Credo che pochi fanno attenzione alla particolarità di questa
locuzione, che finora è sfuggita anche a me, pur essendo di uso quotidiano
molto diffuso. Il significato è inutile
spiegarlo perché tutti lo conoscono a menadito: fare attenzione a
qualcosa. Ma la parola caso
cosa ci sta a fare? il suo significato, anch’esso abbastanza noto anche se un
po’ sfuggente, non va normalmente oltre l’idea di “fatto fortuito, evento, accadimento,
circostanza” e così via. Allora come mai
essa vi assume quello di ‘attenzione’ o simili?
L’etimo del sostantivo del resto è ben noto: dal lat. cas-u(m) ‘caso, evento,ecc.’ a sua volta dal supino cas-u(m) del verbo latino cad-ĕre ‘cadere, accadere, ecc.’.
Così stando le cose a me sembra che il nostro caso sia collegabile con
la radice primitiva di lat. cur-a(m) ’cura, pensiero, sollecitudine, riguardo, attenzione’ che era
kois-, senza rotacizzazione (esiste
l’esempio della forma peligna cois-atens = lat. curaverunt
‘curarono’). Di conseguenza il caso della
detta espressione aveva proprio il valore di ‘attenzione’ e simili:
naturalmente la forma ad essa precedente, anche se probabilmente un po’
diversa, finì con l’incrociarsi e confondersi con esso.
Si dà il caso che in lat. cas-u(m) ’caso’ ha talora il valore di lat. caus-a(m) ‘causa, motivo, processo, ecc.’ il quale, a sua volta, presenta
quello di ‘caso’. Pertanto taluni, a cui
mi associo, pensano che dietro questi significati specifici ce ne sia uno più
generico di ‘motivazione, spinta (verso qualcosa)’ o ‘spinta verso il basso (lat.
cadĕre)’ .
C’è da fare un’altra osservazione
importante, secondo me. Non tutti
sapranno che l’it. cosa e fr. chose ‘cosa’ derivano dal lat. caus-a(m) che aveva assunto anche il
significato di ‘affare’ scaturito da quello, credo, di ‘argomento’ trattato nei
processi. Il concetto di “cosa” è molto
più generico e include qualsiasi oggetto esistente e a volte nella forma
colloquiale coso, anche un essere
umano.
Ora, portandoci con la mente nella fase lontanissima della preistoria
detta dell’animismo, quando tutte le entità esistenti erano dall’uomo
considerate animate (non solo ad esempio l’acqua e il vento ma
anche le rocce e i monti), si può a
ragione argomentare che i termini indicanti le cose nelle varie lingue,
arrivati fino a noi, dovessero contenere proprio il significato antichissimo di
‘forza, essere vivente, vita’. Quindi,
se è probabile che la parola cosa in italiano deriva dal lat. caus-a(m) attraverso il significato di
‘affare’ è anche molto probabile che
quel significato esistesse già prima del latino classico ad indicare l’esistenza
, la vita di ogni componente il mondo inorganico e organico.
Si noti, infatti, che in inglese il termine thing ‘cosa’ significa
anche, stupendamente, being
‘essere vivente’ e creature ‘creatura’. Siamo all’opposto del significato di ‘cosa
inerte, senza vita’ che siamo soliti
sottindere sotto la parola cosa.
Ci sarebbero altre cose da osservare ma mi fermo qui, per non essere
troppo lungo e noioso.
Mi accorgo solo ora che nel Vocabolario
abruzzese di Domenico Bielli è registrato lo strano verbo tinchïà
‘divulgare’ che a mio parere è un derivato di ingl. thing nel significato di
‘assemblea, parlamento’, vocabolo presente in tutto il mondo germanico che
indicava l’assemblea di tutti gli uomini liberi di uno stato o di una
regione. Credo che questo divulgare espresso dall’abruzzese tinchïà equivalga a un pubblicare, far conoscere al pubblico, concetto quest’ultimo che
richiama etimologicamente il popolo e
le sue assemblee. L’assemblea è un riunirsi di un certo numero di persone, e il popolo non è altro che
una massa di persone che stanno normalmente
insieme. Il tenc-one in effetti in italiano
indica un tumore dell’anguinaia, cioè
una sorta di rigonfiamento o ammasso.
L’ingl. thing, nel significato di ‘assemblea’, è fatto derivare da una
radice col significato di stretch of time ‘periodo di tempo’, riferito al tempo, appunto, in cui si
svolgeva l’assemblea: che astrusità! Si
tratta invece di una semplice riunione,
massa di persone insieme.
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