domenica 7 febbraio 2021

Una vera e propria perla del dialetto di Luco dei Marsi, cioè corë-ìttë ‘germoglio di legume o di castagna’.

 


    

    Sappiamo che i cereali traggono il nome dalla stessa radice della divinità romana delle messi e dell’agricoltura chiamata Cerere, lat. Cer-er-e(m) corrispondente alla dea greca DemetraLa radice ker(e), kre è abbastanza produttiva e si ritrova, in latino, nel verbo cre-are ‘creare, causare, produrre, ecc.’ e nel verbo cre-sc-ĕre ‘crescere, nascere, ingrandirsi, ecc.’; in greco si ritrova nella variante kór-os ‘sazietà’ e in altre parole che subito vedremo.  Kόrē era la figlia di Demetra chiamata anche Persefone, Proserpina in latino.  Kόr-os significava anche ‘figlio, fanciullo, giovinetto’, riallacciandosi così all’idea di “creatura” ma significava anche ‘rampollo, stelo, giunco’  i quali sono creature, appunto, della Natura.  Lo stesso meccanismo abbiamo visto operare nel termine gr. kȳma ‘onda, rampollo, stelo, feto’ di cui all’articolo precedente La cima, dove ho citato anche l’abr. cimi-céllë  ‘bambinetto’ che rientra nella radice in questione.

    Ora è chiaro, a mio avviso, che il luchese corë-ìttë ‘germoglio di legume o di castagna’[1] è un altro suo derivato, col suffisso diminutivo –ittë.  Si può subito notare che è un po’ strana questa forma corë-itte usata al posto di quella che sembrerebbe più naturale , cioè *cor-ittë, con la caduta della vocale indistinta,  dato che di norma il suffisso –ìttë si aggiunge direttamente al tema della parola, esclusa la desinenza, come nei dialettali pal-ittë ’paletto’, mul-ìttë ’muletto’, ecc.  E’ incredibile! anche questo fatto ha secondo me una spiegazione: la parola greca kόr-os fanciullo, giovine, rampollo, stelo’ da cui il termine luchese deriva in realtà presentava un digamma dopo la liquida –r- (come attestano dialetti greci diversi dall’attico), sicchè essa dovè sviluppare una semivocale simile alla –v- latina assumendo la forma *corv-ìttë, pronunciata come *coru-ìttë e quindi corë-ìttë secondo le norme del dialetto luchese dove una vocale atona si trasforma spesso in vocale indistinta –ë-, come in checùlë ‘cuculo’, cùchema ‘cuccuma’, ecc.  La pronuncia di semivocale della fricativa sonora –v-, simile a quella della nostra –u- (fatto normale in latino), è molto viva nel dialetto di Trasacco-AQ, vicinissimo al paese di Luco dei Marsi.  Non è possibile, però, escludere del tutto che la parola in questione derivasse da una forma antecedente *core-a o *core-o l cui –e- faceva parte del tema e non della desinenza, come può attestare il termine  del dialetto di Avezzano core-òla o curi-òla ( come ad Aielli) ‘erba selvatica, raccolta per sfamare gli animali’ . Questa voce dovette incrociarsi con lat. cori-u(m) ‘cuoio, pelle’ perché l’erba si sviluppava in lunghi lacci. 

     Ma le meraviglie non finiscono qui!  Il significato di corë-ìttë specifica che si tratta di germoglio di legume o di castagna : come mai?  Non sarà certo un caso se in greco si incontra un kόr-kor-os ‘legumi selvatici’ con radice raddoppiata e uguale a quella del suddetto gr. kόr-os ’fanciullo, rampollo, stelo’ e non sarà ugualmente un caso se si incontra un gr. kárƴ-on ’noce’ dalla radice simile a quella di kór-os e usata anche per indicare le castagne.  Nella lingua tutto ha una spiegazione e le parole (coi loro significati) non vivono in un ambiente asettico durante la loro lunga esistenza ma sono spesso modellate da altre, in specie simili nella forma, con cui vengono a contatto, fino a diventare, a volte, irriconoscibili.

    Passando ad altro, penso che il gr. kόris ‘cimice’ sia da intendere come germe, allo stesso modo del lat. cimic-e(m) ‘cimice’ derivante dalla radice di gr. kȳma ‘germoglio’: cfr. l’articolo precedente La cima. Ma kόris vale anche ‘iperico’, una pianta erbacea il cui concetto può rientrare quindi in quello generico di “germoglio”, e significa anche ‘sogliola’, il noto pesce, il cui concetto deve essere incluso, secondo il mio modo di vedere, in quello di “germe” o, meglio, di “animaletto”.

      Una notazione toponomastica: a questo punto è chiaro che i vari Monte Corvo in Italia non vanno banalmente spiegati supponendo che il nome sia il risultato della frequenza di questi uccelli in quei monti, ma rendendosi conto che anch’essi sono una manifestazione della radice di cui è questione, col valore di base di ‘creare, crescere, far crescere, innalzare’ come nel gr. corýss-ein ‘innalzare, ingrossarsi’ e nel gr. kόrys, ythos ‘testa, elmo’, gr. kόrthys  ‘elevazione, cumulo’, gr. koryphé (anche neutro kόryphos) ’cima’.  I corvi, in questi casi, hanno svolto la stessa funzione e tutti i loro  altri nomi indeuropei non derivano da una radice onomatopeica esprimente il ‘gracchiare’ o ‘gracidare’ di questi ed altri animali, ma da una radice simile o uguale a quella greca di kór-os ‘germoglio, fanciullo’ cui ho collegato il significato di ‘germe, animaletto, animale’.  In greco kόrak-s vale ‘corvo’ ma anche ‘ombrina’, pesce chiamato anche ‘corvo, corbo, corvetto’ dal colore argentato con striature dorate tendenti al violetto.  E pensare che alcuni vocabolari chiosano erroneamente che il pesce è così chiamato per il colore nero! Inoltre  korakí-as vale ‘gracchio’, korakí-on ‘coracio’, tipo di pianta,’ in Aristotele. Il bel toponimo  Kόrakos pétra ‘Pietra del corvo’  in Itaca non traeva di certo il nome dal corvo, ma dal suo essere rupe.

   Concludendo, il corë-ìttë di Luco dei Marsi è veramente una perla linguistica, perché oltretutto, con il suo alone versicolore che rimanda a significati di parole greche simili, ci attesta senza ombra di dubbio che essa non era una scheggia vagante,  finita chissà come dalle nostre parti, ma che era ben inserita in un contesto linguistico greco, come credo di aver dimostrato nei diversi articoli sui grecismi nella Marsica e altrove, presenti nel mio blog. A Trasacco-Aq è presente l’aggett. corijë ‘stramato, foraggiato’, che però è usato solo dai contadini delle case coloniche arrivati dopo il prosciugamento del Fucino, in gran parte dalle Marche[2].  L’aggettivo contiene la stessa radice di gr. koré-nny-nai  o koré-ein ‘saziare, saziarsi’.  Il significato di ‘sazio’ è probabilmente il risultato di quello di ‘ingrossarsi’ o di ‘gonfiarsi’ insito nella radice.

 

 



[1] Cfr. G. Proia, La parlata di Luco dei Marsi, Grafiche Cellini, Avezzano-Aq, 2006.

[2] Cfr. Q. Lucarelli, Biabbà A-E, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq, 2003.



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