giovedì 30 aprile 2020

La stagione (seguito).


Per il già supposto significato di ‘fuoco, fiamma, luce’ della voce dialettale stagione ‘estate’ e di altre relative espressioni, come quelle teramane, credo siano chiarificatrici  al massimo alcune espressioni provenienti dal Trattato dell’oreficeria del grande orafo, cesellatore e scultore fiorentino Benvenuto Cellini (sec. XVI)[1].

Le espressioni sono le seguenti: 1) “Così avendo lasciato stagionare col fuoco il fornello, in due ore fondemmo 1500 libbre di metallo (Orefic. 135)”; 2) Or che l’arrosto è in stagion, vieni, andiamone a mangiar (Orefic. 36). 

  Ora, l’autore del Dizionario della lingua italiana, presente in rete  (da dove ho tratto le espressioni), pubblicato a Bologna nel 1824, aggiunge tra parentesi quadre, a fianco  della prima espressione, la precisazione : “qui vale Cotto e svaporato, come dice di sopra”. Benchè la precisazione sia un po’ irregolare nella forma e anche incerta (almeno per me) nel significato di svaporato, è chiaro comunque che volesse dire che “stagionare col fuoco il fornello” ha il significato di ‘cuocere col fuoco il fornello’, farlo diventare tanto caldo da poter fondere il metallo, e non portarlo a maturazione e simili. E certamente non c’era nemmeno bisogno della precisazione.

    La seconda espressione, in cui si afferma che l’arrosto è in stagion, ugualmente non mi pare che possa significare qualcosa di diverso l’arrosto è fatto, cotto, anche se questo significato si presterebbe ad una successiva sfumatura di significato: l’arrosto ha raggiunto il grado giusto di cottura, esprimendo insomma la maturazione e in certo senso la stagionatura dell’arrosto. In altri punti dell’opera di Cellini ho letto espressioni come quando il fuoco sia nella sua stagione da intendere ‘quando il fuoco ha raggiunto il massimo’, cioè ‘il massimo dell’ardore e calore’ (rispunta, però, il significato laterale di ‘maturazione, stagionatura’, che non deve ingannarci).   Credo che tagli la testa al toro la voce siciliana lu stazzùni  ‘la fornace’,  fabbrica dove si cuocevano oggetti di creta come vasi, tegole, ecc.
 
    L’ho sempre sostenuto, e lo ripeto ancora: se uno conoscesse bene molti dialetti, oltre a conoscere capillarmente  la propria lingua nazionale, compresi i testi letterari di autori lontani da noi, potrebbe risolvere con una certa facilità molti problemi linguistici, ritenuti irrisolvibili. 

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