E’ la parola con cui in archeologia
si indica un vaso a cono rovesciato molto affusolato con un foro sul fondo,
usato dai greci e romani come imbuto, dal lat. in-fundi-bul-u(m)
‘imbuto’ ma anche ‘tramoggia’ del mulino: un recipiente a forma di imbuto,
appunto, che raccoglie le granaglie e attraverso un buco le invia lentamente
alla macina sottostante. La radice del
termine rimanda al verbo lat. fund-ere ‘versare, bagnare, spargere, fondere, ecc.’.
Nel nostro dialetto, e in molti
altri del centro-meridione, il nesso consonantico –nf- dà solitamente –mb-
come ad esempio in m-bόnn-ē ‘bagnare’ che è proprio il lat. in-fund-ere nel suo
significato, tra gli altri, di ‘bagnare’. Nel nostro dialetto il gruppo
consonantico –nd- si trasforma, per assimilazione progressiva,
in –nn-.
La desinenza infinitiva –ere della
terza coniugazione si riduce solitamente
a mero suono indistinto ë,
come in scrivë ’scrivere’ e bévë
‘bere < bév-ere’, da lat. bib-ere ‘bere’, passato prima a italiano arcaico bév-ere e poi, con sincope della fricativa sonora /v/,
a bere. Il
part. passato di lat. in-fund-ere suona
da noi mbussë ‘bagnato’, femm. mbόssa ‘bagnata’: il cambiamento del
timbro vocalico della radice è dovuto al noto fenomeno della metafonia. In
latino le forme rispettive sono in-fus-u(m) ‘infuso, versato, bagnato’ e in-fus-a(m)
‘infusa, versata, bagnata’. Esistono in
dialetto anche forme sostantivate come lë
mbussë ‘il bagnato’ e la mbόssa ‘la bagnata’: cfr. aiellese so’ ppijjata ‘na bbella mbόssa ‘ho preso una bella
bagnata (sotto la pioggia)’.
Anche il lat. fund-a(m) ‘fionda, frombola’ sfrutta, a mio avviso, la stessa
radice in quanto la sua funzione era quella di gettare, lanciare non
l’acqua ma un proiettile di pietra o piombo.
Si incontra anche fundi-bul-u(m) ‘fionda’ con lo stesso suffisso –bul-u(m) che abbiamo notato nel suddetto in-fundi-bul-u(m)
‘imbuto’. Questo tipo di suffisso viene in genere inteso come strumentale, cioè usato per designare un
mezzo o strumento quali il turi-bul-u(m)’turibolo, incensiere’, il pati-bul-u(m) ‘patibolo’, il concilia-bul(u(m) ’conciliabolo’, ecc.
Io ho i miei dubbi sulla questione ed ho sempre sostenuto che anche
questi suffissi, che sembrano avere solo un valore grammaticale, possedevano in
origine lo stesso significato della radice o del tema che ripetevano
tautologicamente, prima che la Lingua li sfruttasse per indicare con essi, non
so, la funzione di sostantivo o di avverbio
o di strumento di un termine: così essi facilmente persero il loro significato,
che era già espresso d’altronde dal tema della parola. Le considerazioni
che sto per fare spero che getteranno un po’ di luce sulla nascosta verità.
Il
fatto è che esiste in latino anche la voce fundi-bal-u(m) ‘fionda’ ma anche
‘macchina da guerra lancia-proiettili’ che presenta, come si vede, il suffisso
–bal-u(m),
variante di -bul-u(m); inoltre si
incontra fundi-bula-tor ‘fromboliere’,
col suffiso –tor di nomen agentis, cioè che serve a designare la persona,
la macchina o lo strumento che compie l’azione, e si aggiunge solitamente alla
radice di un verbo. In questo caso,
però, non è attestato un verbo *fundi-bul-are ‘riversare, lanciare’ ma
la /a/
con cui termina l’elemento –bula- mi fa sospettare che esso dovette
esistere da qualche parte e in qualche
tempo, anche se a noi risulta non
attestato: ne è una spia anche l’attestazione, invece, della sua variante fundi-bal-are
‘lanciare’(nella Vulgata) corrispondente al citato fundi-bal-u(m) ‘fionda’.
I deverbativi in –tor presentano una /a/ prima del suffisso se provengono dalla
prima coniugazione, come lat. ara-tor ‘aratore’ o ama-tor
‘amatore, amante’, e in genere una /i/ negli altri casi, come fundi-tor
‘fromboliere’ audi-tor ‘uditore’, erudi-tor ‘maestro’. Per ultimo cito lat. fundi-bal-ari-u(m) o fundi-bul-ari-u(m)
‘fromboliere’.
Ora a
me pare sensato pensare che queste
varianti –bal-, -bul- dovevano avere un significato
tautologicamente uguale a quello di fundi- precedente, cioè quello di ‘lanciare,
gettare’, come ho mostrato nei miei articoli in tanti altri casi. Le varianti corrispondono esattamente a
quelle greche della radice del verbo báll-ein ‘gettare, scagliare’,
come gr. bél-os ‘punta, dardo,
proiettile’, gr. bόl-os ‘il gettare,
getto’, gr. bol-ís, -ídos ‘proiettile’. Conferma il tutto il lat. ball-ista(m), bal-ist-a(m) ‘macchina da guerra lancia-missili,
balestra’. La radice non proviene a mio
parere né dalla Grecia antica né dalla Magna Grecia, ma doveva trovarsi
abbondantemente su suolo italico da epoche immemorabili.
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