Termine derivante dal lat. station-e(m) ‘fermata’ nel significato specializzato di periodo dell’anno,
il quale si dipana, per così dire, attraverso quattro fermate o quattro stadi,
cioè quattro periodi di tre mesi ciascuno.
Particolare è il significato di stag(g)ionë in abruzzese e siciliano, dove indica
l’estate. E’ facile dire che l’estate in queste regioni
(ma anche in altre) assume il significato di stagione per eccellenza, ma alcuni
usi del termine mi fanno dubitare, e non poco.
Nell’Abruzzo
e nelle Puglie la stagione di San Martino
equivale all’altra espressione più nota ‘estate di San Martino’. In questo caso, trattandosi a mala pena di
qualche giorno di sole intorno all’11 novembre, quando eventualmente si
verifica, la parola stagione sarebbe del tutto inappropriata se non avesse nel
fondo il valore di ‘calore, ardore’ come succede per estate. A Teramo il termine stagiόnë indica, in modo
piuttosto singolare, ‘l’eccessiva durata del sereno in estate’ che causa la
siccità nei campi, per cui si dice anche fà
la stagionë, cioè ‘non piove’[1].
E’ molto probabile che quest’ultima espressione
corrisponda a fare la secca, come noi
nella Marsica diciamo, quando tutto in campagna
si secca sotto l’ardore
impietoso del sole. C’è infatti da notare che a Trasacco, ma anche altrove, il
verbo staggënà significa ‘fare seccare, fare asciugare bene un legno,
fare ben seccare, far trascorrere del tempo a tal fine’[2].
Entro questo significato si potevano inserire, con tutta naturalità, anche la stagionatura del formaggio o dei salumi,
ad esempio. Poi il verbo, credo, si è un po’ più allargato ad indicare prodotti
tenuti in conservazione per un miglioramento delle qualità, o persone di una
certa età arrivate alla piena maturità,
come avviene in italiano.
Anche il verbo lat. coqu-ëre ‘cuocere, cucinato, fondere’ assumeva il significato di ‘maturare
(dei frutti)’ avvicinandosi così all’idea di ”stagionatura, pieno sviluppo”.
Pertanto si può pensare che l’idea di “stagione” che per noi oggi indica
soprattutto una ‘durata di tempo’ più o meno lunga, e ci suggerisce insidiosamente
che il relativo verbo indichi solo una
durata di un processo di crescita o maturazione, in realtà finisce col seppellire
il significato originario di ‘seccare, ardere’, che è caduto dall’uso ma, come
spesso succede alle parole relegate ai margini della lingua, rispunta qua e là in espressioni particolari o
obsolete.
Sono stato, poi, fortunatissimo
nell’incontrare, in questa ricerca di prove
della bontà del mio pensiero, una vera e propria chicca: il significato
letterario e arcaico di stagione[3],
che è quello di ‘splendore, freschezza’.
La parola certamente doveva essere un relitto antichissimo, ora
scomparso, probabilmente anche nei dialetti: ma chi conosce capillarmente tutte
le parlate d’Italia? Il suo significato di fondo non poteva attingere al
concetto figurato di “fresco” bensì a quello concreto di “splendido, luminoso”.
Io
sono spinto a credere che dietro queste espressioni, soprattutto quelle
teramane, ci sia una radice che in sostanza esprima la stessa idea nascosta
dietro il termine estate, quella di lat. aest-u(m) ‘bollore, ardore, calore, vampa, ecc.’ , ben espressa dal verbo greco
corradicale, o quasi, aíth-ein ‘ardere, risplendere’ (cfr.
gr. aithría
‘cielo sereno, etere’), presente anche nel nome dell’Etna. Allora non trovo fuori luogo chiamare in
ballo la radice di Giove Stat-ore e di Stata Mater (divinità del fuoco), dei quali ho
parlato abbastanza nell’articolo di qualche giorno fa, presente nel mio blog
(22/4/ 2020). Anche in inglese abbiamo
l’espressione to be in season ‘essere
in calore’ riferita agli animali. Ora,
c’è chi fa derivare però il fr. saison ‘stagione’
(da cui l’ingl. season ‘stagione’)
dal lat. sation-e(m) ‘semina’,
e quindi ‘stagione della semina’, ma io penso che al massimo ci sia stato un
incrocio di questo termine con la parola latina station-e(m) ‘fermata’ diventata poi ‘stagione’.
ù
Si dà
anche il caso che esistano le forme lombarde stador-ína, stador-éla ‘estate di San Martino’[4],
considerate diminutivi di estate, e
potrebbe essere, ma non si può escludere affatto la derivazione dalla suddetta
radice stat- che ha dato origine
anche all’espressione summenzionata stagione
di San Martino ‘estate di San Martino’.
E’
pertanto sempre più impellente considerare il fungo di Castellafiume-Aq. stat-aroio < *stat-arolo di cui ho parlato nello stesso articolo sopra citato, un’altra
forma anch’esso della medesima radice supponendo che questa si sia incrociata col
nome del fungo, che magari esisteva già autonomamente. Comunque potrebbe valere,
a questo punto, anche la supposizione fatta da qualcuno circa una derivazione
di stataroio dal nome dell’altro
fungo noto in toscana come stataiolo,
un porcino estivo, però, del tutto diverso dal nostro fomes fomentarius arboricolo.
Supposizione che però deve essere intesa nel senso esclusivo che la
radice di stataiolo (porcino),
trasposta nel nome del fungo di Castellafiume, non indica affatto un fungo
“estivo” ma sottolinea semmai la sua vocazione, diciamo così, per il fuoco o relativa accensione, stante il significato profondo di estate. E inoltre potrebbe essere anche il contrario, e cioè che
sia la voce toscana stataiolo, intesa
come ‘fungo estivo’, a derivare da quella di Castellafiume-Aq che per ora ho
riscontrato solo in quel dialetto appartenente grossomodo all’area linguistica dei
Piani Palentini, ma che potrebbe ricorrere anche altrove.
[1] Cfr. Cortelazzo-Marcato, I dialetti italiani, UTET Torino,1998.
[2] Cfr. Q.
Lucarelli, Biabbà Q-Z, Grafiche Di Censo, Avezzano-Aq, 2003.
[3] Cfr. T.
De Mauro, Il dizionario della lingua
italiana, Paravia Bruno Mondadori editori, Milano 2000.
[4] Cfr.
Cortelazzo-Marcato, cit.
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