Tutti i linguisti, credo, non ci
stanno a pensare due volte a far derivare il termine volgare in-cul-are
dalla preposizione in- + -culo. Io
la penso molto diversamente, e questo è uno dei segni incontrovertibili
della differenza che passa tra il mio metodo di lavoro e il loro.
In effetti il termine volgare culo in questo caso non c’entra
nulla, se non forse indirettamente come concetto di “buco, cavità” derivante
olisticamente da quelli che sto per
indicare: ma questo è un’altra cosa, che per ora non ci riguarda.
Io credo che la radice –cul sia variante di quella, ad esempio, di
lat. per-cell-ĕre (perfetto: per-cul-si) ‘colpire, percuotere,
abbattere, atterrare, ecc.’, la quale, a mio avviso, non va distinta da quella
di lat. ex-cell-ĕre ‘innalzarsi, al di sopra,
sovrastare, eccellere, ecc.’ e di lat. coll-e(m) ‘colle’,
le quali tutte trovano un punto d’incontro nella nozione più generica di
‘spingere’, non importa in quale direzione.
Il significato originario di un lat. in-cul-are,
quindi, doveva essere quello di ‘spingere (verso qualcosa)’, e indicava magari
l’atto sessuale normale da parte del maschio: successivamente il verbo non potè
fare a meno di incrociarsi con il termine culo (il quale poteva anche non
esistere in latino al momento della formazione del verbo) e assumere il
significato di ‘sodomizzare’. E’ bene ricordare il principio saussuriano
secondo cui è vano credere che le cose abbiano ricevuto il loro bel nome di
zecca sin dall’origine. Il verbo
inizialmente non era volgare, lo diventò dopo l’incrocio con culo.
Che il mio pensiero sia veritiero è dimostrato, secondo me, dal
significato di ‘bocciare ad un esame, ad un concorso’ che il verbo assume: l’hanno inculato all’esame di maturità (cfr. vocab. ital.
del De Mauro) che normalmente si esprime anche col verbo respingere, appunto, come nel lat. re-pell-ĕre ‘respingere, bocciare’.
Altri significati di it. in-cul-are fanno capire che il verbo
si incrociò con la radice di lat. col-ĕre ‘coltivare, curare, onorare, ecc.’ (una delle più importanti
del lessico indeuropeo), nel senso di ‘rigirare, rovesciare (la terra)’ da una
radice kwel ‘rivolgere’ con labio-velare iniziale (Qw-):
essa si ritrova anche nella voce del dialetto di Aielli cuèlla che
indicava una ‘ritortola a forma di ciambella’ attraverso cui passavano delle
funicelle che servivano per legare il carico sul basto (ce n’erano due per ogni
lato). Si trattava quindi di una sorta
di ‘rotondità, ruota’, come nell’l’ingl. wheel
‘ruota’< ant. ingl. hweol ‘ruota’.
Uno dei significati, infatti, di in-cul-are è proprio ‘raggirare,
imbrogliare’. Il significato di ‘prestare attenzione, proteggere’ del verbo
pronominale in-cul-ar-se-lo rafforza
il significato di ‘proteggere, avere interesse, curare, ecc.’ di lat. col-ĕre, di cui sopra, ed è presente ad esempio nell’espressione:
urlava
dal dolore ma nessuno se lo inculava.
Inoltre il significato del dialettale in-goll-are ‘involare,
portare via’ di cui ho parlato nel penultimo articolo Tira nu véndë (chë) ttë së ngòlla, combacia con quello di in-cul-are ‘spingere (via)’.
Tutto si spiega nella Lingua, ma con pazienza ed acume.
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