Chi, fra quelli della mia età o giù
di lì, non ricorda Angëlùccë Carrubbìnë lo spazzino comunale (oggi, con
termine politically correct ma
fastidiosamente lungo, ‘operatore ecologico’)
di Aielli che fungeva, nelle varie occasioni, anche da pubblico banditore? Col
faccione largo a volte rabbuiato (in quel caso l’ho visto sbattere
ripetutamente la testa contro un muro, e controllare
ogni volta con la mano se ci fosse del sangue: se l’esito
era negativo ci riprovava ancora –da sganasciarsi dalle risa!), e con
i grossi piedi piatti, la sua figura era
già tutto un programma.
Ora, dopo questa impellente divagazione, spiego l’espressione in
epigrafe, in uso allora nei nostri dialetti, ‘gettare il bando’, in aiellese: jittà
u bannë.
La spiegazione è facile e semplice, ma nel suo profondo, se ben capita,
nasconde uno dei principi fondamentali della Lingua, che si farebbe bene a
tenere a mente.
Il
significato del verbo gettare è noto, cioè ‘lanciare, scagliare’ e simili. Il
bando è una comunicazione di
interesse pubblico emessa dall’autorità e diffusa in paese dal banditore, il
quale però si prestava, dietro un piccolo compenso, anche a diffondere notizie
varie da parte dei privati. Egli era munito di una trombetta, con la quale
richiamava l’attenzione della gente: la sua comunicazione iniziava con
l’immancabile “Si avverte al pubblico!”.
Il verbo gettare
proviene dal lat. e-iect-are ‘gettar fuori, emettere, sputare, vomitare’, composto
dalla preposizione e- ‘fuori da’ e –iect-
da lat. iact-are, col
significato base di ‘gettare fuori,
lanciare, scuotere, spargere, diffondere ecc. ‘ ma anche con quello più
specifico di ‘proferire’ che fa al caso nostro: il banditore è colui che proferisce ad alta voce una
comunicazione. I linguisti diranno che questo proferire è un significato figurato di quello base: come se le
parole venissero lanciate fuori dalla
bocca di qualcuno.
Ma
questo è il punto. All’origine, nel
latino arcaico o anche prima, il verbo non doveva fare nessuna distinzione tra
significati cosiddetti propri e significati figurati. Erano tutti propri, nel
senso che il parlare stesso costituiva
un ‘emettere fuori’ della bocca le parole, le quali d’altronde sono un’entità
materiale composta di suoni, oltre che di significati. Lo stesso termine pro-fer-ire,
ad esempio, viene dal lt. pro-ferre
‘portare avanti o fuori, ecc.’ ma anche ‘esporre, esprimere’: si noti che anche
questi ultimi due verbi indicano un materiale porre fuori, premere fuori.
Non si scappa da un’origine concreta e materiale di queste operazioni mentali,
che solitamente vengono definite come metaforiche o figurate! Anche in greco si
ha pro-fér-ein ‘portare avanti, ecc.’ ma anche ‘enunciare, dire,
proferire’; para-phér-ein ugualmente significa ‘portare presso, avanti’ ma anche
‘pronunciare, narrare, riferire’.
La
realtà è che l’uomo che cominciò a parlare avvertiva anche queste operazioni
come l’esercizio di una forza che
premeva verso l’esterno per esprimersi.
Concludendo, quindi, l’espressione ‘gettare il bando’ nei suoi
lontanissimi primordi (la stampa e altro sono venuti pochi secoli fa) doveva
indicare l’atto concreto di esprimere ad
alta voce il bando delle autorità. Il verbo italiano e dialettale gettare < lat. iact-are non aveva come suo nativo significato solo quello di scagliare e simili che ora ci
ritroviamo, ma anche quello di pari grado, per così dire, di esprimere, pronunciare, proferire,
i quali d’altronde coincidono con quello generico iniziale di ‘mettere fuori’
da cui deriva anche quello specializzato di gettare.
La specializzazione di questo verbo era già quasi compiuta nel latino, dove il
suo significato base era ‘gettare’, anche se ancora faceva ogni tanto capolino
l’altro significato di ‘esporre, esprimere’ e simili.
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