L’aggettivo it. vieto
ha i seguenti significati: antiquato, vecchio, malaticcio, avvizzito; tosc.
stantio, rancido. Mi pare che oggi tutti gli etimologi e i vocabolari indichino
seccamente l’etimo nel lat. vetus, eris ‘vecchio, antico’ senza nemmeno accennare alla possibilità che
ci sia stato almeno un incrocio con l’aggettivo lat. viet-u (m) ‘(frutto) che si piega (sullo stelo), avvizzito, flaccido’,
il quale ha la stessa radice del verbo lat. vi-esc-ĕre ‘piegarsi sullo stelo, avvizzire’ e di lat. vi-ēre ‘piegare, legare, intrecciare’.
Ma in passato (v. vocab. del Petrocchi e il Pianigiani
in rete) si sosteneva la derivazione di it. vieto da lat. viet-u(m)
‘avvizzito’. Ora, anche ammesso che la derivazione sia da lat. vetus
mi pare che non si possa affatto escludere un incrocio col lat. viet-u(m) visto che vieto significa anche
‘avvizzito’.
Il DELI (Dizionario etimologico della lingua italiana) di M. Cortelazzo
e P. Zolli, parla addirittura di “una rara continuazione di una forma
nominativa, che assunse in antico (ed ancor oggi in Toscana) una sfumatura
spregiativa: rancido, andato a male” riferendosi al lat. vetus ‘vecchio’. Non
riesco a capire perché i nuovi etimologi vogliano complicarsi la vita, quando l’incrocio
suddetto è lì a semplificare le cose.
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