ vero la radice scand-, scend- in latino si era specializzata ad indicare il movimento in salita ma qualcosa le era
sfuggito con quell’e-scension-e(m) ‘sbarco’ di significato opposto. Come mai? Le vie
della Lingua sono molte: la parola con radice di senso opposto poteva, ad
esempio, essere affiorata nello strato superiore della lingua emergendo da
quelli inferiori, o addirittura poteva essere pervenuta in essa come imprestito
da qualche parlata vicina o lontana. E’ bene così dare una scossa, senza presunzione, ai
linguisti che non vogliono capire, o forse dimenticano spesso, quanto mobili
siano i significati delle radici delle parole, non ancora sclerotizzate dalla
più o meno rigida trama di rapporti che una Lingua ha pur dovuto tessere
intorno a loro per poterle indurre mano mano a significati più precisi ed
esclusivi, necessari per una più chiara comprensione del pensiero degli uomini.
E
passiamo al gr. kόlymb-os ‘mergo’. La parola è interessante
perché è la stessa del lat. col-umb-u(m) ‘colombo’ i
linguisti continuano a prediligere per essa una radice indicante il colore grigiastro o nerastro delle penne del colombo e dello smergo. Ma, come al solito, io penso che il
significato originario del nome fosse quello di ‘animale, uccello’ e
simili. Nel greco il nome si incrociò
con la radice del verbo kolymbá-ein ‘tuffarsi, nuotare’ e
la sua sorte fu segnata, diventando senz’altro un ‘mergo’ o smergo’, l’uccello
degli anatidi che è solito tuffarsi nelle acque di fiumi, laghi
e mare per agguantare i pesci. A me pare
che questa radice possa coincidere con quella dell’ingl. climb (con sincope
della –o- atona) che da sola, o seguita dall’avverbio up ’su’,
vale ‘salire, arrampicarsi’ mentre, se
accompagnata dall’avverbio down ‘giù’, vale ‘discendere,
calarsi’. Addirittura il verbo può indicare il mettersi o il togliersi un
indumento con un certo sforzo come se si trattasse di entrare o uscire da esso
: le relative espressioni sono infatti climb into (dentro) e climb out
(fuori). Ci risiamo! Allora il
significato primitivo doveva essere quello di ‘mettersi in moto, muoversi,
spingersi’, come è successo per i precedenti verbi.
L’italiano palombaro, che dà filo da torcere ai linguisti, potrebbe
risolversi molto più facilmente se solo si
conoscessero capillarmente tutti i dialetti italiani, dove si
troverebbero certamente termini interessanti al riguardo. Ora, c’è il verbo ingl. plump il cui significato
ruota intorno a quello di ‘cadere, abbattersi pesantemente, sbattere’ che
certamente fa al caso nostro. Si potrebbe supporre un originario *p(a)lump
‘cadere abbattersi’ con la caduta (sincope) della –a- atona. Anzi, andando su internet e cercando il dizionario
etimologico inglese online, mi sono
trovato con enorme sorpresa dinanzi ad un significato, per plump, come questo: ‘cadere (in acqua)
o colpire qualcosa con forza’. La radice è abbastanza comune tra quelle
germaniche del passato e presente. Forse
lo stesso italiano piombare, nel
senso di ‘abbattersi dall’alto su qualche preda da parte di uccelli predatori’,
deve essere considerato un rampollo di questa radice incrociatasi con quella di
lat. plumb-u(m) ‘piombo’ e con l’espressione filo a piombo, nel senso di ‘filo a
perpendicolo’. Comunque è certamente
straordinario un termine calabrese, non so di quale zona della regione, tratto
dal web, cioè palumm-are che
significa, a detta di un calabrese, ‘vomitare’.
Ora
per cercare di capire l’origine del significato di ‘vomitare ‘ della radice
suddetta è utile, a mio avviso, riflettere un po’ sui significati che in
spagnolo presenta la parola palom-illa ’farfallina notturna, tignola del grano, staffa triangolare
per mensole, groppa (di cavallo), onde schiumose (al plurale)’. Ora, la staffa triangolare per mensole si
ritrova, tale e quale, nella voce dialettale aiellese, e di altri paesi, palummèlla, la quale indica il travicello, aggettante dal
muro e ancorato alle travi del tetto, con la funzione di sostenere la gronda di
una casa. Io credo che la parola
esistesse già nel latino parlato e che non derivi quindi dallo spagnolo. Si tratta, dunque, di qualcosa che protrude, aggetta, e che può pertanto indirettamente, ma sorprendentemente,
spiegare anche il palumm-are ‘vomitare’
calabrese che è, appunto, un rigettare. La nozione di spinta anima queste parole, compresa la groppa (di cavallo) che è una sorta di
protuberanza come l’onda
schiumosa. E allora l’it. palombaro non può intendersi, secondo me, che come
colui che si ‘protende, si spinge, si getta
immergendosi nell’acqua.
Pal-umb-u(m), pal-umb-e(m), pal-umb-a(m)
sono i termini latini per ‘palombo,
colombo’ che probabilmente sostituiscono con la radice pal- quella di col-
del lat. col-umb-u(m)
‘colombo’, sempre con lo stesso valore primitivo di ‘animale’ e non di ‘colore
grigiastro’ della sua livrea. A Napoli la palummella
è appunto la ‘farfalla’: presa dallo spagnolo o autoctona? Ambedue le ipotesi
sono valide, fino a prova contraria. C’è
una nota canzoncina napoletana di origine popolare intitolata Palummella zompa e vola, ‘Farfallina
salta e vola’. Anche qui appare un ‘saltare’ che potrebbe essersi inserito nel
testo dal significato di un verbo, corradicale di palummella, già esistente nel dialetto e simile a quello di
‘tuffarsi, immergersi’.
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