Eracle (Ercole), forse il più grande e gagliardo eroe della mitologia
greca, era, per così dire, un grande
giramondo. Un giorno, mentre
attraversava la Liguria[1] con la
mandria di buoi rubati a Gerione, dovette scontrarsi con l’esercito di Ligi[2],
re dei Liguri, il quale voleva a sua
volta impadronirsene. Ad un certo punto
della battaglia Eracle, rimasto privo di frecce e non potendo scagliare sassi
contro il nemico perché il terreno lì era composto di creta, sfinito,
sfiduciato e addirittura lacrimante si rivolse a Zeus, il quale si commosse e
inviò una nube da cui piovvero pietre a gragnola. I Liguri così furono
costretti a fuggire.
Ora, è un fatto che una larga pianura tra la città di Marsiglia[3] e le
foci del Rodano è chiamata oggi ‘pianura sassosa’ perché cosparsa di pietre
grosse come il pugno di una mano; era
nota a suo tempo a Roma come campi lapidei ‘pianura di pietre’,
appunto. Naturalmente il rapporto tra
leggenda e realtà va rovesciato: quelle pietre non le fece di certo cadere
Zeus, ma si trovavano lì da tempi geologici immemorabili: il mito non ha fatto
altro che appropriarsene inserendole in questa avventura di Eracle. Un ottimo stimolo a fare ciò, il mito lo trovò proprio nel nome del re Ligi, similissimo a gr. Likh-as, un compagno o servo di Eracle, il quale, quando ricevette da
lui, che pure era ignaro di tutto, la camicia avvelenata col sangue del centauro Nesso consegnatale
da Deianira (la quale voleva recuperare, fidandosi di ciò che le aveva
assicurato il centauro sulle virtù di quel sangue, l’amore del marito Eracle
che allora stravedeva per Iole) e cominciò a sentirsi malissimo appena indossatala, afferrò, impazzito dal dolore, il povero
Lica e lo scaraventò in mare, presso
la spiaggia, dove si trasformò in roccia dando origine, così, alle isolette Lic-adi a nord-ovest dell’Eubea. Vi sono
anche delle varianti di questa radice che indicano punte, promontori come la
famosa rupe di Leuc-ade, isola greca dello Ionio, da dove si sarebbe buttata la
poetessa Saffo, perdutamente innamorata di Faone. La trasformazione del primo
membro in Leuk- è stata causata dalle
rocce ‘bianche’ della scogliera, cfr. gr. leuk-όs ‘bianco’, sosia di lat. luc-e(m) ‘luce’. Faccio
notare inoltre, en passant, che il membro –adi
è uno pseudosuffisso perché, in tempi lontani, esso costituiva una radice
tautologica per ‘isola, protuberanza, roccia, monte’ che aveva ed ha molto in
comune col turco ada ‘isola’, e si ritrova in molti nesonimi dell’Egeo e del Mediterraneo
come le isole Eg-adi nella Sicilia occidentale.
Ora, per concludere, la radice che sta dietro il nome del re Ligi
della nostra leggenda deve essere proprio quella sottesa a questi nesonimi, cioè ‘pietra,
capo, isola’, ma soprattutto simile a quella di gallico licco ‘pietra’, lingua
che circolava evidentemente anche tra i Liguri, nel meridione della
Gallia. La radice rispunta ancora nel
termine gallese (dialetto celtico) crom-lech, momumento megalitico
preistorico, costituito da pietre disposte a circolo, tipico dell’Europa
atlantica. La parola è composta da crom- ‘curva’ e –lech ‘pietra’, simile a
gallico licco ‘pietra’ sopra citato. Lo stesso etnonimo gr. Lígu-es ‘Liguri’ potrebbe significare ‘abitanti delle rupi,
rocce, monti’ e non, come si pensa, ‘loquaci’ o al massimo ’sagaci’ dal gr. lig-ýs ‘sonoro, chiaro, stridente’. La natura del loro territorio era ed è in
gran parte montuosa, soprattutto nel versante italiano. Così, una eventuale forma originaria
gr. *Líky-es ‘Liguri’, una volta scomparso dalla lingua greca la relativa radice per ‘pietra, promontorio, isola’ che pure doveva esistere, come si è visto sopra, era spinta, per
assumere comunque un significato, cioè quello di ‘loquace’, ad allinearsi con l’aggett.
gr. lig-ýs ‘sonoro, ec.’ mutando la velare sorda –k- in quella sonora –g-.
Date le premesse, per me è semplice
e naturale accostare alla radice in questione l’it. lecco (dial. licchë) ,
che nel gioco a piastrelle designa il ciottolo
o altro a cui si cerca di avvicinare le piastrelle il più possibile. Credo,
comunque, che possa esserci l’influsso di gr. olíg-os ‘poco, piccolo’. E la Linguistica
tace o balbetta in proposito. Incredibile! Ugualmente, nel gioco delle bocce,
esso indica il pallino o boccino, sostanzialmente simili
a qualcosa di rotondeggiante come in genere è un ciottolo. Ricordo che nel gioco delle bocce, quando esso si
svolgeva di preferenza nelle aie e il pallino veniva lanciato a volte in una
posizione scomoda, fra i giocatori c’era chi voleva che esso fosse spostato, ma
qualcun altro non era d’accordo ed esclamava licchë stizzë! Il secondo termine stizzë deriva,
credo, dal lat. istic ‘costì’, e così
l’espressione equivaleva a dire: il
pallino resti lì dove si trova! In toponomastica sono da notare il Monte Leco in provincia di Genova, al confine col
Piemonte, e il Colle Licco a Civitella Alfedena-Aq.
[1] La
Liguria allora comprendeva anche la fascia marittima della Gallia meridionale,
quell che sarà chiamata Provenza.
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