In alcune zone dell’aquilano l’uccello è
chiamato picca-jallë, letteralmente ‘becca-galli’, perché ci
sarebbe una credenza secondo la quale il picchio è solito pizzicare i galli e
le galline.[1]
Miei signori, francamente io credo che simili supposizioni dovrebbero, prima di
tutto, accertare l’esistenza di questo comportamento del picchio, che mi pare
che non sia vero, e poi ragionare sulla genesi di simile idea.
Ora, più concretamente, io sostengo che qui
siamo in presenza di un composto tautologico, come ad esempio it. gira-volta,
in cui il secondo membro ripete lo stesso significato delprimo. Nel tedesco ve ne sono parecchi, come ad
esempio Giebel-zinne ‘pinnacolo’ in
cui, separatamente e autonomamente, i due membri significano, sempre in
tedesco, ‘pinnacolo’. Detto questo non è
difficile capire come la credenza di cui sopra si sia sviluppata presso il
popolino. La parola picca-jallë doveva esistere, come è
naturale, ben prima di essa e doveva
significare ‘picchio’, termine quest’ultimo che si è evoluto dal lat. pic-u(m) ‘picchio’ (cfr. latino volgare *picul-um diminutivo di pic-um ‘picchio’) la cui radice è la
stessa di lat. pic-a(m) ‘gazza’. in
origine esso non aveva rapporti, se non esteriori, con l’idea di beccare e picchiare, con cui l’ornitonimo si è incrociato. Un principio essenziale in queste cose,
secondo me, è il seguente: è il nome l’origine di miti e credenze e non il
contrario. Oppure la radice pic- si incrocia con it. becco (lat. becc-um ’becco’) e dà luogo a it. becc-accia. Ma qui i linguisti contestano perché l’uccello è munito di
un lungo becco, che ben giustificherebbe il nome. Ma io che sono fissato sulla composizione
tautologica delle parole, non
demordo affatto e posso dimostrare la mia tesi.
Esiste, infatti, in italiano l’ornitonimo acceggia ‘beccaccia’, sviluppo di tardo latino acci-a(m) ‘beccaccia’ e lat. acceia’beccaccia’. Ciò premesso, secondo me sarebbe arduo poter
intendere il primo membro di it. becc-accia come ‘becco’. Siamo
dinanzi al solito bel composto tautologico.
Ricordo
che in quel di Pisoniano-Rm la voce caglin-ella significa ‘lucciola’ e non per motivi magici, come ho
mostrato nell’art. Le sviste di
personalità importanti […] presente nel mio blog
pietromaccallini.blogspot. com (10 dic. 2019).
La parola è animata dalla voce abruzzese calina ‘scintilla’,
presente anche a Pisoniano. Io penso che
il significato di ‘scintilla’ sia molto simile a quello di ‘anima’, il quale
risiede nel fondo di tutti i nomi indicanti gli animali, appunto, ma spesso
succede quello che è capitato a picca-jallë:
quel termine di fondo va ad incrociarsi con questo o quel vocabolo simile e anche il povero linguista finisce col
credere ai significati apparenti, di facciata, di quel termine, in genere accettando
ad occhi aperti le favole che spesso si sono nel frattempo sviluppate intorno
ad esso, e, prendendole, cosa gravissima, come oro colato nell’esegesi di quel
termine, che sarebbe da esso derivato.
In tedesco abbiamo Nachti-gall ‘usignolo’ come l’ingl. night-in-gale ‘usignolo’. Ma l’etimo che se ne dà gira sempre al largo
rispetto alla natura di uccello,
sottolineandone la caratteristica secondo cui si tratterebbe di ‘(uccello) che
canta (-gall,-gale) di notte (Nachti-, night-in-)’ quando
invece è noto, se si vuole essere pignoli, che canta anche di giorno. La nozione di notte (secondo me posticcia)
ricorre anche nel lat. noctu-a(m) ‘civetta, nottola’ che fa il paio col gr. nykt-erís, -ídos
‘pipistrello, nottola’. Il fatto è che
io vedo dietro questi ultimi termini una radice come quella del lat. nict-it-are ‘battere le palpebre, ammiccare’
e anche ‘guizzare’, riferito a fulmini: siamo tornati all’idea primordiale di movimento, luce, guizzo della mente e
dell’anima. In greco nykt-erís indica anche l’uranoscopo, un pesce con gli occhi in su, che
non so cosa c’entri con la notte; si
incontra anche la nykt-erĩtis ‘la
pimpinella’ una pianta erbacea, senza alcun rapporto particolare con la notte.
Questo per far capire che la radice assumeva diversi valori secondo me sempre
attinenti al significato generico di ‘essere vivente’. Buon ultimo arriva anche il gr. nykti-kόraks ‘gufo’, in cui il kόraks ’corvo’ è costretto a diventare
un gufo, pur protestando vivamente in
nome della sua irrinunciabile identità di corvo:
ma la Lingua lo ammonisce di starsene zitto, altrimenti potrebbe far conoscere
a tutti che anche l’identità di corvo
a cui tiene tanto, così razzisticamente, non era la sua natura originaria.
E’ comprensibile che una radice di questo tipo cerchi nella sua lunga
storia di specializzarsi ad indicare non un animale in genere, ma un animale
(qui un uccello) che sia attivo solo o anche
nella notte. Così il gioco è fatto per chiudere ermeticamente in un
ferreo scrigno la vera origine del
termine. Ma, come vado ripetendo, il
diavolo sa fare le pentole ma non i coperchi: c’è quasi sempre qualche indizio,
qualche sbavatura in questi ragionamenti che fa capire come siano andate effettivamente
le cose.
A proposito dell’ing. night-in- gale ‘usignolo’, dove tra l’altro si
nota una /n/ parassita rispetto al ted. Nachti-gall, c’è da riferire un
fatterello gustosissimo: si dice che l’espressione gergale ingl. Dutch nightingale ‘rana’, letter. ‘usignolo
olandese’ sia una specie di presa in giro nei confronti degli olandesi, o che
addirittura l’espressione derivi dal canto melodioso, a primavera, di un tipo
di rana. A me sembra che possa esserci,
dietro Dutch, l’ingl. toad ‘rospo’, medio ingl. tade, tode ’rospo’. Dutch ‘olandese’ è un etnico ora
ristretto, in inglese, ad indicare gli olandesi, ma precedentemente esso si
riferiva a diversi popoli germanici compresi i ted-eschi, etnico strettissimo parente di Dutch, appunto. Come ho detto altrove la radice si ritrova
anche nell’italico teuta ’popolo’ e nell’aggettivo lat. tot-u(m) ‘tutto, intero’.
L’ingl. night-in-gale ‘usignolo’, è usato per indicare anche altri tipi
di uccelli che cantano di notte. Non solo. La parola si riferisce anche a piante erbacee: abbiamo visto che in greco la nikt-erĩtis indica la ‘pimpinella’ nota anche come ana-gall-ís ‘pimpinella’
il cui secondo membro combacia con l’ultimo di night-in-gale. E la pianta non ha che fare con
l’idea di “notte”.
Il membro –gale ricorda ancora l’ornitonimo uro-gallo, un tipo di gallo, di cui ho analizzato il significato
nell’articolo L’urogallo e l’aurora. Come
la Lingua inganna i suoi utenti, presente nel mio blog sopra citato (23
maggio 2020), articolo breve ma interessantissimo, a mio parere.
Interessante è una serie di ornitonimi dialettali, riferiti alla gazza e
qualche altro uccello, con una radice col- , per me variante di cal- o gal- precedente. Mi riferisco ad
aiellese cicia-ccòva ‘gazza’, cerchiese ciccia-ccòra ‘gazza’, abruzzese ciaccia-còla ‘gazza’[2],
avezzanese ciccia-còlla ‘gazza’, abruzzese
cόlë ‘gazza’[3]. Si può notare nei primi membri la presenza
di cicia- che diventa ciccia- o addirittura ciaccia-, per influenza dei termini dell’italiano
familiare ciccia, ciaccia ’carne’. Ma l’origine riguarda anche i nomi cecca,
checca
con cui si indica in altre parti d’Italia sempre la ‘gazza’, e il gr. kikk-όs ‘gallo’ (senz’altro imparentato con
fr. coq
‘gallo’, italiano fam. cocca 'gallina'), gr. kíkk-a ‘gallina’, gr. kík-irr-os ‘gallo’[4], ungherese kakas
‘gallo’, lat. cuc-ul-u(m) ‘cuculo’,
persiano cucah ‘cigno’, sscr. kokas anitra’. Il bello è che ricorrono in Italia nomi
regionali per diversi tipi di uccelli come cicci-arina, cicci-arello, cicc-ina, cicci-òlo, cèc-ere ’cigno’
che mi sembra ripetano la stessa radice insieme ad ingl. chough ‘gracchio’, medio ingl. chowe, medio olandese cauwe
’corvo’, ingl. chow-chow 'cuculo dal becco giallo', ingl. cub ‘cucciolo’. Una
volta pensavo che il secondo membro del citato
aiellese cicia-ccòva ’gazza’ fosse deformazione di
abr. còlë
‘gazza’ citato. Ma ora
propenderei per accostarlo a queste forme germaniche chowe, cauwe sicchè il
composto cicia-ccòva verrebbe a registrare le due, diciamo così, varianti kik/cowe. Anche l’it. gufo (dial. cufë), presente comunque nel tardo lat. guf-on-e(m) ‘gufo’, può risalire a questa
radice. In ted. si ha Gickel ‘gallo’ o gockel ‘gallo’ e anche gickel-hahn ‘gallo’ o gockel-hahn tautologici, dato che pure –hahn, da solo, vale ‘gallo’. Anche in inglese si incontra chick
‘uccellino, pulcino’, chicken ‘pollo’ e cock
‘gallo’. La forma chicken ’pollo’ sarebbe da accostare a gr. kýkn-os ‘cigno’, lat. cic-oni-a(m), voce regionale cic-ùni ‘coturnice’ e céc-ere ‘cigno’ di cui sopra.
La radice di abruzz. còlë ‘gazza’ è la stessa di gr. koloi-όs ‘gracchio, gazza’ e gr. koli-όs ‘picchio’. Il secondo membro di
cerchiese ciccia-ccòra sarà dovuto al diffuso scambio delle liquide l/r. Ma non abbiamo finito,
la radice col- si ripresenta
nel ted. Kohl-meise ‘cincia’,
in cui essa è stata intesa come kohl ‘cavolo’, appunto, come se si
trattasse di un uccello, la cincia (-meise),
amante o frequentante i cavoli, credenza errata. Interessante è la sua trasformazione, in
inglese, in coal-mouse ‘cincia
mora’ dove però, letteralmente, il primo membro non significa più ‘cavolo’ ma
‘carbone’, fatto che ha permesso la specializzazione del significato in ‘cincia
mora’, cioè di colore oscuro,
anche se è subentrato di straforo il topo
(mouse, lat. mus ‘topo’) data l’assonanza col germanico meise ‘cincia’. In inglese
si ha anche l’altro nome di tit-mouse ‘cinciallegra’, in cui
rispunta il falso topo, o anche coal-tit ‘cincia mora’. Ma il
solo tit
vale già ‘cincia’ in inglese. Spero che,
dati tutti questi casi di lampanti composti tautologici, chi avesse qualche dubbio su di essi se ne
faccia una ragione.
Ad Aielli-Aq il picchio viene chiamato picca-murrë con la /r/
rafforzata; nel dialetto logudorese il nome del picchio è quasi lo stesso: bicca-muru
, letter. ‘becca-muro’. Ma ora i falsi significati che le due componenti
cercano di accreditare spero che non ci ingannino più. La componente muru della parola sarda e di
quella aiellese (con /r/ rafforzata) è il lat. mur-e(m) ‘topo’ incrociato con muru
‘muro’, se è vero che uno dei nomi sardi del pipistrello è murr-eddu: si sa che in molte lingue e dialetti il pipistrello è
chiamato col termine ‘topo’. In tedesco suona
Fleder-maus ‘pipistrello’ in cui è chiaro il secondo membro –maus
‘topo’, appunto, e in francese appare come lo chauve- souris ‘pipistrello’,
letter. ‘topo (-souris) calvo (chauve)’
ma il primo membro chauve ‘calvo’ non
ci incanta, perché esso non era un aggettivo, ma un sostantivo per
‘pipistrello’ ed altri volatili, come il secondo membro di aiellese cicia-ccòva
‘gazza’ sopra citato e accostato alle forme germaniche chowe
‘gracchio’, medio olandese cauwe ‘corvo’. Da non dimenticare lo spagn. mur-ciélago ‘pipistrello’ il cui secondo
membro viene, per metatesi, da una forma ciegola
< spagn. ciego ‘cieco’ . Anche qui c’è la solita ma molto utile
osservazione da fare: ciegola,
proveniente chiaramente da termini come quelli di ted. gickel ‘gallo’ sopra menzionato, andò
fatalmente ad incrociarsi con spagn. ciego’cieco’
dando un forte spunto alla nascita della favola sulla cecità del pipistrello
che invece ci vede, anche se è miope, pare, e anche se completa la sua visione
notturna aiutandosi col cosiddetto biosonar, grazie al quale individua ostacoli
anche nel caso non li vedesse. Ancora,
la sua calvizie, secondo quello che
suggerisce il vocabolo francese chauve-souris
‘pipistrello’, è una mezza favola metropolitana, dato che il chirottero ha il
corpo e la testa rivestiti di pelo, tranne le ali.
Nel Dizionario italiano ed inglese
di Giuseppe Baretti (sec. XVIII) si afferma che la cinciallegra o cingallegra
è detta in inglese tit-mouse (ne
abbiamo già parlato sopra), ma anche mus-kin il cui secondo elemento (con il -k- non spirantizzato perchè, credo, preceduto da consonante nel corpo della parola) rimanda, a mio avviso, all’ingl. hen
‘gallina’ < *ken, lat. os-cen, genit. os-cin-is ‘uccello
augurale’[5]. Un nome popolare della cincia è anche cin-gallina[6], il
cui secondo membro equivale a it.gallina. Sicchè
a me pare che anche l’it. cin-gallegra, solitamente inteso
come cincia allegra per la sua
vivacità, debba essere ricondotto ad una forma *cin-gallàra , dato il
nome regionale gall-ar-èno ‘gabbiano
comune’ e l’it. gall-er-one per it. gall-accio. Anche l’it. allegro viene dal lat. alacr-e(m). In napoletano l’allegria suona allërìa. L’italiano cincia, lungi dall’essere parola
onomatopeica come si affrettano a ripetere i linguisti, secondo me richiama il
secondo membro della voce regionale trenta-cinque ‘cinciallegra’, il cui primo
membro si ritrova nella voce regionale trent-osso, altro nome di altro uccello.
Naturalmente che nessuno si azzardi a tirare fuori l’osso per spiegare il secondo membro, ma
pensi piuttosto al lat. os-cen ‘uccello augurale’, già incontrato
sopra.
Deo
gratias!
[1]
Cfr.Ernesto Giammarco, DAM (dizionario abruzzese e molisano).
[2]
Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A.
Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.
[3]
Cfr. Bielli, cit.
[4]
Cfr. vocabolario del Rocci.
[5]
Cfr. l’articolo, L’urogallo e l’aurora.
Come la lingua inganna i suoi utenti, presente nel mio blog pietromaccallini.blogspot.com(23
maggio 2020).
[6]
Cfr. Devoto-Oli, Vocabolario illustrato
della lingua italiana, Selezione dal reader’s digest, Milano1982.
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