giovedì 7 marzo 2019

Il cosiddetto "pane murato".

“Pane murato” antico pasto dei pastori di Trasacco

 
Non sappiamo con certezza se nel passato più antico i pastori di Trasacco praticassero la transumanza verso le Puglie. Qualcuno, senz’altro, la praticava verso la campagna romana o nel basso Lazio, e qualcuno in Maremma. Di certo si può affermare che durante la stagione estiva, allorché si scioglieva la neve e si formavano i prati, i pastori conducevano le greggi sugli altipiani di Longagna; in particolare, quelli trasaccani, nella località montana di Fossa Pantò.
Questa è una valle, piuttosto infossata, sita al di sopra della contrada San Martino e Colle Mariano. Durante l’inverno diventa un acquitrino, un pantano, perché vi ristagna l’acqua, dando luogo, in primavera, alla nascita di un’erba molto verde. Infatti il nome “Pantò” deriva proprio da pantano. Per curiosità tale nome si riallaccia al celtico “pant”, luogo basso, fondo incavato, che insieme all’irlandese “pont” e all’inglese “pond”, stagno, si riallaccia ad una radice “pant” o “palt”, oppure al greco “pàtos”, fango. In piemontese, ad esempio, “panta” significa poltiglia.
Fossa Pantò è una bellissima valle che vede anche la presenza di alberi di alto fusto. Fa parte dell’agro di Trasacco.
Lì il gregge veniva stanziato con il sistema degli stazzi, ossia dei recinti in cui gli ovini venivano ricoverati a sera, dopo il pascolo. Nei pressi i pastori costruivano la loro capanna. Durante la permanenza in montagna essi confezionavano il formaggio con il latte, che mungevano giornalmente, e la ricotta, che veniva consumata fresca.
In quella montagna i pastori stanziavano per diversi giorni. Tornavano a casa solo per rifornirsi di provviste, lasciando il gregge in montagna, protetto dai cani pastori da eventuali pericoli provenienti dai lupi.
Nel ritorno portavano con loro anche il pane fresco cucinato dalle mogli, che doveva durare per diversi giorni. Con il tempo, però, il pane seccava e induriva. Per non farlo sprecare, con esso i pastori preparavano il c.d. “pane murato”.
In un piatto o recipiente fondo veniva messo il pane secco spezzato a tocchi e su di esso veniva versato il latte caldo appena cagliato, diventato dunque formaggio o ricotta, fino a coprire il tutto. Quindi, si lasciava che il latte cagliato si raffreddasse fino a diventare formaggio rappreso e condensato, in modo che, in senso metaforico, “murasse” il pane in mezzo a se stesso, il quale nel frattempo si riammorbidiva assorbendo il liquido della cagliata. Questo è il motivo per cui veniva chiamato “pane murato”.
Veniva cucinato anche nelle case, usando in alternativa il latte di mucca. La pietanza era chiamata anche “quajjàta”, cagliata.
Mi auguro che qualcuno prenda l’iniziativa per riconfezionarlo. L’invito è rivolto soprattutto ai ristoratori.
(bibl. “Biabbà” Q. Lucarelli)


Tito Lucarelli, estensore dell'articolo, è forse parente del compianto Quirino Lucarelli, autore della monumentale opera in tre tomi sul dialetto e le tradizioni di Trasacco-Aq da cui è stato tratto l'articolo. La spiegazione della locuzione "pane murato", già data dallo stesso Quirino, è sostanzialmente accettabile anche se, a mio parere, l'espressione ha bisogno di ulteriore delucidazione per essere meglio compresa. Il fatto è che il termine "muro" etimologicamente doveva indicare proprio un 'impasto, amalgama' che, nel caso in questione, era costituito dai tozzi di pane secco tenuti insieme dal latte rappreso della cagliata, come le pietre o i mattoni di un muro sono tenuti insieme dalla calce o dal cemento. Nel mio dialetto di Aielli, infatti, esisteva un tempo la voce "cavece-morre" che indicava  la calce mista a materiale inerte come pietrisco e spruzzata sul muro senza ulteriore lisciatura e indurita. A me pare che -morre, il secondo elemento della parola,  sia  altra forma per 'muro', visto che si trattava di un tipo di malta o impasto.In questo blog (pietromaccallini.blogspot.com) è presente un articolo del 01-03-2014 intitolato "Il termine armento, e molti altri, come prova della grave inadeguatezza della linguistica" in cui si parla anche del significato etimologico di "muro". Nel Vocabolario abruzzese di Domenico Bielli si incontra la parola cavece-monie 'marna calcarea, usata per cemento', il cui secondo elemento richiama, secondo me, il lat. moenia 'mura'. I due elementi, anche nella voce precedente, sono sostanzialmente tautologici nel significato di 'impasto, connessione, amalgama, ecc.'. Ecco un brano dell'articolo citaato, presente in questo blog: "Il gr. árt-os ‘pane’ non vuol dire, come si crede, il cibo ‘preparato’ (perché la radice ar- si presta ad indicare la ‘composizione, il fare, il costruire’) ma semplicemente ‘impasto, miscuglio’, significato scaturente da quello di ‘mettere insieme, fondere’. Per cercare di capire meglio questa cosa si prenda ad esempio, il gr. teîkh-os ‘muro’ collegato alla radice di ted. Teig ‘pasta, impasto’ e ingl. dough ‘pasta per pane, impasto’, oland. dijk ‘diga’. E’ d’uopo precisare che il muro, a mio avviso, è un impasto non perché sia tenuto insieme dalla calce, ma perché esso è già di per sé, anche senza  calce o altro legante, un insieme di massi, un cumulo, un mucchio, concetti affini a quello di "mescolanza, amalgama": anche il muro a secco è sempre un muro. Le mura ciclopiche di tante città antiche non avevano bisogno di leganti per la loro consistenza". 

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