mercoledì 10 giugno 2020

Eracle e Ligi, re dei Liguri.


                          
   Eracle (Ercole), forse il più grande e gagliardo  eroe della mitologia greca, era, per così dire,  un grande giramondo.  Un giorno, mentre attraversava la Liguria[1] con la mandria di buoi rubati a Gerione, dovette scontrarsi con l’esercito di Ligi[2], re dei Liguri,  il quale voleva a sua volta impadronirsene.  Ad un certo punto della battaglia Eracle, rimasto privo di frecce e non potendo scagliare sassi contro il nemico perché il terreno lì era composto di creta, sfinito, sfiduciato e addirittura lacrimante si rivolse a Zeus, il quale si commosse e inviò una nube da cui piovvero pietre a gragnola. I Liguri così furono costretti a fuggire.

  Ora, è un fatto che una larga pianura tra la città di Marsiglia[3] e le foci del Rodano è chiamata oggi ‘pianura sassosa’ perché cosparsa di pietre grosse come il pugno di una mano; era  nota a suo tempo a Roma come campi lapidei ‘pianura di pietre’, appunto.  Naturalmente il rapporto tra leggenda e realtà va rovesciato: quelle pietre non le fece di certo cadere Zeus, ma si trovavano lì da tempi geologici immemorabili: il mito non ha fatto altro che appropriarsene inserendole in questa avventura di Eracle.  Un ottimo stimolo a fare ciò, il mito lo  trovò proprio nel nome del re Ligi, similissimo a gr. Likh-as, un compagno o servo di Eracle, il quale, quando ricevette da lui, che pure era ignaro di tutto, la camicia avvelenata col sangue del centauro Nesso consegnatale da Deianira (la quale voleva recuperare, fidandosi di ciò che le aveva assicurato il centauro sulle virtù di quel sangue, l’amore del marito Eracle che allora stravedeva per Iole) e cominciò a sentirsi malissimo appena indossatala, afferrò, impazzito dal dolore,  il povero Lica e lo scaraventò in mare, presso la spiaggia, dove si trasformò in roccia dando origine, così, alle isolette Lic-adi a nord-ovest dell’Eubea. Vi sono anche delle varianti di questa radice che indicano punte, promontori come la famosa rupe di Leuc-ade, isola greca dello Ionio, da dove si sarebbe buttata la poetessa Saffo, perdutamente innamorata di Faone. La trasformazione del primo membro in Leuk- è stata causata dalle rocce ‘bianche’ della scogliera, cfr. gr. leuk-όs ‘bianco’, sosia di lat. luc-e(m) ‘luce’. Faccio notare inoltre, en passant, che il membro –adi è uno pseudosuffisso perché, in tempi lontani, esso costituiva una radice tautologica per ‘isola, protuberanza, roccia, monte’ che aveva ed ha molto in comune col turco ada ‘isola’, e si ritrova in molti nesonimi dell’Egeo e del Mediterraneo come le isole Eg-adi nella Sicilia occidentale.

   Ora, per concludere, la radice che sta dietro il nome del re Ligi della nostra leggenda deve essere proprio quella  sottesa a questi nesonimi, cioè ‘pietra, capo, isola’, ma soprattutto simile a quella di gallico licco ‘pietra’, lingua che circolava evidentemente anche tra i Liguri, nel meridione della Gallia.  La radice rispunta ancora nel termine gallese (dialetto celtico) crom-lech, momumento megalitico preistorico, costituito da pietre disposte a circolo, tipico dell’Europa atlantica.  La parola è composta da crom- ‘curva’ e –lech ‘pietra’, simile a gallico licco ‘pietra’ sopra citato. Lo stesso etnonimo gr. Lígu-es ‘Liguri’  potrebbe significare ‘abitanti delle rupi, rocce, monti’ e non, come si pensa, ‘loquaci’ o al massimo ’sagaci’ dal gr. lig-ýs ‘sonoro, chiaro, stridente’.  La natura del loro territorio era ed è in gran parte montuosa, soprattutto nel versante italiano. Così, una eventuale forma originaria gr. *Líky-es ‘Liguri’, una volta scomparso dalla lingua greca la relativa radice per ‘pietra, promontorio, isola’ che pure doveva  esistere, come si è visto sopra, era spinta, per assumere comunque un significato, cioè quello di ‘loquace’, ad allinearsi con l’aggett. gr. lig-ýs ‘sonoro, ec.’ mutando la velare sorda –k- in quella sonora –g-.

Date le premesse, per me è semplice e naturale accostare alla radice in questione l’it. lecco (dial. licchë) , che nel gioco a piastrelle designa il ciottolo o altro a cui si cerca di avvicinare le piastrelle il più possibile. Credo, comunque, che possa esserci l’influsso di gr. olíg-os ‘poco, piccolo’. E la Linguistica tace o balbetta in proposito. Incredibile! Ugualmente, nel gioco delle bocce, esso indica il pallino o boccino, sostanzialmente simili a qualcosa di rotondeggiante come in genere è un ciottolo. Ricordo che nel gioco delle bocce, quando esso si svolgeva di preferenza nelle aie e il pallino veniva lanciato a volte in una posizione scomoda, fra i giocatori c’era chi voleva che esso fosse spostato, ma qualcun altro non era d’accordo ed esclamava licchë stizzë! Il secondo termine stizzë deriva, credo, dal lat. istic ‘costì’, e così l’espressione equivaleva a dire: il pallino resti lì dove si trova! In toponomastica sono da notare il Monte Leco in provincia di Genova, al confine col Piemonte, e il Colle Licco a Civitella Alfedena-Aq. 

   
   



[1] La Liguria allora comprendeva anche la fascia marittima della Gallia meridionale, quell che sarà chiamata Provenza.

[2] E’ chiaro che il nome di questo re non è altro che l’etnonimo greco ligy-s  ‘ligure’.

[3] Città  fondata dai greci focesi dall’Asia Minore, già nel 600 a. C. col nome di Massalía.

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