La denominazione pidria ‘imbuto’, con molte varianti, è
comune in diverse parti dell’ Alta Italia e nelle Marche, ma qualche suo
emissario è arrivato fino in Umbria, e fino in Abruzzo se la voce pitrï-òlë ‘pevera’ si trova anche nel
Vocabolario abruzzese di Domenico
Bielli. I dialetti abruzzesi presentano generalmente forme come m-mutt-ijjë, mut-ellë ecc. e così non saprei precisare di
quale paese sia la forma, da noi piuttosto rara, registrata dal Bielli, il
quale non è solito, però, indicare l’origine dei lemmi.
Va
ancora per la maggiore, mi pare, la spiegazione della parola data dall’ Ascoli,
famoso linguista dell’Ottocento. E anche
geniale se egli propose all’origine di pidria una forma *plè-tria (la ‘riempitrice’, dalla nota radice greco-latina ple-). Si scoprì successivamente che una
voce plédria ‘imbuto’ esisteva
veramente nel dialetto di Bormio, provincia di Sondrio in Lombardia. Anche nel
friulano si ha plére. Sempre nel nord Italia ricorrono forme come piria ‘imbuto’ con molte varianti, derivabili da pidria allo stesso modo in cui il
personale Pietro ha dato Piero.
Ebbene, nonostante tutto questo, debbo dire che io sono entrato in un
ordine di idee che non mi consente di sottoscrivere il pur accettabile
ragionamento dell’Ascoli. Per il motivo
che dirò. Io credo che la forma pitria
‘imbuto’ sia indipendente da plé-dria ’imbuto’ e lo deduco dal fatto che
essa doveva avere come base un termine indicante un vaso, una cavità come
l’abr. pet-ittë ‘boccale
grande’, abr. pët-àrrë (cfr. pidariò
‘imbuto’, in Lombardia) ‘vaso di terracotta per conservare olio, frutta’ che, a
mio parere, rinvia al gr. pith-ári-on ‘vasetto, botticella’, gr. píth-os ’orcio, botte’, gr. pith-ṓn ‘cantina, tinello’: il nome di un famoso inghiottitoio del lago
del Fucino, presso Luco dei Marsi-Aq, persiste nel toponimo attuale Petόgna.
Un inghiottitoio fa proprio al caso nostro di “imbuto”. La radice si
poteva prestare anche a designare una casa cadente (pet-arr-èllë, sempre nel Bielli), come dire un buco, una baracca. E sono convinto che l’it. federa, fatto derivare da un longobardo
*fedara,
con la spiegazione che esso avrebbe indicato le penne (cfr. ted. Feder ‘penna’) o altro materiale simile
di imbottimento, in realtà indicasse il sacchetto
stesso come da noi. Naturalmente da una forma *petara con il passaggio normale
della labiale sorda /p/ a fricativa sorda /f/: d’altronde non si tratterebbe
d’altro che di una variante di gotico fōdr ‘custodia della spada’.
Ma il
termine che mi ha fatto sussultare di stupore è il trasaccano pittriàta,pettriàta (ma diffuso
ampiamente altrove) e la spiegazione che ne dà il Lucarelli[1]
nel suo libro che è la seguente:
“ E’ così detta la sacca che si forma intorno
a tutta la vita di una persona, fra il petto e la camicia,chiusa, quest’ultima,
nel davanti con i bottoni e tenuta bloccata, nella parte bassa, dalla cinghia
dei pantaloni. In tale sacca, a contatto col corpo, da bambini mettevamo la frutta che rubavamo nei campi altrui, ad esempio uva, mele, pere, noci e così
via. Essa veniva usata anche dagli adulti per le stesse occasioni, oltre che
per altre necessità.”.
A me
pare chiaro che questo significato di sacca
debba riportare il termine a quelli simili
precedenti, citati per il concetto di ‘cavità,vaso, botte’ e che la
parola “petto” non sia altro che una disturbatrice sguinzagliata dalla Lingua,
col compito di indurci ingannevolmente a credere che la radice della parola sia
la stessa di petto, come
tutti credono. In realtà siamo di fronte, come spessissimo accade, ad un
riuscitissimo camuffamento messo in atto dalla Lingua nei nostri riguardi, giacché
siamo persone razionali finché rimaniamo, in fondo, sulla superficie delle
cose, ma appena si tratta di andare più a fondo, facilmente ci confondiamo ed
impappiniamo, contrariamente alla Lingua che è molto, ma molto più vecchia di
noi e forse più saggia, e trova facile menarci per il naso. Ha questo
comportamento, probabilmente, perché non vuole essere disturbata, e vuole
dormire sonni tranquilli per l’eternità vasta e silenziosa, in cui si nascondono
forse il seme e la prima radice della Verità.
Un altro, sia pur timido, indizio che conferma quanto vado sostenendo è
l’ingl. pit ’abisso,
voragine, buco, fossa, fosso, ecc.’ che in anatomia indica quello che noi
chiamiamo bocca dello stomaco, cioè
la cavità superficiale dell’addome appena sotto lo sterno (per chi naturalmente
riesce a mantenere la linea).
Faremmo meglio, se la scienza linguistica ce lo permettesse, ad auscultare
piuttosto, con attenzione, e prendere per vero quello che certi toponimi ci
suggeriscono, come Valle-pietra
in provincia di Roma, il cui secondo elemento ripete a mio parere il primo di Valle; come Fosso la Pietra di Castel di Sangro-Aq, e fosso Pietra di Salomone che dovrebbe trovarsi
non lontano dal Passo delle Capannelle vicino all’Aquila.
Per la plé-dria ’imbuto’ di
Bormio penserei ad un radice simile a quella
di lat. pil-a(m) ‘mortaio,
tinozza’ o gr. péll-a ‘vaso per mungere’, gr, pél-yks ‘vaso per mungere’,lat. pel-vi(m) ‘catino, paiolo’ con intervenuta metatesi pel/ple
. D’altronde la radice di lat. ple-nu(m) ‘pieno’, considerata alla base di
plé-dria, aveva la forma normale di pelē-. Per il membro –dria non c’è di meglio che rimandare all’elemento tri- di lat. tri-modi-u(m) ‘vaso di tre moggi, tramoggia’ di cui ho ampiamente
discusso nell’articolo Tramoggia di
qualche giorno fa e presente nel mio blog (pietromaccallini.blogspot.com).
Spulciando il vocabolario del Bielli ho incontrato anche la forma pìrïë (non pitrïë) ‘imbottatoio,
pevera’ che mi pare, dagli elenchi in mio possesso, non scenda più in giù
dell’Emilia Romagna. Ora a me sembra che
nei nostri dialetti, almeno in quello di Aielli che conosco meglio, non si
possa ammettere un passaggio dal gruppo consonantico /tr/ alla sola /r/ credo
per il semplice motivo che da noi non si è avuta una fase intermedia di
indebolimento delle consonanti sorde come la /t/ trasformate in sonore come /d/
e poi magari cadute. Da noi il personale Piero, ad esempio, che pure esiste, lo
si avverte come straniero, stante il
suddetto comportamento del dialetto. Allora la forma pìrïë reclama a gran voce un radicale
diverso da quello di abr. pitrï-òlë sopra citato. Si possono elencare l’it. paiolo <lat.
mediev. parjol-u(m), sp. per-ol ‘paiolo’,port. par-ol ‘paiolo’, cornovallico per ‘paiolo’, ecc. in quanto cavità. Secondo me la radice profonda è
quella di gr. pόr-os ‘passaggio’,
gr. peír-ein ‘passare da parte a parte,
attraversare’, prepos. lat. per ‘attraverso’,
lat. port-u(m) ‘porto, in quanto passaggio’, ingl. ford ‘guado’, ted. Furt
‘guado’, ingl. firth ‘braccio di mare, fiordo, estuario (tutte insenature, aperture, cavità)’. Ma la parola che ha assestato il colpo finale
è il trasccano pir-éttë, termine maschile singolare. Con
esso si indicava una specie di fiasco rigonfio dal collo lungo, schiacciato al
centro,in modo da creare due canaletti: nell’uno passava il vino da versare,
nell’altro entrava aria man mano che esso si versava,senza provocare
rigurgiti. Un perfetto sistema di
sifonamento! Se vi si fa caso, la voce pir-éttë, oltre che a mostrare una forte parentela con con i termini
precedenti, è il perfetto sosia italico del germanico firth ‘fiordo, estuario’
sopra citato che, secondo le norme della cosìddetta rotazione consonantica, indicata spesso col termine ted. Lautverschiebung, presenta la fricativa
sorda iniziale –f- al posto della
labiale sorda –p-. Non deve sfuggire il forte accento iniziale
delle parole germaniche che provoca in genere la caduta delle vocali atone
successive: così una eventuale forma pir-éttë sarebbe diventata *pirt > firth.
Così
stando la situazione, si può dare il caso che anche nel settentrione d’Italia le
forme del tipo piria ‘imbuto’,
sebbene ricollegate, del tutto legittimamente per la fonetica, alle forme pitria ‘imbuto’, possono aprire uno
spiraglio per la supposizione che esse, invece, attingano a radice originaria –pir-
da rintracciare in qualche parola di significato affine o genericamente di cavità, oppure in qualche toponimo per fosso, valle e simili. Amen!
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