sabato 6 giugno 2020

Il picchio e altri volatili


                        
                           
   In alcune zone dell’aquilano l’uccello è chiamato picca-jallë, letteralmente ‘becca-galli’, perché ci sarebbe una credenza secondo la quale il picchio è solito pizzicare i galli e le galline.[1] Miei signori, francamente io credo che simili supposizioni dovrebbero, prima di tutto, accertare l’esistenza di questo comportamento del picchio, che mi pare che non sia vero, e poi ragionare sulla genesi di simile idea.

   Ora, più concretamente, io sostengo che qui siamo in presenza di un composto tautologico, come ad esempio it. gira-volta, in cui il secondo membro ripete lo stesso significato delprimo.  Nel tedesco ve ne sono parecchi, come ad esempio Giebel-zinne ‘pinnacolo’ in cui, separatamente e autonomamente, i due membri significano, sempre in tedesco, ‘pinnacolo’.  Detto questo non è difficile capire come la credenza di cui sopra si sia sviluppata presso il popolino.  La parola picca-jallë doveva esistere, come è naturale, ben  prima di essa e doveva significare ‘picchio’, termine quest’ultimo che si è evoluto dal lat. pic-u(m) ‘picchio’ (cfr. latino volgare *picul-um diminutivo di pic-um ‘picchio’) la cui radice è la stessa di lat. pic-a(m) ‘gazza’. in origine esso non aveva rapporti, se non esteriori, con l’idea di beccare e picchiare, con cui l’ornitonimo si è incrociato.  Un principio essenziale in queste cose, secondo me, è il seguente: è il nome l’origine di miti e credenze e non il contrario.  Oppure la radice pic- si incrocia con it. becco (lat. becc-um ’becco’) e dà luogo a it. becc-accia. Ma qui i linguisti contestano perché l’uccello è munito di un lungo becco, che ben giustificherebbe il nome.  Ma io che sono fissato sulla composizione  tautologica  delle parole, non demordo affatto e posso dimostrare la mia tesi.  Esiste, infatti, in italiano l’ornitonimo acceggia ‘beccaccia’, sviluppo di tardo latino acci-a(m) ‘beccaccia’ e lat. acceia’beccaccia’.  Ciò premesso, secondo me sarebbe arduo poter intendere il primo membro di it. becc-accia come ‘becco’.  Siamo dinanzi al solito bel composto tautologico.

     Ricordo che in quel di Pisoniano-Rm la voce caglin-ella significa ‘lucciola’ e non per motivi magici, come ho mostrato nell’art. Le sviste di personalità importanti […] presente nel mio blog pietromaccallini.blogspot. com (10 dic. 2019).  La parola è animata dalla voce abruzzese calina ‘scintilla’, presente anche a Pisoniano.  Io penso che il significato di ‘scintilla’ sia molto simile a quello di ‘anima’, il quale risiede nel fondo di tutti i nomi indicanti gli animali, appunto, ma spesso succede quello che è capitato a picca-jallë: quel termine di fondo va ad incrociarsi con questo o quel vocabolo  simile  e anche il povero linguista finisce col credere ai significati apparenti, di facciata, di quel termine, in genere accettando ad occhi aperti le favole che spesso si sono nel frattempo sviluppate intorno ad esso, e, prendendole, cosa gravissima, come oro colato nell’esegesi di quel termine, che sarebbe da esso derivato.  

    In tedesco abbiamo Nachti-gall ‘usignolo’ come l’ingl. night-in-gale ‘usignolo’.  Ma l’etimo che se ne dà gira sempre al largo rispetto alla natura di uccello, sottolineandone la caratteristica secondo cui si tratterebbe di ‘(uccello) che canta (-gall,-gale) di notte (Nachti-, night-in-)’ quando invece è noto, se si vuole essere pignoli, che canta anche di giorno.  La nozione di notte (secondo me posticcia) ricorre anche nel lat. noctu-a(m) ‘civetta, nottola’ che fa il paio col gr. nykt-erís, -ídos ‘pipistrello, nottola’.  Il fatto è che io vedo dietro questi ultimi termini una radice come quella del lat. nict-it-are ‘battere le palpebre, ammiccare’ e anche ‘guizzare’, riferito a fulmini: siamo tornati all’idea primordiale di movimento, luce, guizzo della mente e dell’anima. In greco nykt-erís indica anche l’uranoscopo, un pesce con gli occhi in su, che non so cosa c’entri con la notte;  si incontra anche la nykt-erĩtis ‘la pimpinella’ una pianta erbacea, senza alcun rapporto particolare con la notte. Questo per far capire che la radice assumeva diversi valori secondo me sempre attinenti al significato generico di ‘essere vivente’.  Buon ultimo arriva anche il gr. nykti-kόraks ‘gufo’, in cui il kόraks ’corvo’ è costretto a diventare un gufo, pur protestando vivamente in nome della sua irrinunciabile identità di corvo: ma la Lingua lo ammonisce di starsene zitto, altrimenti potrebbe far conoscere a tutti che anche l’identità di corvo a cui tiene tanto, così razzisticamente, non era la sua natura originaria.

    E’ comprensibile che una radice di questo tipo cerchi nella sua lunga storia di specializzarsi ad indicare non un animale in genere, ma un animale (qui un uccello) che sia attivo solo o anche  nella notte. Così il gioco è fatto per chiudere ermeticamente in un ferreo scrigno   la vera origine del termine.  Ma, come vado ripetendo, il diavolo sa fare le pentole ma non i coperchi: c’è quasi sempre qualche indizio, qualche sbavatura in questi ragionamenti che fa capire come siano andate effettivamente le cose.

   A proposito dell’ing. night-in- gale ‘usignolo’, dove tra l’altro si nota una /n/ parassita rispetto al ted. Nachti-gall,  c’è da riferire un fatterello gustosissimo: si dice che l’espressione gergale ingl. Dutch nightingale ‘rana’, letter. ‘usignolo olandese’ sia una specie di presa in giro nei confronti degli olandesi, o che addirittura l’espressione derivi dal canto melodioso, a primavera, di un tipo di rana.  A me sembra che possa esserci, dietro Dutch, l’ingl. toad ‘rospo’, medio ingl. tade, tode ’rospo’. Dutch ‘olandese’ è un etnico ora ristretto, in inglese, ad indicare gli olandesi, ma precedentemente esso si riferiva a diversi popoli germanici compresi i ted-eschi, etnico strettissimo parente di Dutch, appunto.  Come ho detto altrove la radice si ritrova anche nell’italico teuta ’popolo’ e nell’aggettivo lat. tot-u(m) ‘tutto, intero’.  

    L’ingl. night-in-gale ‘usignolo’, è usato per indicare anche altri tipi di uccelli che cantano di notte. Non solo. La parola si riferisce anche a piante erbacee: abbiamo visto che  in greco la nikt-erĩtis indica la ‘pimpinella’ nota anche come ana-gall-ís ‘pimpinella’ il cui secondo membro combacia con l’ultimo di night-in-gale. E la pianta non ha che fare con l’idea di “notte”. 

    Il membro –gale ricorda ancora l’ornitonimo uro-gallo, un tipo di gallo, di cui ho analizzato il significato nell’articolo L’urogallo e l’aurora. Come la Lingua inganna i suoi utenti, presente nel mio blog sopra citato (23 maggio 2020), articolo breve ma interessantissimo, a mio parere.

   Interessante è una serie di ornitonimi dialettali, riferiti alla gazza e qualche altro uccello, con una radice col- , per me variante di cal- o gal-  precedente. Mi riferisco ad aiellese  cicia-ccòva ‘gazza’, cerchiese ciccia-ccòra ‘gazza’, abruzzese ciaccia-còla ‘gazza’[2], avezzanese ciccia-còlla ‘gazza’, abruzzese  cόlë ‘gazza’[3].   Si può notare nei primi membri la presenza di cicia- che diventa ciccia- o addirittura ciaccia-,  per influenza dei termini dell’italiano familiare  ciccia, ciaccia ’carne’.  Ma l’origine riguarda anche i nomi cecca, checca con cui si indica in altre parti d’Italia sempre la ‘gazza’, e il gr. kikk-όs ‘gallo’ (senz’altro imparentato con fr. coq ‘gallo’, italiano fam. cocca 'gallina'), gr. kíkk-a ‘gallina’, gr. kík-irr-os ‘gallo’[4], ungherese kakas ‘gallo’, lat. cuc-ul-u(m) ‘cuculo’, persiano cucah ‘cigno’, sscr. kokas anitra’. Il bello è che ricorrono in Italia nomi regionali per diversi tipi di uccelli come cicci-arina, cicci-arello, cicc-ina, cicci-òlo, cèc-ere ’cigno’ che mi sembra ripetano la stessa radice insieme ad ingl. chough  ‘gracchio’, medio ingl. chowe, medio olandese cauwe ’corvo’, ingl. chow-chow 'cuculo dal becco giallo'ingl. cub ‘cucciolo’.  Una volta pensavo che il secondo membro del citato  aiellese cicia-ccòva ’gazza’ fosse deformazione di abr. còlë ‘gazza’ citato.  Ma ora propenderei per accostarlo a queste forme germaniche chowe, cauwe sicchè il composto cicia-ccòva verrebbe a registrare le due, diciamo così, varianti kik/coweAnche l’it. gufo (dial. cufë), presente comunque nel tardo lat. guf-on-e(m) ‘gufo’, può risalire a questa radice. In ted. si ha Gickel ‘gallo’ o gockel ‘gallo’ e anche gickel-hahn ‘gallo’ o gockel-hahn tautologici, dato che pure –hahn, da solo, vale ‘gallo’. Anche in inglese si incontra chick ‘uccellino, pulcino’, chicken ‘pollo’ e cock ‘gallo’. La forma chicken ’pollo’ sarebbe da accostare a gr. kýkn-os ‘cigno’,  lat. cic-oni-a(m), voce regionale cic-ùni ‘coturnice’ e céc-ere ‘cigno’ di cui sopra.

    La radice di abruzz. còlë ‘gazza’ è la stessa di gr. koloi-όs ‘gracchio, gazza’ e gr. koli-όs ‘picchio’. Il secondo membro di cerchiese ciccia-ccòra  sarà dovuto al diffuso scambio  delle liquide l/r.  Ma non abbiamo finito, la radice col- si ripresenta nel ted. Kohl-meise ‘cincia’, in cui essa è stata intesa come kohl ‘cavolo’, appunto, come se si trattasse di un uccello, la cincia (-meise), amante o frequentante i cavoli, credenza errata.  Interessante è la sua trasformazione, in inglese, in coal-mouse ‘cincia mora’ dove però, letteralmente, il primo membro non significa più ‘cavolo’ ma ‘carbone’, fatto che ha permesso la specializzazione del significato in ‘cincia mora, cioè di colore oscuro, anche se è subentrato di straforo il topo (mouse, lat. mus ‘topo’) data l’assonanza col germanico meise ‘cincia’.  In inglese si ha anche l’altro nome di tit-mouse ‘cinciallegra’, in cui rispunta il falso topo, o anche coal-tit ‘cincia mora’.  Ma il solo tit  vale già ‘cincia’ in inglese.  Spero  che, dati tutti questi casi di lampanti composti tautologici,  chi avesse qualche dubbio su di essi se ne faccia una ragione.

    Ad Aielli-Aq il picchio viene chiamato picca-murrë  con la /r/ rafforzata; nel dialetto logudorese il nome del picchio è quasi lo stesso: bicca-muru , letter. ‘becca-muro’. Ma ora i falsi significati che le due componenti cercano di accreditare spero che non ci ingannino più.  La componente muru  della parola sarda e di quella aiellese (con /r/ rafforzata) è il lat. mur-e(m) ‘topo’ incrociato con muru ‘muro’, se è vero che uno dei nomi sardi del pipistrello è murr-eddu: si sa che in molte lingue e dialetti il pipistrello è chiamato col termine ‘topo’. In tedesco suona  Fleder-maus ‘pipistrello’ in cui è chiaro il secondo membro –maus ‘topo’, appunto, e in francese appare come lo chauve- souris ‘pipistrello’, letter. ‘topo (-souris) calvo (chauve)’ ma il primo membro chauve ‘calvo’ non ci incanta, perché esso non era un aggettivo, ma un sostantivo per ‘pipistrello’ ed altri volatili, come il secondo membro di aiellese cicia-ccòva ‘gazza’ sopra citato  e accostato alle forme germaniche chowe  ‘gracchio’, medio olandese cauwe ‘corvo’.   Da non dimenticare lo spagn. mur-ciélago ‘pipistrello’ il cui secondo membro viene, per metatesi, da una forma ciegola < spagn. ciego ‘cieco’ .  Anche qui c’è la solita ma molto utile osservazione da fare: ciegola, proveniente chiaramente da termini come quelli di ted. gickel ‘gallo’ sopra menzionato, andò fatalmente ad incrociarsi con spagn. ciego’cieco’ dando un forte spunto alla nascita della favola sulla cecità del pipistrello che invece ci vede, anche se è miope, pare, e anche se completa la sua visione notturna aiutandosi col cosiddetto biosonar, grazie al quale individua ostacoli anche nel caso non li vedesse.  Ancora, la sua calvizie, secondo quello che suggerisce il vocabolo francese chauve-souris ‘pipistrello’, è una mezza favola metropolitana, dato che il chirottero ha il corpo e la testa rivestiti di pelo, tranne le ali.

    Nel Dizionario italiano ed inglese di Giuseppe Baretti (sec. XVIII) si afferma che la cinciallegra o cingallegra è detta in inglese tit-mouse (ne abbiamo già parlato sopra), ma anche mus-kin il cui secondo elemento (con il -k- non spirantizzato perchè, credo, preceduto da consonante nel corpo della parola) rimanda, a mio avviso, all’ingl. hen ‘gallina’ < *ken, lat. os-cen, genit. os-cin-is ‘uccello augurale’[5].  Un nome popolare della cincia è anche cin-gallina[6], il cui secondo membro equivale a it.gallinaSicchè a me pare che anche l’it. cin-gallegra, solitamente inteso come cincia allegra per la sua vivacità, debba essere ricondotto ad una forma *cin-gallàra , dato il nome regionale gall-ar-èno ‘gabbiano comune’ e l’it. gall-er-one per  it. gall-accio.  Anche l’it. allegro viene dal lat. alacr-e(m). In napoletano l’allegria suona allërìa. L’italiano cincia, lungi dall’essere parola onomatopeica come si affrettano a ripetere i linguisti, secondo me richiama il secondo membro della voce regionale trenta-cinque ‘cinciallegra’, il cui primo membro si ritrova nella voce regionale trent-osso, altro nome di altro uccello.  Naturalmente che nessuno si azzardi a tirare fuori l’osso per spiegare il secondo membro, ma pensi piuttosto al lat.  os-cen ‘uccello augurale’, già incontrato sopra.

Deo gratias!





[1] Cfr.Ernesto Giammarco, DAM (dizionario abruzzese e molisano).  

[2] Cfr. D. Bielli, Vocabolario abruzzese, A. Polla editore, Cerchio-Aq, 2004.

[3] Cfr. Bielli, cit.

[4] Cfr. vocabolario del Rocci.

[5] Cfr. l’articolo, L’urogallo e l’aurora. Come la lingua inganna i suoi utenti, presente nel mio blog pietromaccallini.blogspot.com(23 maggio 2020).

[6] Cfr. Devoto-Oli, Vocabolario illustrato della lingua italiana, Selezione dal reader’s digest, Milano1982.
   



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