Generalmente si accetta la
derivazione dal tardo latino imbut-u(m) ‘imbuto’ dal part. pass. del
verbo lat. imbu-ere ‘imbevere,
impregnare’, anche se alla precisa corrispondenza formale non fa riscontro una
altrettanto chiara corrispondenza semantica. L’imbuto, come sappiamo, è un
arnese che serve a travasare un liquido da un recipiente ad un altro. Il nome corrente
nei nostri dialetti, compreso quello di Aielli-Aq, è ‘mmuttíjjë, il quale, però, sembra essere una conferma
del suddetto etimo perché da noi il gruppo consonantico –mb- tende fortemente a trasformarsi in –mm- (cfr. ‘mmastardì per it. imbastardire, con la caduta della /i/
iniziale).
In
alcuni dialetti centro-meridionali si incontrano però altre forme come il sic. mutu ‘imbuto’, campano muto[1]
‘pevera, grande imbuto usato per riempire le botti’ per le quali si suppone la
trafila imbuto > ‘mmuto > muto, quindi con una sorta di semplificazione un po’ strana della voce
dialettale proveniente da imbut-u(m). A me sembra più
naturale, invece, partire proprio da una forma *mut-u(m) ‘imbuto’ la cui radice dovrebbe essere la stessa di lat. mut-are ’muovere, spostare, mutare,
cambiare, scambiare’ che poteva dunque essere adatta ad indicare lo spostamento
o, meglio, il trasferimento di un liquido da un recipiente ad un altro,
funzione precipua di un imbuto. In
latino esiste la forma del verbo con la preposizione in-‘verso, dentro’ che, comunque presenta lo stesso significato di
quella semplice.
Ora,
io suppongo che tale forma, con un significato simile a quello di lat. in-mitt-ere
(im-mitt-ere)‘gettare
dentro, introdurre, infondere’ sia alla base del tardo latino imbut-u(m) ‘imbuto’, il quale dovrebbe essere il
risultato di un incrocio della forma originaria supposta *im-mut-u(m) ‘imbuto’ con
il verbo lat. imbu-ere ‘imbevere,
impregnare’ che non c’entra nulla con l’imbuto.
Tra-mut-are (aiellese tra-mutà) è il verbo che indica il
travaso del vino, dal lat. trans-mut-are ‘far cambiare di posto,
trasporre, trasferire (da una parte all’altra)’ come il la. trans-fund-ere
indicava il travasare e la trasfusione. Interessante è il gr. mot-όs ‘canaletto di scolo’ (in Ippocrate), concetto che incontra
quasi alla perfezione quello di ‘imbuto’ e combacia anche con quello di lat. mod-ul-u(m) 'tubo di acquedotto'.
Dei
diversi nomi dialettali per ‘imbuto’, registrati in questo post[2]
indicato in nota, mi ha per ora colpito la voce, probabilmente di Balsorano-Aq o
di Sora-Fr, che suona inchiturë. Nessuno, credo, possa mettere in dubbio l’origine di questa bella parola, tanto è evidente! Essa rimanda al gr. en-khé-ein
’versare (khé-ein) dentro (en-), infondere’. La radice di khé-ein presenta anche la variante khy-.
L’in-chi-turë, quindi, non sarebbe altro che un versatore, uno strumento ‘atto a
versare’. Il suffisso –tor, soprattutto in latino ma anche in
greco, designa il nomen agentis, la persona o lo strumento che compie
un’azione. C’è da segnalare in
toponomastica la Fonte Citùro nel territorio di Collarmele-Aq e i Khẏtroi (Chitri),
sorgente termale delle Termopili. In greco antico khṓnē (contraz. di khoánē, sempre della radice di khé-ein ‘versare’) era il nome per ‘imbuto’ ma anche per ‘fosso o
crogiolo per la fusione dei metalli’. La
radice si prestava ad indicare sia una cavità
che uno scorrimento, sicchè non è
azzardato supporre che l’it. cun-etta ‘canale di scolo ai lati della strada’ sia da considerare
diretto derivato, per il significato, di tale radice e non del lat. cun-a(m) ‘culla’, che pure attingeva al
concetto di “cavità”. In italiano letterario o regionale cuna vale, oltre che 'culla', anche 'avvallamento del terreno'.
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