Ad Aielli-Aq, il mio paese, uno dei nomi più usuali per crivello era pëllìccë, simile o uguale a quello di altre
parlate della Marsica e d’Abruzzo. Naturalmente
l’etimo del termine corre subito alla parola pelle, visto che questo
strumento poteva essere formato anche da una pelle d’animale, in genere
d’asino, bucherellata. Ma alcune
altre parole dialettali ci inducono a credere che il termine suddetto non
designava all’origine una pelle bensì
un insieme
di fili o erbe come la voce avezzanese pelléccia ’zolla di
terra aggrovigliata a radici ed erbe’ che però aveva anche il significato di
‘lotta, lite, contesa’. Si rifà vivo,
insomma, il concetto di “massa o intreccio di peli, setole o capelli’ la quale
era all’origine dell’idea di
“setaccio” come abbiamo visto, nell’articolo precedente, per il termine casca-tura che significava, oltre a residuo della vagliatura, anche vaglio e massa di capelli. Allora è molto più probabile che il dialettale pëllìccë ‘staccio, crivello’ tragga
origine dalla radice di lat. pil-u(m) ’pelo, pelame, capello’ incrociata certamente con il lat. pell-e(m) ’pelle’ ma forse anche con il lat.
pille-u(m) o pile-u(m) ’cappello di feltro’: ritorna infatti il feltro, parola di origine germanica indicante un tipo di panno di
lana pressata, incontrato nell’articolo precedente a proposito di filtro.
Resta però da spiegare il significato di ‘lotta, lite, contesa’ che
sembra essere lontanissimo da quello di ‘pelo, capelli’, eppure non è così, e
lo spiego. A Luco dei Marsi il verbo
formato dalla stessa radice, cioè pellicci-àrese, significa appunto ‘accapigliarsi, venire alle mani’ come in
molti altri dialetti compreso l’aiellese pëllëcci-àssë. Ora, l’idea che sta al
fondo di questo verbo è quella di “ammassarsi, stringersi, addossarsi” come
stretti tra loro sono i capelli che formano un rudimentale e originario colino o filtro. Ho volutamente evitato di accostare questo
verbo pellicciàrese ai verbi ac-capigli-arsi
e az-zuff-arsi
(dal longob. zupfa ‘ciuffo’) in quanto li considero una sorta di lectio facilior, pur possibile: lo
capiremo meglio riflettendo sulle voci dialettali marsicane come pèlla,
pèllë,
e anche pëll-iccia (a
Trasacco-Aq) che significano ‘coito’, volgarmente ‘scopata’: qui i peli o i capelli c’entrano poco , ma è appunto l’idea di “stringersi insieme
in un amplesso” (assomigliante proprio
ad un zuffa nella foga di ottenere il
massimo del piacere) che agisce nel profondo. Anche lat. co-it-u(m) (da lat. co-ire) può significare sia ‘incontro,
congiunzione’ sia ‘scontro’ come la sua variante co-et-u(m)’riunione, folla, accoppiamento, scontro’ Con il coito, insomma,
due esseri si aggrovigliano vicendevolmente come in un lotta spasmodica. E’
meraviglioso il modo in cui una stessa radice può esprimere significati anche
molto diversi tra loro, partendo da un
valore generico di fondo. In questo caso è l’unirsi, l’intrecciarsi, lo
stringersi, l’ammassarsi di corpi viventi a prendere forma, ma in altri, come
vedremo, può essere il miscuglio o l’intruglio , se si tratta di cose
liquide.
In
effetti in italiano la suddetta zuffa che è dal longob. zupfa’ciuffo’, significa, come
abbiamo visto, anche ‘polenta, brodo’, cioè un miscuglio liquido di vari
ingredienti, una polta (lat. pult-em ’polenta, farinata’) o poltiglia, termini questi ultimi che
vanno connessi con la radice di feltro che in antico slavo suona plusti,
con la labiale iniziale /p/
supposta del resto dalle forme germaniche come ted. Filz ‘feltro’.
Un
caso interessantissimo è quello del gr. phíltr-on ‘bevanda amatoria’ in latino pocul-u(m) amatori-u(m), un
intruglio liquido contenente vari ingredienti, magari pestati o triturati. Insomma,
un altro tipo di commistione, intreccio, confusione. Solo che la prima parte di questo termine che
veniva da lontano, anche per i Greci, evidentemente sosia di feltro,
diffuso un po’ dappertutto in Europa, andò a combaciare perfettamente con la
radice del verbo philé-ein ‘amare’ e dell’aggett. - sostant. phíl-os’amico, amante, amorevole’.
Sicchè la parola non potè evitare di indicare la formula verbale e l’intruglio usato da fattucchiere per far
innamorare qualcuno, ma anche per farlo disinnamorare.
In ultimo, azzardo un’etimologia per la radice greca phil- (su cui nessuno mi ha illuminato finora) per amico, amore, amare. Essa dovrebbe indicare una sorta di pressione o impressione (come quella del feltro) esercitata su qualcuno o ricevuta da qualcuno innamorato o semplicemente amico. Un volersi bene tra due persone che desiderano stare e stringersi insieme, anche se a volte è uno solo ad amare.
Avevo dimenticato il termine italiano peltro il quale designa una lega metallica simile all’argento formata da stagno, rame, antimonio e piombo. Un bel numero di ingredienti che formano un insieme simile concettualmente ad un miscuglio.
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