Condivido in pieno l'etimo che il
Pianigiani[1] dà
dell'italiano "di-scendere" (lat. de-scend-ere) che non deve intendersi,
secondo me, come se fosse un 'disfare il salire' dal lat. scand-ëre ‘salire’, come vogliono i linguisti, ma semplicemente come un
'muover(si) dall'alto in basso’ (Pianigiani pensa la stessa cosa), considerato
anche che in sscr. la radice skand- valeva sia 'salire' che
'scendere' ma anche 'cadere'. Il lituano skend-re indica uno 'sprofondo'.
La prepos. lat. de- dinanzi a
verbi di moto non può che indicare il movimento dall'alto in basso o di
allontanamento da un punto. Il valore privativo-negativo di lat. de- si ha con altri verbi come de-stru-ere
'distruggere, disfare'.
La radice del lituano skend-re ‘sprofondo, voragine’ mi dà la dritta per intendere il lat. de-scend-ĕre ‘discendere, scendere’ non come il
risultato di una trasformazione della /a/ in /e/ all’interno di parola dinanzi
a gruppo di consonanti (regola spesso fatta notare dal Devoto nel suo Avviamento alla etimologia italiana) ma
come risultato del fatto che all’origine anche nel latino esistessero varianti
di una stessa radice non strettamente dipendenti l’una dall’altra ma in certo
senso autonome tra loro, tranne per il significato. Naturalmente non so perché ad un certo punto
della storia della lingua invalse l’abitudine suddetta (forse per la semplice
esigenza di distinguere comunque le radici delle parole, per una maggiore
chiarezza degli enunciati) ma l’abitudine fu quasi sicuramente messa in moto
dalla presenza di quelle varianti. Che
non si tratti di trasformazione del suono /a/ nel suono /e/ mi pare sia provato
dalla presenza di doppioni come lat. de-tract-are e lat. de-trect-are
‘rifiutare, screditare’. Nel lat. de-vast-are
‘devastare’ e lat. e-vann-ĕre ‘vagliare via, scacciare, respingere’ la norma non è applicata
pur in presenza di gruppi di consonanti dopo la /a/. E, all’inverso, si hanno doppioni anche in
casi in cui la /a/ non è seguita immediatamente da gruppi consonantici, come in
de-pacisc-i
e de-pecisc-i
‘attuare un patto, accordarsi’, ambedue dal semplice pacisc-i ‘pattuire, accordarsi’.
La
mia convinzione è che la Lingua cerca di approfittare sempre della condizione
in cui si trova ad operare mettendo sempre un po’ di ordine e facendo alcune
distinzioni, utili ad una maggiore chiarezza e comprensione degli enunciati,
come ho detto più sopra. Qualcosa, per
un motivo o per l’altro, sfugge alla sua supervisione e finisce fatalmente ai
margini della lingua, se non scompare del tutto. Ed è una fortuna per lo studioso che può fare
di questo fatto un valido appiglio in sostegno di sue tesi.
In
qualche parlata abruzzese[2]
scala’
(corrispondente nella forma esteriore a it. scalare)
significa ‘smontare, scendere da cavallo’, oltre che ‘scemare, detrarre’. Ora se il lat. scal-a(m) deriva formalmente dal verbo scand-ĕre ‘salire’ come possiamo accostarlo a questo abr. scala’
‘scendere’, che indica esattamente il suo contrario? A mio parere questo
significa che sia il lat. scand-ĕre ‘salire’ sia l’abr. scala’ smontare (da cavallo)’ sono
specializzazioni della radice sscr. skand-
‘salire, scendere, cadere’, anche se i linguisti non desistono dalla loro
spiegazione favorita che parte dal valore esclusivo di ‘salire’ evidentemente
considerato l’unico assunto dalla radice in terra latina, anche se il suo
valore viene ribaltato in quello di ‘scendere’ in un dialetto d’ Abruzzo,
regione confinante con il Lazio e anche se, come ho mostrato più sopra, il lat.
de-scend-ĕre
‘scendere’, può spiegarsi (a mio pare
deve spiegarsi) come ‘muoversi (dall’alto in basso)’ e non, piuttosto artificiosamente,
come ‘disfare il salire’, dando a de-
un valore privativo-negativo che mi pare totalmente assente nei verbi di
movimento preceduti da quel prefisso. Questo
verbo abr. scala’ è anche l’esatto opposto dell’it. scalare nei due
significati di ‘arrampicarsi (sulle mura di una fortezza)’ e di ‘raggiungere la
cima di un monte’ soprattutto se con una arrampicata alpinistica.
Può
essere molto istruttivo il verbo lat. de-sil-ire ‘saltare giù’, anche ‘smontare (da cavallo)’ composto dalla
prefisso de + sil-
dal verbo sal-ire
‘saltare’. Ora, se il lat. sal-ire avesse avuto lo stesso significato
che ha dato in italiano, cioè ‘salire’ (cosa possibilissima, data la
interdipendenza dei due significati, e nel latino parlato il significato di
‘salire’ era con tutta probabilità già presente) ci saremmo trovati nella
stessa condizione di lat. scand-ĕre ‘salire’ e di lat. de-scend-ĕre ‘scendere’ che i
linguisti interpretano come sappiamo.
Per fortuna con il significato di ‘saltare’ la difficoltà non si
materializza, dato che si può saltare su
(lat. in-sil-ire) o saltare giù mentre
si può salire su ma non salire giù: tutta colpa della specializzazione di queste radici che
precedentemente indicavano solo il movimento,
e il movimento può avvenire in tutte le direzioni e in tutti i modi. E allo stesso modo in cui in latino si aveva
un de-sil-ire ‘saltare giù, smontare (da cavallo) e un in-sil-ire
‘saltare su, montare (a cavallo)’ così si aveva un in-scend-ĕre ‘salire su,
montare (a cavallo)’ e un de-scend-ĕre ‘scendere, smontare (da
cavallo)’. Il de- di de-sil-ire non può essere diverso dal de- di de-scend-ĕre.
Questo
è un bell’esempio di radici che hanno addirittura significati opposti, secondo il giudizio del nostro cervello attuale
abituato più a distinguere e dividere che a connettere ed unire. Nella fase evolutiva del cosiddetto animismo, l’uomo vedeva anime dappertutto, nel vento, nelle
nubi, nei fiumi o nelle sorgenti, e naturalmente negli animali, compreso l’uomo. Ora,
in quest’epoca piuttosto materialistica e scarsamente spirituale, l’anima è rimasta sì e no appannaggio dei
soli uomini.
Anche
in tedesco il verbo per ‘salire’ o ‘scendere’ è sempre lo stesso, cioè steig-en il cui significato viene specializzato dalle preposizioni che
lo precedono. Cfr. le locuzioni Aufs Pferd steig-en
‘salire a (auf-s) cavallo (Pferd)’
e Vom Pferd steig-en
‘scendere da (vom= von dem) cavallo’. In ant. alto tedesco steig-en significava
infatti ‘dirigersi’ come il corradicale verbo gr. steíkh-ein ‘procedere, avanzare’. Solo che anche in tedesco la radice tendeva ad
accreditarsi come ‘salire’. Cfr. ted. Steige ‘scaletta’: ma il ted. Steig
‘sentiero, viottolo’ mi dice che dietro quest’ultimo significato doveva esserci quello di
‘procedere, avanzare’ in qualsiasi direzione non solo verso l’alto. In greco è
la stessa suonata: si hanno i verbi ana-baín-ein
‘salire’, letter. ‘andare(-baín-ein) su (ana-)’e kata-baín-ein
‘scendere’, letter. ‘andare giù (kata-)’. Si può desumere quindi, come è naturale, che
all’origine tutte le lingue avessero usato radici dal significato generico di ‘muover(si),
andare, avanzare, procedere’ per i due significati successivamente
specializzati di ‘salire’ e ‘scendere’.
Il
verbo dotto it. scand-ire riferito
all’azione, anche materiale, di suddividere visivamente un verso nei suoi
elementi costitutivi o piedi mi pare che più che far riferimento ai tempi forti
di ogni piede, caratterizzati da un’elevazione
della voce, debba intendersi come un mettere in rilievo, come in una scala di valori, di suoni o di colori,
le varie parti in cui si può dividere un verso, formando una successione di
piedi, distinti tra loro da barrette verticali come fossero i diversi pioli di
una scala. Ricordo che quando eravamo agli
inizi degli studi di metrica, usavo appunto distinguere con una matita i piedi dei
versi, direttamente sul libro di testo, per fare bella figura alle
interrogazioni.
Lo scandaglio, forse da un lat. *scand-acul-u(m), deriverà sempre da un’idea di
“misurazione”, attraverso tacche o altro sulla fune di cui è costituito.
Comunque, siccome lo strumento serve per la misurazione della profondità dei mari, laghi e fiumi, la
parola potrebbe mantenere un’antica eco
del significato di lituano skend-re ‘sprofondo, voragine’ sopra
ricordato.
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