Non tutti sanno che i Sardi arricciano il naso, o addirittura si
offendono, quando qualcuno, invece di chiamarli Sardi usa il termine Sardegnoli
, che è anche italiano se riferito ad animali.
Sembra strano ma per loro sardegnolo
vale ‘asino, asinello’ e non perché il nome è sentito come derivante dalla
radice di Sardegna, ma perché esso indica direttamente l’animale asino, nonostante il fatto che il loro
asino appartenga ad una razza particolare, piuttosto piccola, tipica della
Sardegna.
Questa considerazione è secondo me molto importante perché dovrebbe
escludere, appunto, la derivazione del nome in questione da quello della Sardegna. Anche se i Sardi quando ci
riflettono, probabilmente non possono fare a meno di mettere in qualche modo in
connessione le due parole, ma allora non dovrebbero offendersi: si offendono
perché nella loro coscienza profonda non esiste nessun rapporto tra il sardignolu ‘asinello’ e la Sardegna, come invece avviene per
l’etnico sardegnolo, sardagnolo, sardignolo usato in varie parti del continente. Nel dialetto sardo
non si incontra un simile etnico ma solo sardu,
che io sappia. Questo fatto è, secondo
me, una spia concreta dell’autonomia originaria del termine sardignolu ‘asinello’ rispetto al nome
della Sardegna.
Lo stesso ragionamento vale, secondo me, per il termine sarda,
sardina che tutti collegano alla Sardegna (lat. Sardini-am), anche se non risulta che presso
quell’isola il detto pesce sia particolarmente diffuso. A rompere l’incanto basterebbe, secondo i principi
della mia linguistica, il nome volgare sart-èlla indicante l’ ‘alzavola’,
o il nome volgare sart-agn-òla riferito
alla ‘sterpazzola’[1]. Il significato di questa radice sard- sart- doveva pertanto essere all’origine quello generico di
‘animale’, rispuntante anche nel sard-ign-olo ‘asino’ di cui si parla.
Dato il principio della composizione tautologica delle parole nella mia
linguistica, la componente -ign-olo dovrebbe richiamare il lat. hinn-ul-u(m) ‘muletto, cerbiatto’ e il gr. ínn-os ‘muletto’, connesso con gr. όn-os ‘asino’ e col secondo membro di lat. as-in-u(m)
‘asino’. Il tutto incrociato con il lat.
Sard-ini-a(m) ‘Sardegna’
naturalmente. Il suffisso –olo
dovrebbe essere un normale diminutivo.
Alla luce di tutto ciò io sarei del parere di interpretare la
denominazione della famosa sart-iglia, corsa di cavalli
che si svolge in diverse città della Sardegna, come indicante proprio una
‘corsa di cavalli’, una ‘sfilata di cavalli’ o una ‘cavalcata’. Il nome di una manifestazione così importante, e
senz’altro risalente a tempi preistorici quando i cavalli, i muli e gli asini
erano di vitale importanza per l’agricoltura, non può assolutamente prendere il
nome dallo spagnolo sortija ‘anello’ riferito ai tondini (stelle) che i giostratori
della sart-iglia debbono
imbroccare.
Infine, quanto ho detto sulla voce sarda sardegnolu ‘asino’ mi sembra possa essere confermato dal toponimo
fiorentino Sardigna, esistente almeno
dai tempi del Boccaccio (ma naturalmente la sua origine doveva essere
remotissima), e che ora corrisponde al quartiere dell’Isolotto. Era in passato una zona disabitata, brulla e
soggetta ad impaludamento, appena fuori la porta di San Frediano lungo l’Arno,
dove venivano buttate le carcasse di animali morti. Anzi, il letterato
fiorentino Paolo Minucci (sec. XVII) nelle Note
al Malmantile racquistato, poema eroicomico di Lorenzo Lippi, parlando
della Sardigna di Firenze precisava “[…] luogo fuori delle mura di Firenze,
così detto pel fetore che quivi sempre si sente, a causa delle bestie del piè
tondo, che morte si fanno in quel luogo scorticare […]”.
E la precisazione viene ripresa nel vocabolario Treccani, presente in
rete, quando si osserva che in quella località di Firenze si gettavano carogne
di cavalli, muli ed asini: tutti i solidungoli (bestie del piè tondo), dunque.
Mi pare strano che non vi si gettassero anche le carcasse dei bovini, ad
esempio. La località fiorentina prendeva
il nome Sardigna, secondo il parere comune,
da quello dell’isola della Sardegna la quale, in passato, andava soggetta alla
malaria in alcune sue zone. Ma perché arrivare fino in Sardegna se nella stessa
penisola esistevano le così dette Paludi
Pontine, vasto territorio malsano nel Lazio bonificato da Mussolini?
Il problema fondamentale, a mio avviso, soprattutto quando si tratta di
spiegare i toponimi, è sempre lo stesso:
ogni radice ha un significato originario molto generico, da cui si
dipartono, nel corso dei millenni, specializzazioni quasi irriconoscibili. In latino, ad esempio, esisteva anche il raro
verbo sard-are ‘comprendere’. Io suppongo, ma solo in linea teorica, che la
radice in questo caso avesse acquisito il significato di lat. co(n)-nect-ĕre ’intrecciare, collegare,
connettere’, e lo desumo dalla voce sard-ara (vocab. Devoto-Oli) che indica un tipo di rete da pesca per
catturare magari le sarde. Ma il nome
doveva aver avuto, all’origine, il significato generico di “rete”, cioè di
“fili intrecciati insieme”. La sardana in Catalogna indica infatti una
vivace danza in cui i partecipanti si tengono
per mano in circolo, cioè restando come intrecciati tra loro.
[1] Cfr.
Devoto-Oli, Vocabolario illustrato della
lingua italiana, editore Le Monnier, Firenze, 1967.
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